Facendo capolino in una libreria antiquaria o in una preziosa biblioteca, l’appassionato e lo studioso sanno bene l’emozione e la meraviglia che è possibile provare quando gli occhi si posano sulle antiche relazioni dei viaggi di esplorazione, sui diari di bordo delle navigazioni intorno al mondo che nel XVI secolo hanno cambiato il volto della geografia, del commercio e della società.
Vi sono documenti di viaggio – ed è un piacere leggerli – altrettanto famosi delle grandi opere letterarie: il Mundus Novus di Amerigo Vespucci, Pigafetta che ricorda le scoperte di Magellano, la straordinaria impresa editoriale di Gian Battista Ramusio.
Risalendo i secoli fino al nostro, lo scaffale si riempie delle memorie scritte da tanti intrepidi avventurieri o intraprendenti scienziati partiti alla scoperta dei nuovi continenti, dei “passaggi” a settentrione e dei due Poli.
Oggi che queste avventure sono esaurite e il loro fascino depositato, appunto, nelle preziose pagine; oggi che ogni angolo del nostro pianeta ha esaurito il suo mistero e gli astronauti sono sbarcati sulla luna e fanno la spola con le stazioni orbitanti nello spazio; oggi che Google Earth ha portato a tutti sullo schermo di casa l’immagine dell’angolo di terra preferito, il fascino e il sapore dell'”ultima frontiera” non è andato perduto.
Lo dobbiamo, soprattutto, alla fantasia di Gene Roddenberry e al “diario di bordo” più famoso del cinema, quello dettato con data astrale al computer della più amata e invincibile nave spaziale a memoria d’uomo, la U.S.S.
Enterprise, nome che ricorda le tante caravelle del passato ed è stato imposto, a furor di popolo, al prototipo dello Space Shuttle della Nasa.
Che fascino insuperabile mantiene ancora l’epopea di Star Trek! È la serie più applaudita e longeva della storia, la prima a strutturare in episodi televisivi la fantascienza, a portare il senso dell’ignoto e dell’avventura spaziale nelle case di milioni di americani e di appassionati nel mondo: iniziata l’8 settembre del 1966 (due anni prima dell’Odissea nello Spazio di Kubrick), proseguita con settantanove episodi fino al 1969, risorta a più intervalli generando ben quattro nuove serie (The Next Generation, Deep Space Nine, The Voyager, Enterprise) e una animata, ha oltrepassato il Nuovo Millennio, toccando il 2005.
Il grande schermo ha cavalcato, naturalmente, questo successo planetario: dal 1979 dieci film (il primo, e fino a oggi il migliore, con la regia di Robert Wise), molto alterni nei risultati, nei successi e negli incassi.
Certo la grande famiglia dei “treccker” non ha mai abbandonato, in oltre quarant’anni di vita, il capitano James T.
Kirk, nervi d’acciaio e coraggio da vendere, il signor Spock, vulcaniano di ferro quasi privo di emozioni con le inconfondibili orecchie a punta e tutti gli ufficiali e sottufficiali in servizio sull’Enterprise, fiore all’occhiello della flotta interstellare della Federazione Unita dei Pianeti: Scotty, McCoy, Sulu, Chekov, Uhura.
Da notare i loro nomi: su quella nave sono rappresentate tutte le etnie (il bianco americano, l’orientale dagli occhi a mandorla, il pallido russo europeo e la longilinea africana di colore).
Ciò che ha fatto, fin dall’inizio, la fortuna di Star Trek è stato, infatti, non solo l’inconfondibile, duraturo ottimismo, ma la sua ibridazione interrazziale.
Soltanto un regista come il newyorkese J.
J.
Abrams – che di talento, a soli quarantadue anni, ne ha parecchio – poteva prendersi il rischio di girare l’undicesimo film e portarlo alle vette del successo e della visibilità, ritornando all’origine dell’Enterprise, agli anni giovanili del suo equipaggio, ai suoi “eroici furori”.
Facciamo conoscenza con i ragazzi e le ragazze, perfetti ed efficienti nelle loro tute colorate diventate, già quarant’anni fa, un fenomeno di moda, e finalmente ci viene svelato perché si sono conosciuti, come partecipano al primo dei loro viaggi stellari, sfrecciando oltre la velocità della luce con la “propulsione a curvatura” (copiata poi da Star Wars).
Anche questa volta fanno abbondante uso del teletrasporto, visitando pianeti più o meno pericolosi ed entrando in contatto con civiltà buone e cattive, le prime da aiutare e le seconde da redimere, prima che da combattere.
Produttore e scrittore di tre intriganti serie televisive di incondizionato successo – Alias, Lost e Fringe – e regista del terzo capitolo di Mission Impossible, Abrams ha preso in mano un soggetto cinematografico che, parlando del futuro, sembrava non averne più e lo ha trasformato in un film rocambolesco, ambizioso, godibilissimo.
Rimanendo, anche nel nuovo, fedele all’originale.
“La mia è una storia ottimistica – afferma il regista americano – come lo era la prima serie televisiva.
Fa riferimento ad alcune paure classiche che troviamo nei racconti di fantascienza, ma tutto il film è segnato da un profondo senso di speranza, connesso alla visione di quale potrebbe essere il nostro futuro”.
Dopo molti guai e molte paure, il giovane Kirk, orfano di padre, scavezzacollo e strafottente, capirà il valore e il senso del bene comune e la responsabilità che lo deve sostenere.
Spock, dal canto suo, interpretato da Zachary Quinto – suscita, inevitabilmente, l’applauso dei fan in sala il cammeo di Leonard Nimoy, il primo a dar volto al vulcaniano – orfano di madre, dovrà scendere a compromessi che stridono con la sua cultura ferrea e superiore, con la sua glaciale logica “vulcaniana”, facendosi “contaminare” dall’amore, dal sentimento e dalla lealtà.
Chris Pine, volto sconosciuto, perfetto per interpretare Kirk, coglie assai bene lo spirito del suo personaggio: “Da giovane è un ragazzo arrabbiato, arrogante, fragile, che cerca di mascherare un’incredibile insicurezza e paura.
Non è sicuro se vuole rimanere all’ombra della memoria del padre, che lo schiaccia.
La parte interessante del suo viaggio è proprio quella di imparare come imbrigliare tutte le emozioni che nascono da questo suo conflitto, passando dall’essere un giovane scriteriato alla maturità di un capitano concentrato e responsabile.
Non è un supereroe, ma un uomo che affronta fin da giovane tremende sfide”.
Se volessimo parlare di fantascienza edificante, Star Trek di Abrams potrebbe dirsi un singolare, avvincente gioiello del genere.
(©L’Osservatore Romano – 10 maggio 2009)
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