Se è alta la qualità teologica della canonizzazione, altrettanto esigente è l’invito all’adesione di fede del credente, il quale è tenuto a prestare il suo assenso fermo e saldo, fondato sulla fede nell’assistenza dello Spirito Santo al magistero della Chiesa e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del magistero in questo campo.
La canonizzazione, quindi, non è un semplice atto di devozione o di pietà popolare, ma l’attestazione formale e solenne della santità di alcuni fedeli, proposti come modelli a tutta Chiesa per l’esaltazione della fede cattolica e l’incremento della vita cristiana (…) Rispondendo ora al titolo della nostra relazione – sul significato cioè della santità nella vita della Chiesa oggi – si può affermare con il concilio Vaticano ii che tutti i fedeli sono chiamati alla santità.
La santità è la vocazione di ogni battezzato.
Di conseguenza ancora oggi la santità fa parte dell’identità della Chiesa, Una Sancta, e del battezzato.
Di qui la sua perenne attualità (…) La fonte originaria della santità della Chiesa e nella Chiesa è Dio Trinità: “Siate dunque perfetti – dice Gesù – come è perfetto il vostro Padre celeste” (Matteo, 5, 48) (…) La pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità sono il traguardo di tutti i cristiani, la cui santità non è solo un ornamento spirituale della Chiesa ma anche un dono alla promozione e all’affermazione di una società umana pacificata e giusta.
Affermando che “tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano”, il concilio riconosce le implicanze sociali della santità cristiana.
Per questo spesso i santi sono anche chiamati benefattori dell’umanità, perché, come Gesù, anch’essi sono passati su questa terra “beneficando” (Atti degli apostoli, 10, 38), operando il bene.
Come nei primi secoli il sangue dei martiri fu la linfa della santità della Chiesa, così oggi non solo i santi martiri ma anche i santi confessori della fede, continuano a essere i testimoni straordinari del Vangelo di Cristo, illustrando la Chiesa, madre dei santi (…) È interessante notare che nell’apologetica post-tridentina alcuni teologi evidenziavano un significato non comune della santità della Chiesa.
La qualifica sancta deriverebbe – a loro dire – da “sancire”-“stabilire” ed etimologicamente indicherebbe stabilità, indefettibilità, inviolabilità.
La Chiesa è santa perché è la roccia sulla quale si infrangono le onde dei suoi nemici.
La sua santità indicherebbe la sua indefettibilità, la sua stabilità.
In tutto ciò in primo piano non è tanto la santità dei membri quanto la santità fontale della Chiesa, dal momento che essa è santa perché mediante i suoi sacramenti santifica continuamente i suoi figli, perdonandoli e fortificandoli con la grazia.
Insomma, la Chiesa è santa perché santificatrice.
E la santità dei suoi figli, in subordine a quella di Cristo, la difende dal nemico e la fa splendere di grazia.
Ma questa santità soggettiva è il riflesso della santità oggettiva, costitutiva della Chiesa; ne è espansione e visibilizzazione.
La Chiesa ieri come oggi è stata sempre edificata dalla presenza dei martiri e dei santi.
Nei processi di canonizzazione la domanda di fondo è la seguente: il servo o la serva di Dio ha praticato in modo eroico le virtù teologali e cardinali? Il santo, infatti, non è un prodotto della cieca evoluzione cosmica, ma un dono della grazia divina (…) Ma cosa significa, in concreto, la pratica eroica della virtù? Sembra che sia stato Aristotele a parlare di virtù eroica, nella sua Etica Nicomachea.
Lo Stagirita cita un brano dell’Iliade in cui Priamo piange la morte di Ettore, suo figlio prediletto, che era stato “tanto virtuoso che non crederesti che egli sia stato generato da padre mortale, ma che sia stato piuttosto della stessa natura degli dei” (…) Nel suo Commentario all’Etica Nicomachea, san Tommaso d’Aquino considera la virtù eroica come la straordinaria perfezione della parte ragionevole dell’anima.
Lo stesso Tommaso, nella stesura della sua Summa, illustra il rapporto tra doni dello Spirito Santo e virtù.
I doni sono indispensabili perché il battezzato raggiunga il suo traguardo soprannaturale.
In questo contesto egli parla di abito eroico o divino, che indica una disposizione verso il bene più alta del comune.
La virtù eroica è l’esercizio in grado eminente della virtù.
Nella virtù eroica il livello morale in essa presente si eleva al di sopra del livello morale di quasi tutti gli uomini.
E ciò suscita ammirazione, che costituisce anche un elemento della definizione della virtù eroica.
Per il benedettino José Saenz de Aguirre (+ 1699) i segni distintivi della virtù eroica sono l’osservanza fedele dei comandamenti e l’adempimento dei consigli evangelici anche in circostanze avverse; l’ammirazione da parte degli altri uomini; qualche miracolo perpetrato da Dio per confermare l’eroismo delle virtù di una persona ritenuta santa.
Per il francescano Lorenzo Brancati la persona che possiede l’abito della virtù eroica deve agire e fare il bene expedite, prompte et delectabiliter, sotto l’influenza e la guida dei doni dello Spirito Santo.
La virtù eroica supera l’esercizio ordinario della virtù dal momento che suscita una più sublime maniera di fare il bene con frequenza, facilità e disinvoltura.
In ogni caso, essa è sempre un grado particolarmente elevato di ogni singola virtù sia teologica sia morale.
Alla domanda su come siano riconoscibili le virtù eroiche, si risponde che il grado eroico è riconoscibile, in primo luogo dalla frequenza, dalla grande prontezza e dal carattere gioioso dell’attività virtuosa; in secondo luogo dal fatto che anche ostacoli difficili, costituiti da circostanze esterne o da intralci interni, vengono superati in modo tale che l’eroe virtuoso può essere considerato capace di grandi sacrifici per il Vangelo nella totale abnegazione di se stesso.
Anche per Prospero Lambertini, poi Benedetto xiv, la virtù eroica implica speditezza, prontezza e letizia in un modo superiore al comune, nell’abnegazione e nel controllo delle passioni.
La virtù eroica è l’elevazione delle virtù fino all’apice della loro perfezione per l’influsso efficace dei doni dello Spirito Santo (…) Tuttavia, come non ogni terreno produce tutto, ma viene raccomandato soprattutto per un prodotto particolare, così i santi per lo più sono nobilitati dallo splendore singolare di una sola virtù. Nonostante la connessione di tutte le virtù, una sola è la virtù che in essi è eminente e prevalente.
Ed è proprio l’eroismo virtuoso che suscita stupore e meraviglia, ma anche sequela e imitazione.
Il Vaticano ii – Lumen gentium, n.
50 – insegna al riguardo: “Il contemplare la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, è un motivo in più per sentirsi spinti a ricercare la città futura (cfr.
Lettera agli Ebrei, 13, 14 e 11, 10); nello stesso tempo impariamo la via sicurissima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo e secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità.
Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell’immagine di Cristo (cfr.
Seconda Lettera ai Corinzi, 3,18), Dio manifesta agli uomini in una viva luce la sua presenza e il suo volto.
In loro è egli stesso che ci parla e ci dà un segno del suo Regno verso il quale, avendo intorno a noi un tal nugolo di testimoni (cfr.
Lettera agli Ebrei, 12, 1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati”.
Nella nota 155, il testo conciliare richiama un decreto di Benedetto xv il quale sottolinea che la virtù eroica può consistere anche nelle piccole cose e, più precisamente, nel fedele, continuo e costante adempimento dei compiti e degli uffici del proprio stato.
Dal canto suo, Pio XII, a chi affermava che i santi sono piuttosto da ammirare che da imitare, rispondeva che la perfezione della santità e la sua eroicità si potevano raggiungere anche nella quotidiana e costante osservanza della legge divina e nella intensissima carità verso Dio e il prossimo.
E ogni santo ha espresso la sua virtù in modo del tutto originale: alcuni con l’ardore dell’apostolato, altri con la fortezza del martirio, altri con lo splendore della loro verginità o con la soavità della loro umiltà.
Nella virtù eroica Cristo si fa di nuovo visibile in mezzo a noi e il santo diventa lo specchio di Cristo (…) I santi, inoltre, sono i veri operatori dell’inculturazione del Vangelo, non mediante teorie elaborate a tavolino, ma vivendo e manifestando la sequela Christi nella propria cultura.
I santi mostrano la verità evangelica con la loro esistenza.
In essi si realizza la metamorfosi cristiana di una cultura, dal momento che rivelano come le beatitudini evangeliche tocchino e convertano al bene i cuori e le menti delle persone di ogni cultura.
Nei santi l’inculturazione non avviene principalmente ab externo, nello stile delle chiese, negli atteggiamenti del corpo, nel rivestimento linguistico, ma soprattutto, ab interno, nella loro persona.
Sono loro in persona il Vangelo vivente per quella cultura.
Come agli inizi della Chiesa furono i santi pastori, i santi teologi e i santi martiri a evangelizzare le culture della terra, così oggi la Chiesa ha bisogno dei santi per la riuscita di ogni inculturazione.
Il Vangelo infatti non è riservato a una cultura determinata, ma a tutte le culture: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Marco, 16, 15).
Ieri come oggi, questo compito è affidato soprattutto ai santi (…) In ciò consiste anche la dimensione missionaria dei santi, che costituiscono un’incarnazione personale del Vangelo.
La loro esistenza è la più efficace opera di convinzione della bontà della Parola di Dio, della sua verità per l’esistenza gioiosa dell’umanità.
Solo così si spiegano le conversioni al Vangelo operate dai santi missionari a cominciare dagli apostoli, che si sparsero in tutto il mondo annunciando la buona notizia della salvezza in Cristo, convertendo e battezzando (…) In conclusione, i santi sono segni concreti di speranza per un futuro di fraternità, di gioia e di pace.
Talvolta ci si lamenta per il grande numero di santi che vengono canonizzati.
Ma la Chiesa santa non può non generare figli santi.
Sarebbe come se ci lamentassimo della grande quantità, varietà e bellezza dei fiori in primavera.
(©L’Osservatore Romano – 30 aprile 2009 Prima di rispondere alla domanda sull’attualità della santità nella Chiesa e nel mondo, conviene premettere alcune considerazioni sul significato e sul valore della santità riconosciuta come tale dalla Chiesa e proposta ai fedeli come esempio d’imitazione di Cristo.
Diciamo subito che la solenne proclamazione della santità dei fedeli mediante la canonizzazione è un atto del Magistero pontificio di altissima qualità teologica.
Infatti, se al primo grado della Professio Fidei appartengono quelle dottrine di fede divina e cattolica che la Chiesa propone come divinamente e formalmente rivelate e, come tali, irreformabili, al secondo grado appartengono tutte quelle dottrine che riguardano la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo.
Si tratta di verità che sono infallibilmente insegnate dal magistero ordinario e universale della Chiesa con sententia definitive tenenda.
La canonizzazione appartiene a questo secondo grado di verità proposte in modo definitivo, in quanto fa parte di quelle dottrine necessarie per custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede.
I santi, sono quindi, pagine viventi della santità della Chiesa nei secoli. )
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