Aveva ragione Socrate, il filosofo impertinente, ammonendo gli scienziati con il suo «so di non sapere», che stupiva e irritava l’establishment ateniese.
Gli scienziati (e in particolare i matematici) di oggi se ne stanno rendendo conto, con una meraviglia crescente.
Il «so di non sapere» rappresenta per difetto il paradossale stato che oggi caratterizza la conoscenza scientifica.
«Man mano che andiamo avanti, scopriamo sempre più cose, ma quello che scopriamo veramente è quanto aumenti, di continuo, tutto ciò che non conosciamo » dice Mario Girardi, ordinario di Analisi matematica all’Università Roma Tre, dove è stato per 13 anni, fino a due mesi fa, preside di Facoltà (e da 40 anni pratica uno sport, il volo in aliante, che sembra una metafora della conoscenza).
Come se non bastasse l’ansia socratica, i ricercatori non riescono proprio a capire come mai la madre di tutte le scienze, la matematica, possa funzionare in modo rigoroso anche se non può dimostrare, con puri metodi logici o con metodi elementari, la propria coerenza scientifica (vedi Kurt Godel e il suo «teorema di incompletezza »).
L’intervista a Mario Girardi Professore, si può dire che più conosciamo e più diventa difficile raggiungere la verità scientifica, data la sua galoppante complessità? «La scienza moderna s’imbatte in un’infinità di problemi, ha una visione molto più ampia della complessità.
Appena conosciamo un pezzettino in più, ci si apre uno sterminato orizzonte di questioni che neanche immaginavamo.
Lo può notare qualsiasi scienziato.
Facciamo un esempio.
Prima che venisse studiato il genoma umano, nemmeno si sospettava l’enorme vastità dei problemi che avrebbe dischiuso.
Scoprire dove sono collocati i geni non vuol dire avere scoperto la fitta rete di interrelazioni tra i geni.
Nella matematica poi esistono questioni classiche, a volte molto semplici nella formulazione, la cui soluzione, quando si raggiunge, è molto complessa (si pensi al Teorema di Fermat).
Tutta questa complessità che ci circonda suscita meraviglia e va in parallelo con la profonda sorpresa che provano i matematici».
Ma perché alla matematica manca la solidità dei fondamenti? «Abbiamo una scienza matematica così bella, rigorosa sul piano formale, ma i suoi fondamenti non sono affatto solidi.
E tutto questo, secondo me, da un certo punto di vista è un’indicazione molto precisa della nostra insufficienza, cioè della necessità che ci sia un qualche altro substrato».
E quali sono i fondamenti? «Le regole della logica formale che garantiscono tutto, e la struttura di base dei numeri naturali.
Ora non c’è una dimostrazione logica o una dimostrazione matematica elementare che la teoria dei numeri naturali sia ‘coerente’.
Questo è un termine tecnico.
Si dice che una teoria è coerente quando non può dimostrare che sia vera un’affermazione e anche il suo contrario.
Viceversa una teoria incoerente vìola le leggi fondamentali della logica.
Accade se io posso dimostrare come vera sia la proposizione ‘A’ sia la negazione della proposizione ‘A’.
Si ha cioè incoerenza quando una teoria sostiene che una proposizione è vera ed è falsa.
Noi dovremmo riuscire a dimostrare, con la sola logica o con metodi matematici elementari, che la teoria dei numeri naturali, quelli che usiamo tutti i giorni, è coeren- te.
Ma, in virtù del teorema di Godel, non lo possiamo fare».
Eppure i numeri salvano vite, fanno correre i treni e volare gli aerei.
«Non è possibile dimostrare la coerenza della matematica, ma questa “funziona”, ha successo.
E la cosa è quasi incredibile, è una caratteristica straordinaria».
Ma è vero che, per essere bravi matematici, bisogna essere atei? «Ovviamente no.
La domanda è priva di senso (in termini più precisi, dovrei dire che è mal posta).
Chi abbina matematica e ateismo cerca di confondere i piani.
Non si limita ad affermare “So di non sapere”.
Fa una professione di fede a rovescio.
In proposito vorrei invece sottolineare che, a mio avviso, chiunque faccia scienza non può che rimanere sorpreso e stupefatto di fronte alla realtà da conoscere.
Nonostante le difficoltà e i problemi sui fondamenti, esistono tutta una serie di segnali, che non possiamo ignorare.
C’è da domandarsi: può essere soltanto un caso che tutto funzioni in questa maniera? Esistono una serie di indicazioni molto precise – segni, segnali e “puntatori” – sparse dovunque, che danno un altro significato a tutto quello che troviamo e vediamo.
Non ci danno certezze scientifiche: siamo stati lasciati liberi di poter interpretare, oppure no, questi segnali che ci circondano.
Ma basta sapersi guardare intorno».
I mass media attribuiscono grande valore scientifico all’esperimento in corso al Cern di Ginevra con il Large Hadron Collider.
L’obiettivo è trovare il bosone di Higgs, che il Nobel Leon Max Lederman ha definito «la particella di Dio».
Porterà a scoprire l’intima struttura della materia? «Direi che ormai abbiamo perso completamente l’idea che sia possibile conoscere l’intima struttura della realtà che ci circonda.
L’obiettivo dell’esperimento è la validazione di un modello che comprenda tutto quello che sappiamo, che abbiamo scoperto con un lungo percorso nell’ambito delle particelle elementari, che parte dalla fisica classica per proseguire con la relativistica e con quella quantistica.
Se verrà trovata questa particella finora mai osservata, si darà una sistemazione a tutto ciò che è noto fino ad ora sulla struttura della materia».
Non ci si spinge più in là? «Si unifica quello che si sa, ma poi si farà qualche altro passo avanti nella conoscenza e si scopriranno un abisso di cose in più che sono sconosciute.
Se nel super-acceleratore si riesce a dimostrare che quella particella esiste, allora vorrà dire che il modello standard (che mette insieme tutto ciò che si è appreso finora ) è un modello coerente.
Se non si scopre, siamo al punto di prima.
Stephen Hawking ha detto: “Come tutti gli scienziati, spero che si trovi il bosone di Higgs; Luigi Dell’Aglio
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