Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica – oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .
– Comunità monastica Ss.
Trinità di Dumenza, La voce, il volto, la casa e le strade.
Quaresima e tempo di Pasqua, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009, pp.
71.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
– C.M.
MARTINI, Incontro al Signore risorto.
Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.
Sulle tracce di Gesù II punto cruciale di questo cammino sta nel riconoscere che il Gesù risorto, che compie i desideri dell’uomo, è ancora il Gesù crocifisso, che ha affidato al Padre il compimento dei propri desideri.
Ha uniformato la propria volontà alla volontà del Padre.
Ha accettato di perdere la propria vita sulla croce, per compiere la missione di proclamare all’uomo pecca-tore e separato da Dio che il Padre non lo abbandona al fallimento, non lo rifiuta anche se è rifiutato; anzi gli dona il proprio Figlio, per mostrare che neppure il peccato impedisce a Dio di amare l’uomo e di attirarlo a sé in un gesto di perdono, che vince il peccato e la morte.
Tutto questo è implicitamente contenuto nel grido del discepolo prediletto, che rompe il silenzio del mattino: «E il Signore» (Gv 21,7).
Questa espressione, infatti, rievoca le pro-fessioni di fede della Chiesa primitiva.
Gesù, che si è umiliato nella morte, in obbedienza al Padre e per amore degli uomini, è stato glorificato dal Padre ed è stato proclamato Si-gnore, cioè colui che reca pienamente in sé la forza d’amore e di salvezza che è propria di Dio stesso.
Gesù manifesta la sua capacità e volontà di comunicare agli uomini l’amore salvifico del Padre anche attraverso un gesto simbolico.
Egli mangia con i discepoli.
L’umile, quotidiano gesto del mangiare è ricco di potenzialità espressive.
Può prestarsi a esprimere la comunicazione di beni sempre più grandi e misteriosi, che approfondiscono il bene fisico del cibo e il bene psicologico della conversazione, scambiati durante il pasto comune.
Gesù assume questo gesto umano e lo carica di prodigiose potenzialità.
Il pasto descrit-to nel cap.
21 di Giovanni non risulta essere un convito propriamente eucaristico.
Rievoca però il convito di Jahvè col popolo degli ultimi tempi, annunciato nell’Antico Testamento.
Si ricollega ai conviti messianici fatti da Gesù con i discepoli o con le folle.
Allude all’ulti-ma cena o ad altri conviti di Gesù risorto, che hanno caratteri più propriamente e chiara-mente eucaristici e comportano quindi il trapasso del generico simbolismo conviviale nella reale comunione col Signore, che si rende presente trasformando il pane e il vino nella vita e misteriosa realtà del corpo donato e del sangue versato.
(C.M.
MARTINI, Incontro al Signore risorto.
Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsa-mo, San Paolo, 2009, 258-259).
E’ il Signore! E’ l’acclamazione pasquale, è una parola che contiene tutto.
Il Signore è Colui che possiede la tua vita e te la vuole far vivere al centuplo; Colui che ha un progetto per te, che ti conduce a esprimere pienamente te stesso; Colui che è la somma di tutte le cose desiderabili; Colui che chiarisce, dipana, ordina, purifica, soddisfa tutti i tuoi desideri più profondi.
E’ il Signore della vita, della storia, della mia vicenda personale.
E’ il Signore della mia famiglia, della scuola, della società.
E’ Colui nel quale tutto trova il senso.
E’ Colui che è capace di dare a tutto un progetto ed una prospettiva.
(dagli Scritti del Card.
C.M.
Martini).
Aprire gli occhi Chi aprirà i nostri occhi ostinatamente chiusi per evitare di vedere la miseria agitarsi alla nostra porta? Chi aprirà i nostri occhi ostinatamente tappati per evitare di guardare faccia a faccia il prossimo che ci viene incontro? Chi aprirà i nostri occhi ostinatamente velati per evitare di essere abbagliati dalla presenza di Cristo con il suo vangelo esigente? Chi aprirà i nostri occhi per riconoscere lo Spirito di Dio all’opera sui molteplici cantieri dove l’umanità si rinnova? Chi aprirà i nostri occhi per riconoscere il seme che, con ostinazione, germoglia dall’arida terra screpolata? La pace sia con voi! Di ritorno dagli inferi, Cristo per donare la pace al mondo esclama: «La pace sia con voi! I discepoli parlavano ancora, quando Gesù stette in mezzo a loro e disse loro: La pace sia con voi!».
Giustamente dice: «con voi», perché la terra si era già consolidata, il giorno era ritornato, il sole aveva ripreso il suo splendore e il mondo aveva ritrovato il suo ordine e la coesione.
Ma presso i discepoli la guerra infuriava ancora; fede e mancanza di fede si combattevano violentemente.
Il turbamento della passione non aveva scosso il loro cuore quanto la terra; credulità e incredulità devastavano il loro animo con una guerra senza tregua; schiere di pensieri assediavano la loro mente e sotto i colpi della disperazione e della speranza il loro cuore si spezzava, nonostante la sua forza.
I sentimenti e i pensieri dei discepoli erano divisi tra gli innumerevoli miracoli che rivelano Cristo e le molteplici umiliazioni della sua morte, tra i segni della sua divinità e le debolezze della carne, tra l’orrore della sua morte e le grazie della sua vita.
Ora il loro spirito veniva portato in cielo, ora le loro anime ricadevano a terra; e nel loro cuore in cui infuriava la tempesta non tro-vavano alcun porto tranquillo, nessun luogo di pace.
Al veder questo, Cristo che scruta i cuori, che comanda ai venti, governa le tempeste e con un semplice segno muta la tempe-sta in un cielo sereno, li conferma con la sua pace, dicendo: «La pace sia con voi! Sono io; non temete.
Sono io, il morto e sepolto.
Sono io.
Per me Dio, per voi uomo.
Sono io.
Non uno spirito rivestito di un corpo, ma verità stessa fatta uomo.
Sono io.
Sono io, vivente tra i morti, celeste al cuore degli inferi.
Sono io, che la morte ha fuggito, che gli inferi hanno temuto.
Gli inferi mi hanno proclamato Dio, nel loro spavento.
Non temere Pietro, che mi hai rinnegato, ne tu, Giovanni, che sei fuggito, ne tutti voi che mi avete abbandonato, che avete pensato a tradirmi, che non credete ancora in me, anche se mi vedete.
Non temete, sono io.
Sono io, vi ho chiamati per grazia, vi ho scelti perdonandovi, vi ho sostenuto con la mia compassione, vi ho portato nel mio amore e oggi vi accolgo per mia sola bontà, per-ché il Padre non vede più il male quando accoglie suo figlio».
(PIETRO CRISOLOGO, Discorso 81, PL 52, 428A-D).
Andremo alla casa del Signore Mi rallegrai quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore».
E ora i nostri piedi sono nell’interno delle tue porte, Gerusalemme! Gerusalemme costruita come città, in sé ben compatta! Là salivano le tribù, le tribù del Signore, secondo il precetto dato a Israele di lodarvi il nome del Signore.
Sì, là s’ergevano i seggi del giudizio, i seggi della casa di Davide.
Augurate la pace a Gerusalemme: vivano in prosperità quanti ti amano! Sia pace fra le tue mura, prosperità fra i tuoi palazzi.
Per amore dei miei fratelli e amici dirò: Sia pace in te! Per amore della casa del Signore, nostro Dio, chiederò: Sia bene per te! (Salmo 121).
L’anima soffre e anela al Signore Aiutaci, o Signore, a portare avanti nel mondo e dentro di noi la tua risurrezione.
Donaci la forza di frantumare tutte le tombe in cui la prepotenza, l’ingiustizia, la ric-chezza, l’egoismo, il peccato, la solitudine, la malattia, il tradimento, la miseria, l’indiffe-renza hanno murato gli uomini vivi.
Metti una grande speranza nel cuore degli uomini, specialmente di chi piange.
Concedi, a chi non crede in te, di comprendere che la tua Pasqua è l’unica forza della storia perennemente eversiva.
E poi, finalmente, o Signore, restituisci anche noi, tuoi credenti, alla nostra condizione di uomini.
(Don Tonino Bello).
Preghiera O Signore, Signore risorto, luce del mondo, a te sia ogni onore e gloria! Questo giorno, così pieno della tua presenza, della tua gioia, della tua pace, è davvero il tuo giorno! Sono appena rientrato da una passeggiata attraverso l’oscurità dei boschi.
Era freddo e ventoso, ma tutto parlava di te.
Ogni cosa: le nuvole, gli alberi, l’erba umida, la valle con le sue luci lontane, il rumore del vento.
Parlavano tutti della tua risurrezione: tutti mi rende-vano consapevole che ogni cosa è davvero buona.
In te tutto è creato buono e da te tutta la creazione è rinnovata e portata a una gloria persino più grande di quella posseduta al principio.
Camminando nell’oscurità dei boschi alla fine di questa giornata piena di intima gioia, ti ho sentito chiamare Maria Maddalena per nome e dalla riva del lago ti ho sentito gridare ai tuoi amici di gettare le reti.
Ti ho anche visto entrare nella sala con la porta serrata dove i tuoi discepoli erano radunati pieni di paura.
Ti ho visto apparire sul monte così come nei dintorni del villaggio.
Quanto sono veramente intimi questi eventi: sono come favori spe-ciali fatti a cari amici.
Non sono stati fatti per impressionare o sopraffare qualcuno, ma semplicemente per mostrare che il tuo amore è più forte della morte.
O Signore, ora so che è nel silenzio, in un momento tranquillo, in un angolo dimentica-to che tu m’incontrerai, mi chiamerai per nome e mi dirai una parola di pace.
E nell’ora della maggiore quiete che tu diventi per me il Signore risorto.
O Signore, sono così riconoscente per tutto quello che mi hai dato nella settimana tra-scorsa! Rimani con me nei giorni che verranno.
Benedici tutti quelli che soffrono in questo mondo e dona pace alla tua gente, che hai tanto amato da dare la vita per lei.
Amen.
(J.M.
NOUWEN, Preghiere dal silenzio, in ID., La sola cosa necessaria Vivere una vita di pre-ghiera, Brescia, Queriniana, 2002, 242-243).
LECTIO – ANNO B Prima lettura: Atti 3,13-15.17-19 In quei giorni, Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete con-segnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassi-no.
Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo te-stimoni.
Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi.
Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire.
Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».
Questo brano fa parte della catechesi su Gesù che Pietro rivolge ai suoi uditori di origi-ne ebraica.
L’autore degli Atti degli apostoli ha raccolto questa catechesi in una serie di «discorsi» e li ha collocati nella prima parte della sua opera (capitoli 2-4).
È importante sot-tolineare gli elementi che caratterizzano questa catechesi.
Innanzitutto emerge la continuità tra l’agire di Dio nell’Antico Testamento e ora nella risurrezione di Gesù: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri pa-dri ha glorificato il suo servo Gesù».
La risurrezione di Gesù non va considerata come un cor-po estraneo nella Bibbia.
Essa si inserisce pienamente nel progetto di salvezza che Dio ha pensato per l’uomo, un progetto che passa misteriosamente attraverso la croce e culmina nella gloria della Pasqua.
Questo progetto era già anticipato nei «Canti del Servo sofferen-te del Signore» (vedi Is 42; 49; 52-53), nei quali si delineava chiaramente la «logica» di Dio: il Servo sofferente sarebbe divenuto il Messia glorificato, grazie all’intervento decisivo di JHWH.
Ai suoi uditori, che conoscevano bene la Bibbia, Pietro propone questa «logica», ricorrendo alla stessa terminologia di Isaia: «Dio ha glorificato il suo Servo Gesù».
L’entrare in questa «logica» esige però un cambiamento di mentalità e una conversione nei confronti di Gesù.
L’espressione «io so che voi avete agito per ignoranza» vuole sottolinea-re quanto sia difficile comprendere la vita, la morte e la risurrezione di Gesù nella «logica» che è propria di Dio.
Il termine «ignoranza» (in greco, àghnoia) indica la difficoltà di com-prendere in questo modo tutta la vicenda di Gesù.
Questa «ignoranza» è da collocare alla base del processo condotto contro Gesù: «Voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato…
avete rinnegato il Santo e il Giusto…
Avete ucciso l’autore della vita».
Infatti nessuno era stato in grado di comprendere il progetto di salvezza di Dio, che doveva passare attraverso la cro-ce e la sofferenza.
Solo dopo la risurrezione di Gesù, gli apostoli vengono illuminati e comprendono in pienezza l’agire di Dio.
La predicazione di Pietro e degli altri apostoli, te-stimoni della misteriosa «logica» di Dio, offre la possibilità di convertirsi al progetto di Di-o, portato a compimento da Gesù in un modo e in una forma che la mentalità degli uomini non è riuscita a comprendere.
Seconda lettura: 1Giovanni 2,1-5 Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha pecca-to, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto.
È lui la vittima di e-spiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.
Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti.
Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità.
Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfet-to.
Questo breve brano presenta una nuova esortazione per il cristiano, che è quella di os-servare i comandamenti.
Precedentemente l’autore aveva esortato i destinatari del suo scritto a pentirsi dei peccati e a riconoscerli davanti a Dio, per entrare nella pienezza della salvezza offerta da Gesù.
A queste esortazioni seguiranno quelle di guardarsi dal «mon-do» (inteso come tutto ciò che si oppone al vangelo) e dagli «anticristi» (il riferimento è ad alcune eresie che già hanno preso piede nella comunità cristiana a cui scrive Giovanni).
«Abbiamo un Paràclito presso il Padre»: il termine greco paràkletos («avvocato», «interces-sore», «consolatore») è caratteristico di Giovanni, che lo riferisce allo Spirito Santo (vedi i seguenti testi del suo vangelo: 14,16.26; 15,26; 16,7) e, in questo passo della prima lettera, a Gesù.
Esso designa una persona amica, che sta vicino a chi è accusato e condotto in tribu-nale (il verbo greco parakalèo significa anche: «chiamare accanto») e ne sostiene le ragioni o ne mitiga la sentenza, qualora questa risultasse sfavorevole.
«Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo»: il verbo «conoscere» va inteso nel suo significato globale, come è usato nella Bibbia.
Questo è il verbo che signi-fica sapere chi è Dio e ciò che egli vuole.
Significa conoscere il modo di porsi di Dio nei confronti dell’uomo e significa l’imitazione di questo stesso comportamento di Dio da par-te dell’uomo.
Non è quindi un verbo puramente astratto, teorico, ma è un verbo con una forte accentuazione pratica ed etica.
Il richiamo all’osservanza dei comandamenti è motivato dal fatto che l’eresia gnostica — sviluppatasi all’epoca di questo scritto — sosteneva che la salvezza dell’uomo era possibile solo attraverso la conoscenza teorica di Dio (ma senza alcuna implicanza etica).
Questa co-noscenza — chiamata con il termine greco ghnòsis — portava a considerare il corpo del-l’uomo, con le sue passioni e i suoi peccati, come irrilevante nel conseguimento della sal-vezza.
Ciò significava un totale disinteresse per la morale, che per il cristiano non è tanto un insieme di leggi o di divieti, quanto piuttosto la conoscenza della volontà di Dio e il conformarsi ad essa, compiendola ogni giorno.
Infatti per il cristiano non vi può essere se-parazione tra anima e corpo, tra conoscenza di Dio e pratica cristiana, tra religione e mora-le, tra vangelo e vita quotidiana.
Vangelo: Luca 24,35-48 In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Un-dici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano ri-conosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Ge-sù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».
Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma.
Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho».
Di-cendo questo, mostrò loro le mani e i piedi.
Ma poiché per la gioia non credevano an-cora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?».
Gli of-frirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi».
Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Ge-rusalemme.
Di questo voi siete testimoni».
Esegesi Il brano proposto conclude l’episodio che ha come protagonisti i due discepoli di Em-maus, e contiene un nuovo racconto di apparizioni, che gli esegeti chiamano «apparizione di riconoscimento».
Mediante alcuni segni/gesti che Gesù compie — come il mangiare, il lasciarsi toccare, il mostrare le mani e i piedi —, egli vuole eliminare negli apostoli il so-spetto che si tratti della visione dello spirito di un morto («un fantasma»), vanificando così l’esperienza più vera della Pasqua.
Per i cristiani che provenivano dall’ambiente greco, infatti, era comune credenza che lo spirito vivesse separato dal corpo dopo la morte.
Era perciò necessario precisare che Gesù risorto non è uno spirito senza corpo e che non appartiene più al regno dei morti, come gli spiriti.
Per questo, nel racconto di apparizione, si insiste sul vedere, mangiare, toccare.
Ma anche l’ambiente ebraico incontrava grandi difficoltà nel comprendere e nell’accetta-re la risurrezione di Gesù.
Accettarla significava, infatti, che ormai si era davanti all’inter-vento definitivo di JHWH nella storia, che erano iniziati gli ultimi tempi e che ormai erano giunti il mondo nuovo, il Regno di Dio e la risurrezione finale e definitiva, promessa dai profeti (vedi Ezechiele).
Per questo l’evangelista colloca l’evento della Pasqua di Gesù nel-l’insieme delle Scritture: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il ter-zo giorno».
«Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma»: lo spavento ha origine dal fat-to che Gesù appare all’improvviso.
Il termine «fantasma» traduce il greco pneuma («spiri-to»).
Secondo la concezione greca, dopo la morte lo spirito era separato dal corpo e non si riuniva più ad esso.
Nella concezione cristiana, invece, corpo e spirito costituiscono la per-sona, e la risurrezione fa di questo nostro corpo non un fantasma, ma un corpo «glorioso», «glorificato», come quello di Gesù.
«Lo prese e lo mangiò davanti a loro»: con questa frase, più che insistere sulla realtà incon-fondibile del corpo di Gesù, l’evangelista vuole evidenziare la vittoria di Gesù sulla morte, simboleggiata dalla rinnovata partecipazione alla mensa con i suoi discepoli, come avve-niva prima della morte.
L’espressione «davanti a loro» (in greco, enòpion autòn) si potrebbe tradurre anche: «a mensa con loro».
È un’espressione che ricorre anche in Lc 13,26: «Ab-biamo mangiato e bevuto in tua presenza (in greco, enòpion sou, «alla tua mensa»)» e pro-babilmente con essa si vuole esprimere la continuità tra il Gesù prima della Pasqua e il Ge-sù risorto.
«Nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi »: è la suddivisione di tutta la Bibbia secondo il canone ebraico.
È curioso, qui il rilievo dato ai Salmi, dal momento che la Bibbia ebraica chiama la terza parte della Scrittura, con il termine generico «Gli Scritti».
Probabilmente i Salmi vengono nominati perché costituiscono la parte più abbondante degli «Scritti».
Non va neppure dimenticato che nel Nuovo Testamento i Salmi vengono citati con frequenza sia nei vangeli sia negli Atti degli apostoli come profezie della risurrezione di Gesù.
Meditazione «Ma non mi riconosci?».
È capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di trovarsi dinanzi a qualcuno che chiede di essere identificato come quel tale compagno di scuola, di lavoro, di una qualche avven-tura estiva o invernale, di un’esperienza vissuta assieme in un tempo ormai trascorso…
Prima di indagare mediante domande di approfondimento e prima di metter mano a do-cumenti probanti, cosa abbiamo fatto per verificare l’ipotesi? Abbiamo guardato con atten-zione il volto del nostro interlocutore, ovviamente! È curioso che nel brano evangelico odierno Gesù chieda di essere riconosciuto…
dalle mani e dai piedi! Ora, né Gesù né l’evangelista Luca erano dei burloni.
Questa sorprenden-te espressione del Risorto ci aiuta invece…
a non sentirci più sfortunati dei contemporanei di Gesù: se i suoi discepoli, che hanno vissuto con lui per anni, non lo hanno riconosciuto guardandolo in faccia, perché noi ci ostiniamo a sostenere che ci sarebbe più facile credere se lo avessimo visto ‘in carne e ossa’? L’invito di Gesù mira piuttosto a calibrare la nostra fede a un livello più profondo e ‘democratico’: ognuno di noi può dire con autenticità e au-torevolezza che il Signore è risorto solo se accettiamo che egli sia anche…
il Crocifisso! Ec-co perché invita a guardare le mani e i piedi, dove sono – e restano! – impressi i segni, le ci-catrici della sua morte orrenda e ingiusta.
Il mistero della ‘fìnitudine’ divina, iniziato con il Natale, trova qui la sua massima espressione.
Per condividere fino in fondo la nostra con-dizione umana, il ‘tutto’ sta e rimane in un ‘frammento spezzato, crocifisso’.
Ma la ‘credibi-lità’ di Gesù sta proprio nel non aver voluto fare il dio ‘ovvio’, giocare ad un dio ‘scontato’, che mantiene le distanze e le distinzioni…
Se gli Undici erano «sconvolti e pieni di paura» (v.
37) non è soltanto perché credevano di «vedere un fantasma» (vv.
37,39) ma probabilmente perché temevano di essere ripresi – e non poco! – a causa della loro assenza sotto la croce di Gesù.
Era pertanto difficile affron-tare questo sorprendente incontro con il loro maestro nel clima della ipotizzata ‘rimpatria-ta’ di cui sopra si diceva…
E invece non c’è nulla di tutto ciò nelle parole di Gesù che Luca ci riporta.
Emerge piuttosto la ferma volontà di voler farsi vicino ai suoi discepoli, di con-solare il loro dolore, illuminare la loro delusione, apprezzando la loro disponibilità a ritro-varsi ancora insieme per dare ascolto a Pietro e ai due sconosciuti provenienti da Emmaus; soprattutto, per offrire loro la pace, pienezza di tutti i doni messianici.
In verità, seppur più lievemente rispetto a Cleopa e al suo compagno (cfr.
vv.
24,25), Gesù ‘rimprovera’ i presenti, affermando con vigore che la sua morte in croce non è stato ‘un incidente di percorso’ da dimenticare quanto prima…
Rammenta loro che avrebbero potuto ricordare le parole del Primo Testamento, in tutte le sue parti, in cui non veniva vi-sto come contradditorio l’aspetto penoso e quello vittorioso: il percorso del Messia non era pensato come precluso alla prova, al rifiuto, all’ostilità, alla sofferenza, non era affatto pro-fetizzato come una celeste cavalcata trionfale.
Se è vero che ogni uomo cresce, matura e si appropria della sua umanità attraverso queste esperienze, perché le si sarebbe dovute e-scludere dall’esistenza di Gesù? Come avrebbe potuto costui innalzare, rialzare la vita del- l’uomo se non l’avesse assunta in pienezza? C’è effettivamente da «non riuscire a credere ed essere stupefatti per la grande gioia» (v.
41 )! Lo sguardo deve essere stato addirittura trasognato quando Gesù ha incaricato questi uomini frastornati e impauriti di aiutare ogni uomo a interpretare la propria esistenza alla luce di quella vicenda che si era appena conclusa e li aveva così impressionati.
Allora an-che l’incarico di testimoniare a tutte le genti questa solidarietà umile, ma tenace e liberante, non sarà stato fonte di timore ma stupita riconoscenza, annuncio di benevolenza gratuita e generosa, esigente educazione alla maturità a misura di Cristo: era nata la Chiesa!
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