Stravaganti, irriverenti, sarcastici, con la battuta sempre pronta, occhi a palla e pelle gialla: sono i Simpson! Diciamo la verità: alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Homer, Marge, Bart, Lisa e della piccola Maggie (se qualcuno alza la mano, ecco pronto un bel “d’oh!” da parte dell’autore).
“I Simpson” è la serie animata televisiva più famosa e seguita da quindici anni ad oggi: incollano davanti allo schermo un pubblico abbastanza eterogeneo, che va dagli adolescenti sino agli adulti.
Cosa c’è di tanto ammaliante in questa famiglia di esseri gialli da riuscire a catturare l’attenzione di giovani e non? Ma soprattutto: che c’azzecca questa tipica famiglia della classe media americana e le sue sgangherate avventure con il percorso sulla narrazione della fede di quest’anno? Forse che un cartone animato possa esserci d’aiuto per affrontare qualche riflessione in parrocchia? Breve identikit di una famiglia-tipo all’occidentale Non è escluso che chi ora sta leggendo sappia poco o nulla della sitcom animata in questione…
Ecco quindi una breve descrizione della storia e dei personaggi.
I Simpson vivono nella città di Springfield, negli Stati Uniti: assieme alla loro eterogenea comunità, questa famiglia rappresenta in maniera umoristica e per lo più sarcastica uno spaccato della società e dello stile di vita statunitense (ma, data la sempre più diffusa “americanizzazione” che anche il nostro tessuto sociale sta conoscendo, possiamo dire che molto spesso ritrae vizi e virtù non solo degli States, ma del mondo occidentale in generis).
I personaggi Narrare la fede…
coi giallii Simpson Come ogni serial, anche questo comincia con la sigla che, nei modi più bizzarri e rocamboleschi, rappresenta la frenetica corsa dei componenti della famiglia per prender posto sul divano di casa e accendere la tv che trasmette proprio…
i Simpson! L’irruenza del tubo catodico nella vita moderna è la deduzione forse più banale cui si può giungere guardando la sigla in questione, ma a questa riflessione si può aggiungere una altrettanto semplice ed onesta intuizione: tutti i ragazzi hanno familiarità con i linguaggi della tv e, considerazione ancor più importante, molti di loro conoscono e seguono i Simpson.
Certo, non è questo il motivo principale per cui si è scelta la strada di tentare un approccio alla discussione sulla fede mediante questo cartone animato, ma è bene tenerlo presente, specie se ad un primo impatto questo vivace quintetto ci trasmette sensazioni contrastanti, capaci di mettere in subbuglio la nostra coscienza circa l’opportunità o meno di proporre qualche spezzone di questo serial in parrocchia.
I giovani vedono i Simpson e ridono alle loro provocatorie battute: che tutto questo possa rivelarsi utile per parlare di fede nei nostri oratori? Consapevoli del fatto che i “Simpson” sono una serie televisiva nel complesso discutibile e non adatta ai più piccoli, ma anche molto famosa e largamente seguita dai giovani, proponiamo una selezione di puntate (con relativa guida) per tentare un nuovo approccio al dialogo sulla fede nei gruppi parrocchiali.
Un altro aspetto importante di questa sitcom è che nelle svariate sfumature dei personaggi, nei loro comportamenti e caratteri non è poi così difficile intravedere delle somiglianze con i modi di pensare e di agire nostri o di persone a noi vicine.
I Simpson dunque siamo noi (anche se preferiremmo non esserlo)? In un certo modo è così.
Chiaramente non all’estremo: lungi Homer Simpson dall’essere il padre medio italiano (per fortuna non siamo ancora arrivati a questo punto!), però a ben vedere in questo cartone animato ci sono numerosi richiami ai luoghi comuni (il politico corrotto, l’imprenditore tirchio e senza scrupoli, la madre che farebbe qualunque cosa per i figli, il sacerdote dalla predica lunga e noiosa,…) e alle dinamiche classiche della nostra società (a scuola: i bulli e i secchioni, gli scontri di personalità tra l’alunno ed il professore…
e tra professore e bidello…).
Sotto questo aspetto i Simpson pongono il riflettore su diversi contesti del nostro vivere quotidiano, con il rispettivo mix di stati d’animo e con quella punta di ironia e sarcasmo che ci permette di ridere anche sui nostri difetti.
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