Credo che l’editoriale di questo numero di OP sia quasi scontato e che si debba concentrare sui cosiddetti «decreti Gelmini».
Sarebbe, però, riduttivo limitarsi solo a queste misure che, tra l’altro, non sono una riforma ma solo una razionalizzazione dell’esistente, promossa peraltro anche dall’intero governo di cui il ministro Gelmini fa parte; pertanto, farò riferimento a tutto il disegno complessivo del Governo e del Ministro, stando anche a quello che emerge dalle sue dichiarazioni programmatiche del 10 giugno del 2008.
Trattandosi di un editoriale mi concentrerò sulle problema-tiche essenziali, rimanendo nei limiti dello spazio a esso concesso nella nostra rivista.
Nel suo intervento programmatico, il Ministro correttamente richiamava tutti a superare vi-sioni ideologiche contrapposte, a lasciare lo scontro politico fuori della scuola, ad adottare soluzioni condivise.
Al contrario ci si dovrebbe far guidare dal pragmatismo e puntare sulla buona ammini-strazione e sul buon governo.
L’invito a una politica della scuola «bipartisan» e al buon senso è senz’alto giusto perché è in gioco il futuro della nostra gioventù, la risorsa più importante del Paese; sfortunatamente il Ministro sembra averlo dimenticato appena qualche mese dopo, proprio in occa-sione dell’approvazione delle misure estive sulla scuola, anche se non si può ignorare che l’opposizione non è stata da meno e ha preferito il muro contro muro.
Un clima più “bipartisan” si è creato nell’iter di approvazione delle misure sull’università, anche se è intervenuto dopo un periodo di grandi manifestazioni di piazza e di violenta contestazione: in questo caso diversi emendamenti dell’opposizione sono stati accolti, sebbene il suo voto finale sia stato negativo perché il provvedi-mento è stato giudicato manchevole e minimale, mentre la Conferenza dei Rettori, Crui, ne ha ap-prezzato gli elementi di positività.
Sul merito del testo ricordo le disposizioni volte a colpire la fi-nanza allegra di università che spendono troppo e male, ma anche a premiare le università virtuose, quelle mirate a colpire i «baroni» che non producono lavori scientifici e quelle finalizzate ad aiutare gli studenti veramente meritevoli con borse di studio e alloggi più numerosi..
A parere della Gelmini – e non lo si può contestare – il sistema educativo di istruzione e di formazione si presenta mediocre nei risultati, un sistema in cui sembra tramontata la cultura del me-rito e che ha assunto sotto molto aspetti le caratteristiche di ammortizzatore sociale.
Due logiche perverse hanno alimentato questa situazione: per favorire gli studenti si è ritenuto opportuno abbas-sare il livello della qualità dei processi di apprendimento-insegnamento e si è creduto che una mag-giore sicurezza potesse consentire di pagare poco i docenti e potesse compensare lo scadimento del loro ruolo e dello loro status senza tenere presente che uno Stato che retribuisce malamente i suoi insegnanti, non può esigere molto da loro in termini di qualità dell’educazione offerta.
Come il Ministro ha affermato nelle dichiarazioni programmatiche, queste derive pericolose vanno ribaltate, puntando alla rivalutazione delle funzioni degli insegnanti, a iniziare dal completo riconoscimento della loro condizione professionale.
Questo tra l’altro richiede l’identificazione di nuove risorse attraverso uno sforzo di riqualificazione della spesa pubblica che, non bisogna dimen-ticarlo, si pone in un contesto di gravi difficoltà economiche e finanziarie.
Inevitabilmente il Ministro ha collegato i suoi interventi al piano triennale di contenimento delle spese promosso dal suo governo.
Non si può neppure ignorare che il rapporto insegnan-ti/alunni che si riscontra in Italia è uno dei più bassi in Europa, cioè è evidente l’eccedenza di do-centi rispetto al corpo studentesco: pertanto, dal punto di vista del Ministro la riduzione degli inse-gnanti deve essere considerata come un allineamento del rapporto docenti/studenti alle medie euro-pee in modo da salvare risorse da impiegare al servizio di una più elevata qualità educativa; al con-trario, dagli oppositori tale intervento è visto come una grave riduzione del corpo insegnante con pericolo per l’efficacia dell’azione della scuola.
Tuttavia l’entità della razionalizzazione della rete scolastica e del ridimensionamento del numero dei docenti, l’aver previsto il reinvestimento nell’istruzione solo di un 30% dei risparmi e non di tutto il risparmio e il non aver chiarito le finalità in positivo dei tagli hanno scatenato le contestazioni dei sindacati e della piazza.
Un’altra delle misure che ha trovato molta opposizione riguarda il ritorno alla figura del ma-estro unico nelle primarie, anche se sarà affiancato dai docenti di inglese e di religione.
Gli opposi-tori hanno fatto notare che nel contesto della crescita enorme del sapere una figura unica di docente sembra un vero impoverimento; inoltre, essendo le elementari italiane l’unico ordine e grado di scuole riconosciuto valido anche a livello internazionale, pare del tutto illogico abbandonare il si-stema di una pluralità di docenti, che sembra aver dato buoni risultati negli ultimi diciotto anni.
Per il Ministro, al contrario, il suo provvedimento favorirebbe l’unitarietà dell’insegnamento e le rela-zioni tra scuola e famiglia in quanto sia l’alunno sia la famiglia sentirebbero il bisogno di una figura unica di riferimento con cui instaurare un rapporto continuo e diretto.
A essere completi va pure precisato che l’attivazione di classi affidate a un unico docente e funzionanti per un orario di 24 ore settimanali non è la sola opzione organizzativa possibile, ma rimangono percorribili anche quella delle 27 ore con esclusione però delle attività opzionali facoltative, e quella delle 30 ore comprensi-va dell’orario opzionale facoltativo.
Probabilmente la questione «maestro unico o pluralità di mae-stri» poteva essere risolta facendo perno sull’autonomia delle scuole e stabilendo solo degli stan-dard minimi e massimi.
Le intenzioni del Ministro sono condivisibili quando si tratta di rafforzare la gestione delle scuole, di attribuire loro poteri, competenze e risorse adeguate e fare dell’autonomia il perno del si-stema di valutazione.
A sua volta, questa rinvia a una valutazione che attesti in maniera trasparente i modi in cui vengono utilizzate le risorse economiche di tutti e gli obiettivi che sono raggiunti.
La valutazione richiede la responsabilizzazione dell’istituto e dei vari attori: altrimenti i risultati non possono essere attribuiti in bene o in male a persone e a gruppi.
Come si sa, i «decreti Gelmini» hanno ripristinato la valutazione del comportamento com-plessivo tenuto durante l’anno scolastico da parte dello studente.
Tale disposizione potrebbe contri-buire a superare la logica della separazione tra l’aspetto conoscitivo e la complessiva maturazione della personalità.
Ma occorrerà pensare e trattare la cosa nella intrinseca connessione degli aspetti, magari nella linea di una teoria dell’apprendimento che coniuga in maniera valida ed efficace cono-scenza e azione, comportamenti e atteggiamenti, individualità e socialità, personalizzazione e colla-borazione; e in un quadro di scuola-comunità democratica dell’apprendimento, qual è prefigurata nello Statuto degli studenti.
Il medesimo provvedimento ha reintrodotto i voti numerici espressi in decimi.
In questo caso molto dipenderà dall’equilibrio che verrà raggiunto tra questo strumento di valutazione e il giudizio analitico sul livello globale di maturazione dell’alunno.
I dati mettono in evidenza che la mobilità sociale in Italia è limitata e che la scuola tende a svolgere una funzione riproduttiva delle diseguaglianze piuttosto che di lotta alle disparità sociali.
Una prima strategia per affrontare questo nodo problematico consiste nell’assicurare a tutti gli stu-denti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali in tema di istruzione e di formazione.
Nella società della conoscenza questo non può che consistere nella elevazione della preparazione di base a livello di diritto-dovere di istruzione e di formazione e di obbligo di istruzio-ne; al tempo stesso è necessario evitare lo spezzettamento dei saperi.
Un’altra strategia fa capo alla personalizzazione del processo di insegnamento-apprendimento.
Quanto al nodo del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione, la fi-nalità pienamente condivisibile del Ministro è di elevare tutta l’offerta alla «serie A».
Il dibattito tanto accesso sulla scelta precoce a 14 anni tra secondaria di 2° grado da una parte e istruzione e formazione professionale dall’altra dovrebbe evitare le contrapposizioni ideologiche e misurarsi in maniera convergente con la sfida di elaborare percorsi capaci di aiutare tutti gli studenti a trovare la strada più adeguata.
La soluzione del Ministro è di dare a ogni allievo la sua scuola in modo che ogni persona trovi nella sua scuola le ragioni per frequentarla con profitto perché l’indifferenziazione dei percorsi è la strada più sicura verso gli abbandoni e le ripetenze.
Tale orientamento del Ministro ha trovato da subito un’attuazione importante.
Uno dei suoi primi interventi è consistito nella conferma della presenza di un canale di istruzione e formazione professionale nel nuovo obbligo di istruzione elevato di due anni (fino cioè a 16).
Il problema è che a oggi non ci sono nella Legge Finanziaria le cifre necessarie per realizzare questa misura del tutto positiva.
Riguardo alla libertà di scelta educativa, il Ministro parte correttamente dalla legge n.
60/00 e richiama la novità fondamentale di una normativa che ha sancito il principio di un sistema nazio-nale di istruzione del quale sono parte integrante scuola statale e non statale e in cui le paritarie svolgono un servizio pubblico.
Da questi principi scaturiscono però solo degli impegni piuttosto vaghi e, anche se all’ultimo momento è stata evitata (ma mentre scrivo, non del tutto) l’illogicità della legge finanziaria per il 2009 che prevedeva tagli per 133,4 milioni di euro, pari al 25% in me-no rispetto al 2008 (534 milioni rispetto agli oltre 6 miliardi che le paritarie fanno risparmiare allo Stato con le loro scuole), tuttavia non si sono volute aumentare le risorse ferme ai livelli del 2000; inoltre, per i comportamenti negativi non solo del centro-destra, ma anche del centro-sinistra, si è trasformato un obbligo di finanziamento strutturale come quello previsto dalla 60/00 in una benevo-la concessione del governo di turno.
Guglielmo Malizia
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