Date a Darwin quel che è di Darwin. Ma la creazione è di Dio

La rivista su cui è uscito il saggio: > La Civiltà Cattolica__________ Il sito web del convegno, in italiano e in inglese: > Biological Evolution: Facts and Theories__________ Benedetto XVI dedicò a “creazione ed evoluzione” il seminario a porte chiuse che tenne con i suoi ex allievi a Castel Gandolfo nel settembre del 2006.
In quell’occasione www.chiesa pubblicò il seguente servizio: > Creazione od evoluzione? La Chiesa di Roma risponde così (11.8.2006) Nel servizio sono riprodotti il discusso articolo che il cardinale Christoph Schönborn dedicò al tema sul “New York Times” del 7 luglio 2005, una nota del professor Fiorenzo Facchini (uno dei relatori al convegno dei giorni scorsi su Darwin) e un indice ragionato dei testi del magistero della Chiesa sull’evoluzione.
Dopo di allora, Benedetto XVI è tornato sul tema, in particolare nel discorso programmatico alla curia romana del 22 dicembre 2008, in un passo evidenziato in quest’altro servizio di www.chiesa: > Tutti i numeri della fede.
Quando Ratzinger veste i panni di Galileo
(9.1.2009) Inoltre, sono usciti in un libro gli atti del seminario di Castel Gandolfo del settembre 2006, con saggi di Christoph Schönborn, Peter Schuster, Robert Spaemann, Paul Erlich, Sigfried Wiedenhofer.
Il libro, intitolato “Creazione ed evoluzione”, è stato pubblicato in Italia dalle Edizioni Dehoniane di Bologna e in Germania da Sankt Ulrich Verlag, di Augsburg.
__________ 9.3.2009 Da Darwin in poi, poche teorie scientifiche sono state così aspramente discusse come l’evoluzione e hanno determinato un tale cambiamento di paradigma nella comune interpretazione dell’intera realtà, uomo compreso.
Sia nel campo scientifico, sia nella visione della Chiesa cattolica, creazione ed evoluzione di per sé non si escludono.
Nell’uno e nell’altro campo vi sono però tendenze ad erigere delle costruzioni teoriche che sono sì tra loro escludenti.
Nel presentare ufficialmente il convegno, in Vaticano, il gesuita Marc Leclerc, professore di filosofia della natura alla Gregoriana, ha così sintetizzato le due opposte derive ideologiche: “La novità del paradigma ha spinto parecchi seguaci di Darwin ad oltrepassare i confini della scienza per erigere qualche elemento della sua teoria, o della sintesi moderna realizzata nel corso del XX secolo, a ‘Philosophia universalis’, secondo la giusta espressione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, a chiave d’interpretazione universale di una realtà in perpetuo divenire.
“Ma lungo questa scia si sono diretti troppo spesso anche gli avversari del darwinismo, confondendo la teoria scientifica dell’evoluzione con l’ideologia onnicomprensiva che la snaturava, per rigettarlo del tutto in quanto totalmente incompatibile con una visione religiosa della realtà.
Tale situazione potrebbe spiegare il ritorno odierno di concezioni ‘creazioniste’ o di ciò che si presenta a volte come una teoria alternativa, il così detto ‘intelligent design’.
A questo livello siamo lontani dalle discussioni scientifiche”.
In effetti nessun relatore, al convegno, ha difeso l’una o l’altra di queste costruzioni ideologiche.
Tutte sono state discusse e valutate criticamente.
L’intento comune era di esercitare le singole discipline – scientifiche, filosofiche, teologiche – con le specificità e le ricchezze di ciascuna, a beneficio di tutte.
Dopo cinque giorni intensissimi, con trentacinque relazioni tenute da altrettanti specialisti, si può dire che l’obiettivo sia stato raggiunto.
La pace tra creazione ed evoluzione appare oggi più solida.
Una prova luminosa di come le due visioni del mondo possano convivere e integrarsi è nel saggio che segue, pubblicato alla vigilia del convegno da “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma stampata con il preventivo controllo della segreteria di stato vaticana.
L’autore insegna nella Pontificia Università Gregoriana, la stessa che ha ospitato il convegno su Darwin.
Nel suo saggio egli mostra come il racconto biblico della creazione non solo non è incompatibile con la razionalità moderna, ma ha segnato “una emancipazione del sapere scientifico”, consegnando il creato alla responsabilità dell’uomo.
Del saggio, uscito sul numero 3807 della “Civiltà Cattolica” con la data del 7 febbraio 2009, è qui riprodotto un estratto: “L’origine delle specie”.
Genesi 1 e la vocazione scientifica dell’uomo di Jean-Pierre Sonnet Quando si parla delle origini, per i cristiani del nostro tempo la sfida è vivere una doppia cittadinanza: una fedeltà intelligente all’insegnamento di Genesi 1 e un’apertura attenta alle proposte della ricerca scientifica.
[…] Oggi tuttavia essi devono affinare tale duplice lealtà, in un tempo in cui alcuni si divertono a porre l’una contro l’altra le nozioni di creazione e di evoluzione, sotto forma di ideologie – creazionismo ed evoluzionismo – reciprocamente esclusive.
Per i sostenitori dell’evoluzionismo, rifarsi al poema iniziale della Genesi significa regredire in una forma di oscurantismo incompatibile con la razionalità dell’età moderna.
In questo saggio cercheremo di dimostrare che il riferimento ai primi capitoli della Genesi non implica affatto una resa dell’intelligenza.
[…] Una razionalità luminosa attraversa questi testi, capaci di parlare a ogni uomo ragionevole, e in particolare all’uomo di scienza contemporaneo.
[…] *** Genesi 1 potrebbe avere come sottotitolo “Process and Reality”: l’atto creatore vi è distribuito in momenti successivi, nella sequenza di una settimana.
[…] Lungi dall’essere un’esplosione di potenza cieca, la creazione – secondo il poema narrativo di Genesi 1 – è un’azione che si svolge progressivamente, in una sequenza ordinata, in cui si enuncia un disegno.
La progressione – come ha mostrato Paul Beauchamp nel saggio “Création et séparation” – è anzitutto quella di separazioni successive, espresse dapprima mediante la radice verbale “badal”: “E Dio separò la luce dalle tenebre” (1,4; cfr.
anche 1,6.7.14.18).
A partire dal terzo giorno, una volta costituiti i macroelementi del cosmo, non compare più il verbo della separazione (tranne in 1,14.18, a proposito delle “grandi luci”), sostituito da un’altra espressione: “secondo la propria specie”.
Tale formula, ripetuta dieci volte, si riferisce prima alle specie vegetali (1,11-12) e poi a quelle animali (1,21.24-25).
Fin dall’origine, Dio salva dall’informe e dall’indeterminato, costituendo progressivamente un mondo differenziato.
Nella loro sequenza, i giorni della creazione amplificano la successione già legata alla parola.
Fin dal primo giorno gli atti divini, per quanto immediati, si manifestano in modo discorsivo.
[…] La successione è senza dubbio una legge del linguaggio e, in particolare, del discorso narrativo, che può dire le cose soltanto l’una dopo l’altra.
In un riflesso di “realismo” teologico, il racconto di Genesi 1 si preoccupa di far risalire tale successione alla stessa libertà divina.
[…] Seguendo passo dopo passo le iniziative divine, il narratore si preoccupa di accentuare ciò che il disegno divino ha di costruito e di finalizzato.
L’atto creatore, nella sua sequenza, non è un processo aleatorio o una stravagante dispersione di energia.
Il gesto divino – afferma il narratore – si dispiega tra “principio” (1,1) e “compimento” (vedi il verbo “portare a compimento” in 2,1), e in una serie (“primo giorno”, “secondo giorno” ecc.) che appare progressivamente nella sua compiutezza, quella dei sei giorni più uno.
Infine, al termine del racconto scopriamo che Dio porta a compimento proprio ciò che aveva iniziato a creare all’origine, “il cielo e la terra” (2,1; cfr.
1,1).
In altri termini, il processo si inserisce nell’intelligenza di un disegno, che presiede a ciascuno dei suoi momenti.
Il dominio divino in Genesi 1 ha paradossalmente la sua più bella dimostrazione nelle pause che ritmano la sequenza creatrice.
Infatti Dio unisce alle sue iniziative creatrici un cenno di pausa e di meraviglia: “Dio vide che la luce era cosa buona” (1,4).
[…] In ognuna di queste pause Dio rivela che non è affatto schiavo della propria potenza; questa invece è, fino in fondo, l’espressione della sua libertà, come si scopre il settimo giorno, quando Dio “cessa da ogni suo lavoro” (“wayysbot”, dalla radice “sabat”) e consacra un giorno intero a questa sosta (2,2).
Anziché occupare il settimo giorno della serie a “esaurire” la propria potenza creatrice e a riempire il tutto del mondo, il Dio biblico è colui che pone un limite al gesto creatore, “dominando il suo dominio”, per parlare come Salomone: “Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza” (Sapienza 12,18).
In questa sosta Dio fissa il suo rifiuto di riempire tutto e, correlativamente, la sua volontà di aprire uno spazio di autonomia all’universo, in particolare all’umanità.
[…] Infine questo processo, con la sua disposizione, rivela la finalizzazione che lo sottende: gli elementi progressivamente costituiti disegnano una curva, che va dal “buono” del v.
4 al “molto buono” del v.
31.
L’asse della parola è quello che meglio rivela tale curva dello spazio creato.
Se fin dalla creazione della luce Dio parla, e se parla di tutti gli elementi che crea – “Sia la luce…
Si raccolgano le acque… Ci siano luci nel firmamento…” –, egli parla in seconda persona soltanto ai viventi, a partire dal quinto giorno: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari…” (v.
22).
Fino ad allora le creature non erano interpellate, ma erano al massimo destinatarie di ordini in terza persona.
Da questo momento Dio parla a creature viventi, capaci di capirlo.
Ma è nel sesto giorno, con la creazione dell’uomo, che la persona grammaticale mancante – la prima persona – fa la sua apparizione sulla bocca di Dio.
Prima al plurale: “Facciamo l’uomo ” (v.
26), poi al singolare: “Io vi dò ogni pianta come vostro cibo ” (v.
29).
Ed è con l’apparizione della coppia umana che la parola divina si dà un interlocutore esplicito: “Dio disse loro” (v.
28).
Dio si rivolge – e in prima persona – all’essere che sarà lui pure essere di linguaggio, “l’essere a immagine”, destinato al dominio dolce della parola.
La sequenza era dunque, in ogni sua parte, ordinata al proprio fine.
E la forma narrativa, in particolare nel suo modo di rappresentare le variazioni nella parola divina, è stata il veicolo efficace di tale finalizzazione.
*** Genesi 1 potrebbe avere anche come sottotitolo “L’origine delle specie”, tanto il disegno divino è legato alla diversità delle specie.
Certamente, qui non si tratta del processo di evoluzione delle specie.
Se Genesi 1 evoca un processo, questo si deve cercare nella sequenza dei giorni, nel corso dei quali Dio fa sorgere le specie vegetali, le specie animali dell’acqua e dell’aria e quelle della terraferma.
I diversi biotipi sono rispettati (acqua, firmamento, terra), però l’intervento divino non è rivolto a “classi” di animali, ma va dritto alle specie particolari: i vegetali e gli animali appaiono tutti “secondo la propria specie” (vv.
11-12, 21.24-25).
E queste specie appaiono “tali quali”, cioè nello stato in cui le incontra dal v.
28 lo sguardo dell’uomo.
La flora e la fauna consacrate da Dio nella loro bontà sono quelle che accompagnano la famiglia umana nel suo destino.
[…] Se le specie sono portate ognuna all’esistenza con un intervento immediato di Dio, sono pure create nella loro autonomia.
Le specie vegetali sorgono provviste del loro principio di riproduzione: “La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie” (1,11).
Quanto ai rappresentanti delle specie animali, questi si sentono dire: “Siate fecondi e moltiplicatevi” (1,22).
Se l’eteronomia è presente in ogni istante del poema narrativo di Genesi 1 – poiché le creature hanno il loro segreto in questo Altro che le fa sorgere –, l’autonomia delle specie nella durata vi è pure manifesta: Dio crea i viventi affidandoli alla loro autonomia riproduttiva, a ciò che li renderà “uguali” di età in età.
C’è un altro testo del Pentateuco, il capitolo 11 del Levitico, in cui diventa pienamente evidente l’argomento del “discorso sulle specie” di Genesi 1.
[…] Il trattato sugli animali mondi e immondi che si legge in Levitico 11 costituisce infatti una messa in atto sofisticata dei dati e delle distinzioni introdotti in Genesi 1.
Una nuova luce è stata portata su Levitico 11 con i lavori di Mary Douglas, antropologa inglese, che ha pubblicato nel 1966 “Purity and Danger”.
Già nel 1962 Claude Lévi-Strauss nel suo “La Pensée sauvage” aveva […] dimostrato attraverso l’analisi di vari miti e della loro struttura che il pensiero primitivo detto “selvaggio” era invece guidato da una logica rigorosa, classificatrice.
In “Purity and Danger” Douglas dimostra che Levitico 11 illustra perfettamente tale logica.
[…] Di tutte le creature animali, inclusi i mostri marini, Dio ha dichiarato la bontà, consacrando la loro divisione per specie (Genesi 1,21- 25).
Perché allora Levitico 11 introduce distinzioni supplementari tra animali mondi e immondi? Le differenze introdotte in Levitico 11 valgono unicamente per il popolo che è stato “distinto”: sono di ordine pratico e si riferiscono al regime alimentare degli israeliti e alla loro pratica sacrificale; riguardano un popolo chiamato a entrare nella santità di Dio – e dunque nella sua “differenza” – entrando in un mondo più ricco di differenze.
Un passaggio del Levitico riassume tale vocazione singolare: “Io, vostro Dio, vi ho separati dagli altri popoli.
Farete dunque separazione tra animali mondi e immondi, fra uccelli immondi e mondi, e non vi renderete abominevoli mangiando animali, uccelli o esseri che strisciano sulla terra e che io vi ho fatto separare come immondi.
Sarete santi per me, perché io, vostro Dio, sono santo e vi ho separati dagli altri popoli, perché siate miei” (20,24-26).
[…] Unita alle altre distinzioni introdotte dal Levitico, la distinzione degli animali mondi e immondi è tra quelle che pongono i figli di Israele dal lato di […] un rispetto più attento, negli altri e in se stessi, del primo dono di Dio che è questa vita.
Ancora una volta, la visione biblica non sostiene affatto una religiosità irrazionale, ma si rivela legata a una saggia articolazione del mondo, rispettosa delle distinzioni interne al reale e della finalità da esse indicate.
*** Genesi 1 potrebbe infine avere il sottotitolo dato da Karl Popper alla sua ultima opera: “Questioni intorno alla conoscenza della natura”.
Adamo prolunga l’opera creatrice della separazione delle specie.
Così facendo, esercita, a immagine di Dio, il “dominio dolce” del mondo che gli è affidato (1,28).
Un testo del libro dei Re afferma inoltre che egli esercita in questo una funzione reale e, per così dire, “scientifica”.
L’elogio della sapienza di Salomone termina con questi versetti: “La sapienza di Salomone superò quella di tutti gli orientali e tutta la sapienza dell’Egitto.
[…] Pronunziò tremila proverbi; i suoi canti furono millecinque.
Parlò di piante, dal cedro del Libano all’issopo che sbuca dal muro; parlò di quadrupedi, di uccelli, di rettili e di pesci” (1 Re 5,10-13).
Nello stato-giardino che sono Giuda e Israele (cfr.
1 Re 5,5), Salomone, ripieno della saggezza che ha ricevuto, prolunga il gesto di Adamo che “impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche” (Genesi 2,20) e avvia anche il governo del mondo con il linguaggio.
Dopo Herder e Heidegger, non sono mancate le interpretazioni che hanno visto nei nomi dati da Adamo agli animali la nascita della vocazione poetica dell’uomo, quella di “abitare poeticamente questa terra” (Hölderlin).
A dire il vero, il sottofondo culturale della doppia scena (in Genesi 2 e in 1 Re 5) invita a vedere Adamo e Salomone rappresentati sia come poeti sia come uomini di scienza.
La saggezza enciclopedica di Salomone nel citato ritratto di 1 Re 5,12-13 è vicina infatti al sapere classificatore e alla “scienza delle liste” degli abitanti della Mesopotamia, da cui derivano pure gli inventari del libro dei Proverbi e dei codici di leggi bibliche.
Di tale “scienza delle liste” elaborata fra il Tigri e l’Eufrate, René Labat scrive: “Anche se non era rivolta all’universalità, essa si trova in pratica estesa a tutti gli ordini della conoscenza: scienze della natura nelle liste di minerali, di piante e di animali; scienza delle tecniche nelle liste di utensili, di vesti, di costruzioni, di cibi e bevande; scienza dell’universo nelle liste degli dei, di stelle, di paesi o contrade, di fiumi e di montagne; infine scienze dell’uomo nelle liste dei particolari fisici, delle parti del corpo, dei mestieri e delle classi sociali”.
Tale classificazione dei fenomeni del reale si organizza in particolare a partire dai loro nomi.
Nella Bibbia c’è un’eco dell’attività creatrice di Dio che crea le cose dando loro un nome.
“La cerchia delle conoscenze di Salomone, zoologica e botanica, è un altro giardino di Adamo”, scrive Paul Beauchamp.
Adamo e Salomone attestano entrambi – uno alle origini e l’altro nella “modernità” della storia – la vocazione dell’uomo ad abitare “scientificamente” la terra che Dio ha loro affidato.
Labat nella sua nomenclatura menziona l’elaborazione delle “liste degli dei”.
Ma questo è un compito che non spetta più all’uomo biblico, il cui Dio unico si rivela irriducibile ai fenomeni del mondo.
Bisogna infatti rilevare come il monoteismo biblico ha trasformato il rapporto del “sapere” dell’uomo con il mondo che lo circonda: nel mondo biblico la “scienza delle liste” ha un nuovo senso.
I politeismi dell’antico Vicino Oriente, egiziani, mesopotamici e cananei […] erano strettamente legati ad ambienti cosmici: il cielo, la pioggia, le costellazioni, l’aria, il vento, le acque dolci.
Questo non è più pensabile nel contesto biblico: se Dio penetra con il suo sguardo e la sua cura il mondo che ha creato, fin nei punti più inaccessibili (cfr.
Giobbe 38-39), è però “separato” nella sua assoluta trascendenza (cfr.
Isaia 40,25; 46,5; 66,1-2).
Le società religiose dell’antico Vicino Oriente si caratterizzano inoltre per un fondo oscuro in cui regnano dèmoni e forze malefiche.
Il pensiero biblico ha notevolmente riorientato questo dato.
[…] Liberata dalle immanenze divine e demoniache, la terra dell’uomo biblico gli è interamente consegnata: “I cieli sono i cieli di Dio, ma egli ha dato la terra ai figli dell’uomo” (Salmo 115,16).
Essa gli è affidata in tutta la sua estensione, cielo, mare e terra, come canta il Salmo 8, con il dovere di ricerca che ne segue: “È gloria dei re investigare le cose” (Proverbi 25,2).
Tale compito reale dell’uomo biblico riceve la forma più “moderna”, quasi secolarizzata, nella ricerca di Salomone, come è presentata nel libro del Qoelet: “Mi sono proposto di ricercare e investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo” (1,13).
Certamente tale impresa è distante dalle scienze moderne: per diventare operative, queste dovranno varcare altre soglie di razionalità, a cominciare da quella della concettualità greca.
È vero tuttavia che il pensiero biblico della consegna del creato al sapere e al potere dell’uomo costituisce una delle condizioni dell’emancipazione del sapere scientifico.
*** Genesi 1 è dunque, a modo suo, un manifesto dell’intelligibilità del mondo.
[…] Questo capitolo e quelli che seguono nella Genesi non affermano affatto una forma di concorrenza tra la scienza divina e quella dell’uomo.
L’accesso dell’uomo al sapere del linguaggio non è una prerogativa sottratta alla divinità, come un fuoco prometeico, nonostante le false promesse del serpente in Genesi 3,1-5.
La vocazione “scientifica” dell’uomo è invece enunciata nei momenti di presenza di Dio all’uomo, sia che si tratti di un discorso rivolto da Dio ad Adamo in Genesi 1, o della vicinanza di Dio all’uomo nel giardino in Genesi 2, o dell’esperienza mistica in 1 Re 3, dove Salomone chiede a Dio la saggezza, che in particolare prenderà la forma del suo governo del mondo attraverso la parola.
Questo sapere non è al riparo da deviazioni, ma procede anzitutto dall’”essere a immagine”, come il compito reale affidato da Dio a Adamo.
Il Salmo 8 pone le cose nella giusta prospettiva, quando celebra la signoria di Dio celebrando quella dell’uomo: “Tu l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato; gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi”.
__________ A duecento anni dalla nascita di Charles Darwin e a centocinquanta dalla sua opera più famosa, il pontificio consiglio della cultura presieduto dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi ha patrocinato un sontuoso convegno internazionale dal titolo: “L’evoluzione biologica: i fatti e le teorie.
Una valutazione critica 150 anni dopo ‘L’origine delle specie'”.
Il convegno si è tenuto dal 3 al 7 marzo a Roma, alla Pontificia Università Gregoriana.
Ed è stato promosso da questa università assieme all’americana University of Notre Dame.
Vi hanno preso la parola i maggiori specialisti mondiali nelle diverse discipline, dalla biologia alla paleontologia, dall’antropologia alla filosofia alla teologia.
Molto varie anche le posizioni messe a confronto.
C’erano studiosi cattolici, protestanti, ebrei, agnostici, atei.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *