Il ritorno su di sé è ritorno all’interiorità, popolata di presenze e sollecitazioni.
Coglie l’attimo che si vive, ma raccoglie anche lo spessore dell’esperienza passata e gli stimoli della progettualità futura, cui l’orizzonte terreno risulta insufficiente.
Il raccoglimento consente di rendersene conto; di avvertire la ricchezza di relazionalità e di stimoli di cui si vive.
E dunque di misurare lo spessore dell’esistenza che vi fluisce incessantemente.
La novità sta nel prendere coscienza di sé attraverso e oltre le sollecitazioni di cui la vita è intessuta: mirare al cuore dell’esistenza oltre le indicazioni che vengono dalla periferia, dalle situazioni… E anche prendere atto che l’esperienza concreta è intessuta di tutte quelle relazionalità, vive di queste, a queste si appassiona; con ciò imprime intensità e qualità al vivere quotidiano.
E proprio al cuore dell’esperienza, avvertita in tutto il suo spessore, s’innesta la domanda religiosa, come progressiva consapevolezza di fondamentale aspirazione alla trascendenza, al dialogo con Dio.
Il dialogo che si instaura nella fede offre una traccia diversa, straordinariamente illuminante al vivere quotidiano: legge la realtà sotto lo stimolo e alla luce chiarificatrice della Parola di Dio.
Recentemente l’attenzione alla situazione consueta di vita ha suscitato nella Chiesa una vocazione singolare – la consacrazione negli Istituti secolari -: una dedizione piena al saeculum appunto per leggerlo alla luce di Dio.
O meglio per esplorare i segni della sua presenza nella consuetudine quotidiana.
Interpreta il presagio per rivelare il volto che si cela dietro il presagio.
Parte dunque dal mondo per leggere la propria esperienza interiore: constatarvi e far emergere le tracce della sua arcana presenza nella trama sottile della quotidianità.
Sul far della sera, sulla panchina al margine della strada che circonda la Casa, di fronte alla distesa della campagna, al rumore vasto e sordo del Raccordo Anulare, al trepidare indefinito della natura, la brezza sottile di aria tiepida mi risveglia al richiamo dell’ora che trascorre e vorrei fermare, per fissare l’attimo che vivo nella suggestione della sera, del giorno e della… vita.
Il ritorno calmo sulla propria vita, sull’attimo e la sua pienezza, sulla brezza che mi sfiora sono un dono; sottendono un indefinito senso di benessere che avvolge, quasi rechi il sorriso di una presenza amica e arcana.
Piccola cosa la brezza ma la sua percezione sottile e vibrante diventa sensazione che attraversa la persona, la risveglia a consapevolezza dell’esistenza che fluisce, pur scandita da piccole situazioni, per lo più inavvertite.
La brezza mi sfiora, mi consente di percepirmi vivo, situato in un mondo in cui sono immerso, che è il mio mondo, di cui posso godere e di cui di fatto godo: mi appartiene.
Le cose di cui è popolato, le persone che lo animano entrano come componenti preziose e sempre nuove in un orizzonte che mi identifica: posso portare l’attenzione su qualcuna di loro, dare accesso privilegiato a chi voglio, godere della sua presenza o sottrarmi al suo richiamo.
Il momento che vivo ha uno spessore singolare, di cui per lo più non mi accorgo.
Cosa significa viverlo in pienezza? Raccogliere le fila complesse che si intersecano, privilegiando una certa configurazione che liberamente elaboro…?
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