Febbraio

Riprendiamo qui i brevi spunti di riflessione sulla spiritualità di San Paolo iniziati il mese scorso.
Dopo esserci soffermati a considerare il radicamento biblico della sua spiritualità, gli effetti della sua esperienza di incontro con Gesù Cristo, e la forza della sua spiritualità trinitaria (interrotta a Gennaio con la Persona del Padre), riprendiamo ora il filo del discorso soffermandoci sulla spiritualità che lega Paolo alle Persone di Cristo e dello Spirito Santo, per concludere considerando la spiritualità missionaria dell’Apostolo delle genti.
Dalle Lettere e dagli Atti trapela una personalità straordinaria: Paolo è un appassionato che si spende totalmente per un’ideale essenzialmente religioso.
Per lui Dio è tutto e Lo serve prima e dopo la scoperta di Cristo, e quando scopre che solo in Lui c’è la salvezza trascorre il resto della vita predicandolo con tutte le forze, anche nella malattia e nella prigionia.
Questa passione incondizionata si traduce in una vita di totale dedizione a Colui che ama.
Le sofferenze e i pericoli di morte (1Cor 4,9-13; 2Cor.
4,8ss) non possono sradicarlo dall’amore per Cristo; anzi, lo confortano perché lo avvicinano alla passione e alla croce del suo Signore.
La sua potenza spirituale si manifesta in una persona debole ma caparbia (2Cor 10,1-12,12).
La sua predicazione coincide con il kérigma, l’annuncio degli apostoli che proclamano Cristo crocifisso e risorto secondo le Scritture (1Cor 2,2; 15,3-4).
Le opere buone, compiute con la forza dello Spirito (Gal 5,22-25), non sono più quelle della legge in cui gli ebrei ponevano orgogliosamente la loro fiducia: esse sono ora accessibili a tutti coloro che credono anche se provengono dal paganesimo (Rm 4,11).
La vocazione di Paolo coinciderà con la conversione dei pagani (Gal 1,16; 2,7-9) secondo una linea universalistica che condurrà il vangelo di Cristo agli estremi confini della terra.
Novantuno immagini inedite per raccontare l’uomo e il suo mondo.
Novantuno scatti nei diversi continenti per descrivere la condizione umana nel nostro pianeta.
E scoprire che, pur con il cambiare delle latitudini, le similitudini sono superiori alle differenze.
L’uomo è uomo, dovunque si trovi, qualunque sia la sua cultura.
Gioisce e soffre allo stesso modo.
È questo il messaggio più profondo della mostra fotografica “Il nostro mondo” allestita da National Geographic Italia al Palazzo delle Esposizioni di Roma e visitabile gratuitamente fino al 2 maggio.
1.
Che cosa differenzia l’esperienza spirituale di Paolo dalla mistica religiosa?  2.
Utilizzando un motore di ricerca (ad esempio www.labibbia.org) individua tutti i passi del Nuovo Testamento in cui si fa riferimento alla “carne” e individuane il senso.  3.
Cerca e leggi nel sito internet www.annopaolino.org la catechesi di Benedetto XVI su “La concezione paolina dell’Apostolato” nell’udienza generale di mercoledì 10 settembre 2008.
Paolo e la spiritualità trinitaria: il Figlio (2Cor 11,16-33; 12,7-10) L’itinerario spirituale del credente (Paolo non usa le parole “discepolo” e “cristiano”) è la copia di quello del suo Signore.
Anzi, c’è fra loro una specie di osmosi: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.
Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.” (Gal 2,20).
È lui che dirige e orienta i primi credenti verso questa scoperta: Cristo “ha donato se stesso per i nostri peccati” (Gal 1,4), “è morto per noi” (Rm 5,8), “è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro.” (2Cor 5,15).
Conseguentemente ciascuno, e Paolo per primo, si impegna a vivere l’itinerario individuato dall’inno della Lettera ai Filippesi: dalla morte sulla croce alla gloria celeste (Fil 2,6-11).
L’Apostolo non vuole comprendere nulla che non sia la Croce di Cristo (1Cor 2,2): quella è la radice della sua spiritualità, ben più delle “visioni e rivelazioni” di cui lui stesso potrebbe pure andare fiero.
La sua esperienza spirituale, contrariamente alle mistiche religiose che non individuano la loro autenticità nella debolezza di Dio, è vissuta attraverso Cristo e i suoi fratelli.
Nel passo che segue, tratto dalla Seconda Lettera ai Corinzi (11,16-33; 12,7-10), Paolo parla della sua “follia”, se pure è tale (11,16), che consiste nel gloriarsi delle sue sofferenze.
Egli si mette a confronto con i suoi avversari che lo denigrano.
La sua vera gloria è la sua debolezza perché mette meglio in evidenza la forza di Cristo, mostrando così che la forza straordinaria dell’Apostolo non proviene da lui ma da Dio.
16 Lo dico di nuovo: nessuno mi consideri come un pazzo, o se no ritenetemi pure come un pazzo, perché possa anch’io vantarmi un poco. 17 Quello che dico, però, non lo dico secondo il Signore, ma come da stolto, nella fiducia che ho di potermi vantare.
18 Dal momento che molti si vantano da un punto di vista umano, mi vanterò anch’io.
19 Infatti voi, che pur siete saggi, sopportate facilmente gli stolti.
20 In realtà sopportate chi vi riduce in servitù, chi vi divora, chi vi sfrutta, chi è arrogante, chi vi colpisce in faccia.
21 Lo dico con vergogna; come siamo stati deboli! Però in quello in cui qualcuno osa vantarsi, lo dico da stolto, oso vantarmi anch’io.
22 Sono Ebrei? Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io! 23 Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte.
24 Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi; 25 tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde.
26 Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; 27 fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità.
28 E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese.
29 Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema? 30 Se è necessario vantarsi, mi vanterò di quanto si riferisce alla mia debolezza.
31 Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco.
32 A Damasco, il governatore del re Areta montava la guardia alla città dei Damasceni per catturarmi, 33 ma da una finestra fui calato per il muro in una cesta e così sfuggii dalle sue mani.
(…) 7 Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne (1), un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia.
8 A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me.
9 Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.
10 Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.
__________ (1) La spina nella carne è una sofferenza non esattamente identificata; può essere una malattia o la persecuzione accanita dei suoi fratelli nella carne.
Paolo e la spiritualità trinitaria: lo Spirito Santo (Gal 5,13-25) La spiritualità dell’Apostolo Paolo è basata sullo Spirito.
Questo Spirito che viene da Dio, detto “lo Spirito del suo Figlio” (Gal 4,6), diffonde “l’amore di Dio nei nostri cuori” (Rm 5,5) e fa di noi dei “figli adottivi” (Rm 8,15).
La vita del cristiano deve diventare la manifestazione (epifanìa) dello Spirito, una manifestazione visibile per il bene di tutti (1Cor 12,7).
Nella Lettera ai Romani (soprattutto al capitolo 8), Paolo pone la vita cristiana, e dunque anche la sua, non tanto sotto il segno del Battesimo, quanto sotto l’azione dello Spirito.
È lo Spirito che muove la nostra relazione col Padre attraverso la mediazione di Cristo.
È Lui che sostiene la lotta contro la “carne” (2) (Gal 5,13-25) i cui valori più autentici vengono distorti quando sono divinizzati.
È lo Spirito che rende liberi nei confronti di tutte le potenze cosmiche e politiche, compresa la Legge.
Il valore della rivelazione di Dio a Mosè permane.
La Legge (e dunque anche tutte le altre leggi di questo mondo), cede il passo allo Spirito.
È lo Spirito che conduce la nostra vita verso il suo fine ultimo quando, da “giustificati” che siamo attraverso la croce del Signore, noi saremo pienamente salvati per vivere con Cristo.
Sotto l’azione dello Spirito, la nostra vita attuale che già dipende dal Cristo (Paolo dice “in Cristo”) sboccerà pienamente nella vita “con il Signore” (1Ts 4,17).
Nel passo che segue, tratto dalla Lettera ai Galati (5,13-25) Paolo mette in evidenza l’opposizione tra i due princìpi fondamentali della carne e dello Spirito.
Il cristiano, guidato dallo Spirito, vive spontaneamente secondo lo Spirito, sottraendosi ai desideri della carne; ma non è affatto vero che questi siano tali per il fatto che hanno sede nel “corpo”.  ______ (2) La “carne” designa l’uomo nella sua condizione di debolezza, fragilità, mortalità 13 Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà.
Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri.
14 Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso.
15 Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! 16 Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; 17 la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
18 Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge.
19 Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, 20 idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21 invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio.
22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23 contro queste cose non c’è legge.
24 Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri.
25 Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.
26 Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri.
La spiritualità missionaria di Paolo (Rm 15,14-24) La spiritualità di Paolo è pervasa anche dalla “preoccupazione per tutte le Chiese” (2Cor 11,28).
Questa spiritualità apostolica fonda tutta la sua azione: “essere un ministro di Gesù Cristo tra i pagani, esercitando l’ufficio sacro del vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo” (Rm 15,16).
Fondata essenzialmente sullo Spirito, tale spiritualità appare centrale.
Tuttavia il pensiero paolino non è stato automaticamente accolto in tutte le comunità cristiane del I secolo.
Il dinamismo spirituale dell’Apostolo, all’apparenza un po’ libertario, poteva urtare la suscettibilità di alcune di esse.
Le opposizioni indicate dall’Apostolo tra la Legge e la fede, o tra la carne e lo Spirito, davano a volte adito a interpretazioni soggette a dubbi, lassiste e anche antisemite, con gravi sofferenze per Paolo, naturalmente.
Questo non lo distolse da un impegno indefettibile nelle proprie convinzioni e dall’amorevole vicinanza alle singole comunità cristiane.
Nel passo seguente, tratto dalla Lettera ai Romani (15,14-24) Paolo ribadisce il suo intento di condurre i pagani alla fede.
L’apostolato è sentito come una liturgia in cui l’Apostolo, o meglio il Cristo per mezzo di lui, offre gli uomini a Dio.
Il suo compito è quello di porre i fondamenti, lasciando ai discepoli la continuazione dell’opera missionaria.
14 Fratelli miei, sono anch’io convinto, per quel che vi riguarda, che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l’un l’altro.
15 Tuttavia vi ho scritto con un po’ di audacia, in qualche parte, come per ricordarvi quello che già sapete, a causa della grazia che mi è stata concessa da parte di Dio 16 di essere un ministro di Gesù Cristo tra i pagani, esercitando l’ufficio sacro del vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo.
17 Questo è in realtà il mio vanto in Gesù Cristo di fronte a Dio; 18 non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all’obbedienza, con parole e opere, 19 con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito.
Così da Gerusalemme e dintorni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo.
20 Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, 21 ma come sta scritto: «Lo vedranno coloro ai quali non era stato annunziato e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno.
(3)» 22 Per questo appunto fui impedito più volte di venire da voi.
23 Ora però, non trovando più un campo d’azione in queste regioni e avendo già da parecchi anni un vivo desiderio di venire da voi, 24 quando andrò in Spagna spero, passando, di vedervi, e di esser da voi aiutato per recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della vostra presenza.
_________ (3) Paolo cita qui un passo di Is 52,15

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