L’evoluzione della nozione di paternità in Occidente nell’arco temporale che va dalla Rivoluzione francese ad oggi è l’oggetto di questo studio.
Una vicenda dai molti protagonisti e dalle numerose sfaccettature, risultato di piani complessi che variamente s’intersecano, a volte in anticipo altre in ritardo, alternando momenti di sintonia a stridenti contrapposizioni, l’ultima delle quali è forse solo agli inizi.
La vicenda prende le mosse dall’impostazione romanistica che sino al Novecento, in assenza di indicazioni biologiche, ha cercato di risolvere l’incertezza della paternità affidandone l’individuazione all’ordinamento giuridico, che poggiava sulla volontà implicita o esplicita dell’uomo di essere padre, in uno schema sostanzialmente proprietario.
Solo nel corso del xx secolo le analisi ematologiche prima e quelle sul Dna poi, sono state in grado di fornire elementi precisi, rendendo possibile superare l’antica presunzione giuridica.
Si è trattato tuttavia di un punto d’arrivo ben presto superato, poiché le nuove tecniche di fecondazione assistita, attraverso l’inseminazione eterologa, hanno costretto a ridefinire la nozione di paternità a prescindere dal mero dato biologico.
Ciò ha determinato un paradossale ritorno all’antico, riattribuendo al diritto – pur su basi nuove – il compito di individuare il padre.
Già questa sintesi mostra le difficoltà di ricostruire un percorso in cui ambivalenze e contraddizioni sono in costante agguato, poiché ogni nuovo tassello risolve un problema ma ne crea di nuovi.
E ciò, se è vero in generale, risulta amplificato nella vicenda della paternità che investe il momento più intimo e fondante delle relazioni umane.
Fortemente radicata sul piano affettivo e domestico, la paternità è un termometro significativo dei mutamenti sociali, in cui si intersecano vissuti personali, disposizioni legali ed evoluzione scientifica in una dialettica elicoidale, fonte di drammi e di progresso.
È una storia di esistenze concrete, di uomini che hanno avuto figli, negandoli o amandoli, dimenticandoli o rincorrendoli.
Ma è anche la storia di quei bambini, e degli adulti che diventeranno; delle donne che li hanno partoriti e delle relazioni – spesso drammatiche – che hanno avuto con quei padri.
(…) Nella vicenda il piano giuridico è stato sempre presente in tutte le sue sfaccettature.
Il ruolo che il diritto ha esercitato si è però trasformato nel tempo, passando dalla funzione di attribuire o di negare la paternità, a quella più modesta di registrarla.
E quale debba essere il suo ruolo oggi è questione aperta.
Il passaggio non è stato facile.
Il diritto non ha rinunciato di buon grado al suo compito.
Né molti padri, reali e concreti, sono riusciti ad accettare e interiorizzare la rivoluzione copernicana di una paternità completamente sfuggita al loro controllo, e, quindi, alla loro volontà.
Quanto alle conoscenze scientifiche, il dato di partenza, millenni prima dell’età contemporanea, era davvero scoraggiante: come ha scritto Marco Cavina, “la preistoria non conosceva i padri, anzi si potrebbe forse dire che la storia dell’uomo prenda inizio con la scoperta del padre” (estraneità non facilmente accettata, tanto che l’uomo tentò di rimediare ricorrendo, ad esempio, alla pratica della couvade).
Una volta riconosciuto il ruolo maschile, sorse il problema di “quale maschio” avesse concorso a “quale nascita”, un problema che ha caratterizzato la storia di tutte le civiltà patriarcali.
Se nel Novecento i progressi scientifici hanno impostato su basi completamente nuove la ricerca del padre, oggi tutto questo sembra essere messo irreparabilmente in crisi dalla fecondazione eterologa.
Nella misura in cui scienza e Dna risultano prescindibili, diventa preminente la questione del ruolo, il fatto cioè che l’uomo si comporti come un padre.
Peraltro, nemmeno quest’enfasi sul ruolo parrebbe una novità, trattandosi – ancora una volta – di un ritorno all’antico.
(…) Va da sé che, nella misura in cui si supera il dato biologico e genetico, il discorso sulla paternità indicata dalla natura e rivelata dalla scienza – a prescindere dalla volontà dell’uomo – salta completamente.
Se si ricorre al seme altrui per diventare padre, per rendere il proprio compagno padre o per dare un padre al figlio, è evidente che la volontà diventa il deus ex machina dell’intero processo: è dall’incontro tra la scienza medica e la volontà dei soggetti coinvolti che nasce un bambino.
(…) Siamo davvero davanti ad uno snodo molto delicato: orientarsi tra una paternità biologica e una paternità di decisione e di affetti non è più una questione astratta.
E se è vero che viviamo in società in cui la scelta e la volontà acquistano un peso sempre più notevole in termini di vita e di morte, di nascita e di salute, occorre vedere se saremo in grado di assumerne, in termini innanzitutto sociali, le conseguenze.
(…) Le pagine che seguono mettono in luce l’evoluzione sottesa all’implicito interrogativo del titolo: In cerca del padre intende evocare una duplicità di piani, richiamando un nodo esplicito ed immediato – chi sia il padre del nato – e uno più nascosto e vitale – cosa faccia di un uomo un padre.
Già da queste prime considerazioni emerge tutta la complessità della figura in età contemporanea.
Ad esemplificare il quadro, ci può aiutare un passaggio del romanzo di Philip Roth, Patrimonio.
L’autore ascolta una telefonata tra il suo anziano genitore Hermann (“non era un padre qualunque, era il padre, con tutto ciò che c’è da odiare in un padre e tutto ciò che c’è da amare”) e l’amica Lil.
“Sentii che le diceva: “Philip è come una madre, per me”.
Rimasi sorpreso.
Credevo che avrebbe detto “come un padre”, ma la sua descrizione era, in realtà, più sottile delle mie banali aspettative, e al tempo stesso molto più flagrante, impassibile e invidiabilmente, spavaldamente schietta”.
Questo passaggio coglie il nocciolo del nostro tema.
di Giulia Galeotti (©L’Osservatore Romano – 8 febbraio 2009 GALEOTTI GIULIA , In cerca del padre.
Storia dell’identità paterna in età contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2009, ISBN: 8842086584, pagine 277, euro 20.
L’atto di definire il vincolo che lega un uomo alla sua discendenza è stato per secoli materia di diritto.
Fino al Novecento, infatti, l’impossibilità di stabilire con certezza chi fosse il padre biologico di un nascituro ha reso determinante l’azione giuridica del riconoscimento.
Solo nel corso del XX secolo i progressi della scienza medica sono intervenuti a sovvertire una prassi: le analisi ematologiche, prima, e poi, in maniera definitiva, gli studi sul DNA hanno reso possibile accertare senza ombra di dubbio l’identità paterna.
La scienza ha soppiantato così il diritto in una funzione delicata e gravida di conseguenze, anche simboliche, sull’impianto stesso della società.
Oggi assistiamo a un’ennesima transizione, al punto che si potrebbe parlare di “terza fase” della paternità; il forte sviluppo delle tecniche di fecondazione assistita, sempre più sofisticate ed efficaci, sta rendendo obsoleto un concetto di paternità basato sul dato naturale e biologico.
Con un paradossale ritorno all’antico, si riattribuisce al diritto, sia pure su basi nuove, il compito di individuare il padre.
Tra scienza, prassi sociale e vicende giuridiche, Giulia Galeotti indaga l’evoluzione di un concetto delicato e multiforme, gravido di conseguenze (anche simboliche) sull’impianto stesso della società.
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