Il dibattito sul caso Englaro

Eluana, Napolitano non firma il decreto Il governo approva ddl in tempo record Berlusconi: «Seduta straordinaria del Senato, potrebbe non essere tardi».
Il Vaticano: «Ci hanno ascoltato» UDINE – Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge che obbliga alimentazione e idratazione per soggetti non autosufficienti.
Il testo recepisce le linee del decreto approvato venerdì mattina dal governo ma su cui il presidente Napolitano non ha apposto la firma.
Alla riunione, presieduta dal premier Berlusconi, hanno partecipato il sottosegretario Gianni Letta, i ministri Altero Matteoli, Andrea Ronchi, Giorgia Meloni e Stefania Prestigiacomo.
Assenti per motivi “logistici” i ministri della Lega, che però hanno chiamato il presidente del Consiglio per esprimere il proprio sostegno all’iniziativa.
Il ddl è stato immediatamente inviato al Senato e Berlusconi non esclude che il via libera possa arrivare a breve: «Dipende da loro.
I gruppi sono già in stretto contatto».
Il presidente Napolitano ha autorizzato la presentazione alle Camere del disegno di legge.
BERLUSCONI: APPELLO A SCHIFANI – «Abbiamo preso atto del rifiuto del capo dello Stato ma abbiamo ribadito l’urgenza del provvedimento – ha detto Berlusconi al termine del vertice di governo -.
Ci siamo riuniti e abbiamo approvato un disegno di legge che recepisce il testo del decreto».
Il premier ha detto che la risposta del Parlamento arriverà in breve tempo: «Il governo – ha spiegato – ha rivolto un accorato appello al presidente del Senato per una immediata convocazione del Senato in seduta straordinaria.
Credo che convocherà subito una riunione dei gruppi e poi i gruppi decideranno quando potersi riunire.
Se ci sarà la volontà di fare presto, noi crediamo ci possa essere una risposta da parte del Parlamento in pochissimo tempo».
«Potrebbe non essere troppo tardi per Eluana – ha aggiunto Berlusconi -.
Per una persona normale è possibile stare due o tre giorni senza bere, rivolgetevi a Pannella».
«Siamo pronti a lavorare anche sabato e domenica per approvare la norma ‘salva-Eluana’» ha detto il presidente dei senatori dell’Udc Giampiero D’Alia.
L’ITER PARLAMENTARE – In realtà, salvo accelerazioni, il ddl inizierà il suo iter lunedì, dopo la conferenza dei capigruppo (prevista alle 12) che decide l’assegnazione del testo, presumibilmente alla commissione Sanità dove è già in atto la discussione sul testamento biologico.
A quel punto il presidente della commissione Antonio Tomassini convoca l’ufficio di presidenza per disporre le procedure necessarie e verifica se esiste una volontà politica concorde per accelerare l’esame del provvedimento che, se approvato in sede deliberante, non dovrebbe passare in Aula.
Nel caso non dovesse riscontrarsi un clima di concordia politica fra le diverse forze, sulla base dell’art.
72 della Costituzione, o il governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto dei commissari possono richiedere il passaggio in Aula.
Si tratterebbe di una decisione strategica cui la maggioranza potrebbe fare ricorso perché, una volta in Aula, è possibile contingentare i tempi e far decadere eventuali emendamenti.
SCONTRO ISTITUZIONALE – La vicenda di Eluana Englaro, dopo l’avvio della procedura di graduale abbandono delle terapie nella clinica La Quiete di Udine, ha assunto il risvolto di un gravissimo scontro istituzionale dopo che il presidente Napolitano si è rifiutato di firmare il decreto legge del governo.
Il conflitto è esploso a metà giornata, quando il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge per bloccare i medici nonostante la contrarietà del presidente della Repubblica.
Dopo il via libera, Giorgio Napolitano ha però confermato la propria posizione: non firmerà il provvedimento.
La decisione del Consiglio del ministri è stata invece accolta positivamente dal Vaticano: «Una scelta coraggiosa».
Diversa la posizione del presidente della Camera: Gianfranco Fini ha espresso «preoccupazione» per il no del Consiglio dei ministri all’invito di Napolitano, mentre un altro esponente di An, Ignazio La Russa, ha sottolineato che «si apre un problema serio.
Ora la soluzione è quella del ddl da approvare in tempi rapidi».
Critiche dall’opposizione: per il leader del Pd Veltroni Silvio Berlusconi vuole «un incidente istituzionale» e si è macchiato di «un comportamento totalmente irresponsabile».
ISPETTORI NELLA CLINICA – E mentre i legali della famiglia Englaro hanno assicurato che si andrà avanti con la procedura, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi ha inviato gli ispettori a Udine.
Un fatto che non preoccupa i legali della famiglia Englaro, come spiegato dall’avvocato Giuseppe Campeis: «Stiamo operando al di fuori del servizio sanitario nazionale, in quanto si tratta di un servizio appaltato tra l’associazione ‘Per Eluana’ e la casa di riposo».
«Il decreto legge emanato dal governo Berlusconi non ha la firma del capo dello Stato per cui come tale noi andiamo avanti con il protocollo – ha aggiunto Campeis -.
Se non ci saranno fatti nuovi e se non avverranno altri impedimenti, si proseguirà».
Circa il fascicolo aperto dalla Procura di Udine, l’avvocato ha precisato che «c’è già stato un chiarimento da parte del procuratore generale di Trieste per cui noi andiamo avanti nella legalità».
Beppino Englaro, il padre di Eluana, rilascia un unico commento: «Sono sconvolto, è un tormento senza fine, non riesco neppure a pensare e riflettere e preferisco continuare a restare nel silenzio».
Leggi il testo della lettera di Napolitano al governo IL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Lo strappo tra governo e Quirinale si è consumato dopo la lettera del presidente della Repubblica al Consiglio dei ministri.
«Non sussistono le ragioni di necessità e di urgenza», ha spiegato nella missiva Giorgio Napolitano, esprimendo perplessità anche sulla nuova bozza riformulata dal ministero del Welfare e che conterrebbe, secondo quanto annunciato dal governo, i rilievi del presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida; questi però ha negato con fermezza: «Hanno strumentalizzato le mie parole, disconosco nella maniera più assoluta qualunque mia partecipazione alla stesura del testo di un decreto legge che non ritengo nemmeno di commentare».
Il via libera dal Consiglio dei ministri al provvedimento è arrivato ugualmente.
Una decisione adottata all’unanimità dopo una lunga discussione (la Prestigiacomo era orientata all’astensione, ma sarebbe stata convinta a votare sì).
Berlusconi ha incassato anche il sostegno dell’Udc: Casini ha telefonato al premier per esprimere il suo consenso all’iniziativa del governo.
LA RUSSA: «QUASI VOTO DI FIDUCIA» – Al momento della votazione in Consiglio dei ministri sul varo del decreto Berlusconi «ha quasi posto il voto di fiducia».
Lo ha detto il ministro della Difesa La Russa.
«Prestigiacomo non ha preso la parola e alla fine, quando si votava, ha dato l’impressione di volersi astenere.
Il presidente del Consiglio le ha detto che preferiva una non astensione: su questa questione ha quasi posto il voto di fiducia.
Qualcuno aveva espresso problemi di opportunità, io tra questi, ma non c’erano stati interventi contrari».
E sulla differente posizione di Fini: «Sì, ha espresso una posizione diversa, ma non era in Consiglio dei ministri a dover votare in un modo o nell’altro e a dover dare una valenza politica alla questione su chi deve decidere riguardo alla necessità e all’urgenza.
Decisione che spetta al governo».
Guarda il video della conferenza stampa «PRESUPPOSTI DI URGENZA» – Il premier, in conferenza stampa, ha spiegato che nel caso di Eluana «sussistono i presupposti di necessità e urgenza, presupposti che sono affidati alla responsabilità del governo: poi spetta al Parlamento decidere se confermare o meno questi presupposti».
«Eluana è una persona viva – ha aggiunto Berlusconi – respira, le sue cellule cerebrali sono vive e potrebbe in ipotesi fare anche dei figli.
È necessario ogni sforzo per non farla morire».
Il premier ha poi criticato l’atteggiamento di Napolitano: «Con la sua lettera si introduce una innovazione: il capo dello Stato in corso d’opera del Cdm può intervenire anticipando la decisione sulla necessità e urgenza di un provvedimento.
Per questo abbiamo deciso all’unanimità di affermare con forza che il giudizio è assegnato alla responsabilità del governo.
Se il capo dello Stato non firmasse e si caricasse di questa responsabilità nei confronti di una vita, noi inviteremmo immediatamente il Parlamento a riunirsi ad horas e approvare in due o tre giorni una legge che anticipasse quella legge che è già nell’iter legislativo».
A una specifica domanda di un giornalista, Berlusconi ha comunque assicurato che i rapporti con il presidente della Repubblica restano «cordiali» e che non sta pensando assolutamente all’impeachment.
NAPOLITANO NON FIRMA – Poco dopo, però, Napolitano ha confermato di non voler firmare il decreto.
Il presidente, si legge in un comunicato, «ha preso atto con rammarico della deliberazione da parte del Consiglio dei ministri del decreto legge relativo al caso Englaro.
Avendo verificato che il testo approvato non supera le obiezioni di incostituzionalità da lui tempestivamente rappresentate e motivate, il presidente – conclude la nota – ritiene di non poter procedere alla emanazione del decreto».
Napolitano ha ricevuto l’appoggio di Fini: «Desta forte preoccupazione – ha dichiarato il presidente della Camera – che il Consiglio dei ministri non abbia accolto l’invito del capo dello Stato, ampiamente motivato sotto il profilo costituzionale e giuridico, a evitare un contrasto formale in materia di decretazione d’urgenza».
L’analisi – Napolitano, sfidato, ha risposto.
Lo strappo lascerà i segni di Marzio Breda
PLAUSO DEL VATICANO – All’esecutivo arriva invece il plauso del Vaticano.
Approvando il decreto legge sul caso di Eluana Englaro, ha affermato monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia accademia per la vita, «il governo ha fatto un gesto di grande coraggio, che sarà apprezzato dalla grande maggioranza di tutti i cittadini».
«Pur nella differenza delle competenze che abbiamo – conclude Fisichella – ci rallegriamo che le istanze che abbiamo portato avanti in questi mesi sono state ascoltate e accolte».
Il Vaticano critica Napolitano: «Sono costernato che in tutte queste diatribe politiche si ammazzi una persona – ha affermato il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio giustizia e pace – e sono profondamente deluso (dalla decisione del presidente di non firmare il decreto, ndr)».
AVANTI LA PROCEDURA – Intanto, nella clinica friulana dove si trova Eluana Englaro, la “fase due” della procedura per la riduzione della nutrizione è iniziata.
La conferma arriva dall’avvocato Franca Alessio, curatrice di Eluana: «Penso che tutto si stia svolgendo come previsto.
Il protocollo prevede che dopo tre giorni cominci lo stop all’alimentazione – ha aggiunto il legale -.
I tre giorni sono passati e non intervenendo fatti nuovi si procede come previsto».
Nella clinica sono attesi sabato gli ispettori inviati dal ministro Sacconi per verificare alcune caratteristiche della struttura.
I medici, coordinati dall’anestesista Amato De Monte, vanno avanti con il protocollo concordato tra La Quiete, l’Azienda Sanitaria 4 Medio Friuli e l’associazione «Per Eluana», in attuazione del decreto della Corte di Appello di Milano.
Venerdì sera due consulenti della Procura di Udine hanno controllato e verificato la congruità dell’operato dell’equipe medica.
Per sabato è prevista una nuova riduzione, l’ultima domenica: poi termineranno nutrizione e idratazione artificiali.
Corriere della Sera 6 febbraio 2009 IL CASO ENGLARO La natura e il suo corso di Ernesto Galli Della Loggia E così alla fine il governo è intervenuto in prima persona con un provvedimento d’urgenza nella vicenda di Eluana Englaro.
È giusto comprenderne le indubbie motivazioni di carattere umanitario, ma non per questo si può passare sotto silenzio il vulnus che il governo stesso, se questa sua decisione avesse avuto corso, avrebbe inferto alle regole dello Stato costituzionale di diritto.
Un cui principio fondamentale, come fin dall’inizio ha giustamente ricordato il presidente Napolitano, è che l’esecutivo non può emanare decreti con lo scopo di modificare o rendere nullo quanto deciso in via definitiva da un tribunale.
E se Napolitano ha mantenuto questa sua opposizione fino al punto di rifiutarsi di controfirmare il decreto uscito dal Consiglio dei ministri, non si può che apprezzare la coerenza e la fermezza del capo dello Stato.
Il che non vuole affatto dire però, si badi bene, che ciò che in questo caso i giudici hanno stabilito non lasci nell’opinione pubblica (e certamente, e fortunatamente, non solo in quella cattolica) profonde e giustificatissime perplessità.
Le quali, data la materia di cui si tratta, possono arrivare talvolta a prendere perfino la forma di un vero sentimento di rivolta morale.
A suscitare forti dubbi è proprio il fondamento stesso della decisione finale presa dalla magistratura e cioè l’asserita volontà (ricostruita ex post su base totalmente indiziaria; ripeto: totalmente indiziaria) di Eluana; la quale, si sostiene, piuttosto che vivere nelle condizioni in cui da diciotto anni le è toccato di vivere, avrebbe certamente preferito morire.
L’altissima opinabilità di questa ricostruzione è dimostrata dal semplice fatto che in precedenza per ben due volte (Tribunale di Lecco nel 2005, Corte d’appello di Milano nel 2006) le conclusioni dei giudici erano andate in direzione opposta a quella successiva: allora, infatti, essi sostennero che non esistevano prove vere e affidabili per stabilire la reale volontà della ragazza, intesa come «personale, consapevole e attuale determinazione volitiva, maturata con assoluta cognizione di causa».
Poi la sentenza terremoto della Corte di cassazione; prove simili non furono più ritenute necessarie: per decidere della vita e della morte di Eluana, stabiliscono i giudici, basta adesso tener conto «della sua personalità, del suo stile di vita, delle sue inclinazioni, dei suoi valori di riferimento e delle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche» (si sta parlando, lo si ricordi sempre, di una persona che all’età dell’incidente aveva diciotto anni).
Ed è precisamente sulla base di questa direttiva emanata dai giudici supremi che la Corte d’appello di Milano cambia nel 2008 il proprio orientamento e quelli che prima erano indizi generici si tramutano in prove della personalità di Eluana «caratterizzata da un forte senso d’indipendenza, intolleranza delle regole e degli schemi, amante della libertà e della vita dinamica, molto ferma nelle sue convinzioni ».
Dunque si proceda pure alla sua eliminazione.
Mi sembra appropriato il commento di un giurista di vaglia, Lorenzo D’Avack, sull’Avvenire di giovedì: «Giovani liberi, tendenzialmente anticonformisti, un poco anarchici, dinamici, attivi, con qualche entusiasmo per lo sport, diventano così per la Corte i soggetti ideali per un presunto dissenso, ora per allora, verso terapie di sostegno vitale ».
C’è o non c’è, mi chiedo, motivo di qualche perplessità? Tanto più che contemporaneamente, come fa notare sempre d’Avack, la stessa Cassazione, in un caso di rifiuto delle cure da parte di un Testimone di Geova, stabilisce, invece, che a tale rifiuto i medici devono sì ottemperare, ma solo se esso è contenuto «in una dichiarazione articolata, puntuale ed espressa, dalla quale inequivocabilmente emerga detta volontà».
Ma guarda un po’! Torno a chiedermi: c’è o non c’è motivo di qualche perplessità, forse anzi più d’una? Detto ciò della ricostruzione della volontà di Eluana — che pure, non lo si dimentichi, allo stato attuale è premessa assolutamente dirimente per qualunque decisione da prendere—resta un’ultima questione, quella del «lasciar fare alla natura il suo corso», come si dice da parte di chi pensa che si possa tranquillamente far morire la giovane.
Un’ultima questione, cioè un’ultima domanda: davvero l’espressione «lasciar fare alla natura il suo corso» può arrivare a significare il divieto di idratazione e di alimentazione di un corpo umano? Davvero «far fare alla natura il suo corso» può voler dire far spegnere una persona per mancanza d’acqua? La coscienza di ognuno di noi risponda come può e come sa.
Ma per tutto questo tempo, in realtà, il corpo di Eluana Englaro non ha ricevuto solo liquidi e alimenti; esso è stato anche costantemente sottoposto ad una penetrante protezione farmacologica senza la quale assai probabilmente non avrebbe mai potuto sopravvivere così a lungo.
È proprio da qui si potrebbe forse partire per immaginare quale soluzione dare in futuro ad altri casi analoghi.
Una soluzione, questa volta legislativa, che proprio il decreto di ieri del governo mette in modo ultimativo all’ordine del giorno dei lavori parlamentari, e che potrebbe fondarsi sul concetto di divieto di accanimento terapeutico, ormai pacificamente accolto nelle nostre leggi.
Tale divieto, com’ è noto, si sostanzia in un obbligo di non fare, di non procedere alla somministrazioni di cure allorché è ragionevole pensare che esse non possano in alcun modo servire alla guarigione o a qualche miglioramento significativo delle condizioni del paziente; limitando in questi casi l’opera del medico solo al sollievo dal dolore.
Si tratta peraltro—ed è questo un aspetto decisivo—di un obbligo/ divieto che per valere non ha bisogno di essere convalidato da alcuna decisione particolare del malato, dal momento che fa parte del codice deontologico di tutti coloro che esercitano la professione medica.
Ebbene, non riesco a vedere una ragione valida per cui nel divieto di accanimento ora detto non possa essere fatto rientrare la non somministrazione di farmaci a chi, come è il caso di Eluana Englaro, si trova da tempo in condizioni di stato vegetativo persistente al quale quelle medicine stesse non possono arrecare alcun giovamento ma al massimo assicurarne l’indefinita prosecuzione.
Non produrre la morte di alcuno negandogli l’idratazione e l’alimentazione.
Togliere invece ogni medicamento.
Questo sì mi sembrerebbe un vero «lasciar fare alla natura il suo corso»: rimettendosi al caso o ai disegni imperscrutabili da cui dipendono le nostre vite.
Corriere della Sera 07 febbraio 2009  NOTIZIE CORRELATE La bozza del decreto Papà Beppino: «Mia figlia oggetto di violenza inaudita» Eluana, Napolitano non firma il decreto Il governo approva ddl in tempo record Scontro tra Napolitano e Berlusconi Governo vara disegno di legge record l Papa: dignità per la vita umana, anche quando è debole e sofferente Udine, i medici: «Andiamo avanti» A Eluana azzerati alimenti e acqua Caso englaro: lo scontro istituzionale Napolitano: ecco perché non firmerò Il testo della lettera che il capo dello Stato ha inviato a Berlusconi prima che il CdM approvasse il decreto Signor Presidente, lei certamente comprenderà come io condivida le ansietà sue e del Governo rispetto ad una vicenda dolorosissima sul piano umano e quanto mai delicata sul piano istituzionale.
Io non posso peraltro, nell’esercizio delle mie funzioni, farmi guidare da altro che un esame obiettivo della rispondenza o meno di un provvedimento legislativo di urgenza alle condizioni specifiche prescritte dalla Costituzione e ai principi da essa sanciti.
I temi della disciplina della fine della vita, del testamento biologico e dei trattamenti di alimentazione e di idratazione meccanica sono da tempo all’attenzione dell’opinione pubblica, delle forze politiche e del Parlamento, specialmente da quando sono stati resi particolarmente acuti dal progresso delle tecniche mediche.
Non è un caso se in ragione della loro complessità, dell’incidenza su diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti e della diversità di posizioni che si sono manifestate, trasversalmente rispetto agli schieramenti politici, non si sia finora pervenuti a decisioni legislative integrative dell’ordinamento giuridico vigente.
Già sotto questo profilo il ricorso al decreto legge – piuttosto che un rinnovato impegno del Parlamento ad adottare con legge ordinaria una disciplina organica – appare soluzione inappropriata.
Devo inoltre rilevare che rispetto allo sviluppo della discussione parlamentare non è intervenuto nessun fatto nuovo che possa configurarsi come caso straordinario di necessità ed urgenza ai sensi dell’art.
77 della Costituzione se non l’impulso pur comprensibilmente suscitato dalla pubblicità e drammaticità di un singolo caso.
Ma il fondamentale principio della distinzione e del reciproco rispetto tra poteri e organi dello Stato non consente di disattendere la soluzione che per esso è stata individuata da una decisione giudiziaria definitiva sulla base dei principi, anche costituzionali, desumibili dall’ordinamento giuridico vigente.
Decisione definitiva, sotto il profilo dei presupposti di diritto, deve infatti considerarsi, anche un decreto emesso nel corso di un procedimento di volontaria giurisdizione, non ulteriormente impugnabile, che ha avuto ad oggetto contrapposte posizioni di diritto soggettivo e in relazione al quale la Corte di cassazione ha ritenuto ammissibile pronunciarsi a norma dell’articolo 111 della Costituzione: decreto che ha dato applicazione al principio di diritto fissato da una sentenza della Corte di cassazione e che, al pari di questa, non è stato ritenuto invasivo da parte della Corte costituzionale della sfera di competenza del potere legislativo.
Desta inoltre gravi perplessità l’adozione di una disciplina dichiaratamente provvisoria e a tempo indeterminato, delle modalità di tutela di diritti della persona costituzionalmente garantiti dal combinato disposto degli articoli 3, 13 e 32 della Costituzione: disciplina altresì circoscritta alle persone che non siano più in grado di manifestare la propria volontà in ordine ad atti costrittivi di disposizione del loro corpo.
Ricordo infine che il potere del Presidente della Repubblica di rifiutare la sottoscrizione di provvedimenti di urgenza manifestamente privi dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza previsti dall’art.
77 della Costituzione o per altro verso manifestamente lesivi di norme e principi costituzionali discende dalla natura della funzione di garanzia istituzionale che la Costituzione assegna al Capo dello Stato ed è confermata da più precedenti consistenti sia in formali dinieghi di emanazione di decreti legge sia in espresse dichiarazioni di principio di miei predecessori (si indicano nel poscritto i più significativi esempi in tal senso).
Confido che una pacata considerazione delle ragioni da me indicate in questa lettera valga ad evitare un contrasto formale in materia di decretazione di urgenza che finora ci siamo congiuntamente adoperati per evitare.
Poscritto Con una lettera del 24 giugno 1980, il Presidente Pertini rifiutò l’emanazione di un decreto-legge a lui sottoposto per la firma in materia di verifica delle sottoscrizioni delle richieste di referendum abrogativo; il 3 giugno 1981, sempre il Presidente Pertini, chiamato a sottoscrivere un provvedimento di urgenza, richiese al Presidente del Consiglio di riconsiderare la congruità dell’emanazione per decreto-legge di norme per la disciplina delle prestazioni di cura erogate dal Servizio Sanitario Nazionale.
Nel caso specifico, uno degli argomenti addotti dal Capo dello Stato consisteva nel rilievo della contraddizione tra la disciplina del decreto-legge emanando e “un indirizzo giurisprudenziale in via di definizione”; con lettera 10 luglio 1989 al Presidente del Consiglio De Mita, il Presidente Cossiga manifestò la sua riserva in ordine alla presenza dei presupposti costituzionali di necessità e urgenza ai fini dell’emanazione di un decreto-legge in materia di profili professionali del personale dell’ANAS e affermò: “Ritengo, pertanto, che, allo stato, sia opportuno soprassedere all’emanazione del provvedimento, in attesa della conclusione del dibattito parlamentare sull’analogo decreto relativo al personale del Ministero dell’interno”; in quella stessa lettera e successivamente nella lettera al Presidente del Consiglio Andreotti del 6 febbraio 1990, il Presidente Cossiga richiamò all’osservanza delle specifiche condizioni di urgenza e necessità che giustificano il ricorso alla decretazione di urgenza, ritenendo legittimo da parte sua – in caso di non soddisfacente e convincente motivazione del provvedimento – il puro e semplice rifiuto di emanazione del decreto – legge; con un comunicato del 7 marzo 1993, il Presidente Scalfaro, in rapporto all’emanazione di un decreto-legge in materia di finanziamento dei partiti politici invitò il Governo a riconsiderare l’intera questione, ritenendo più appropriata la presentazione alle Camere di un provvedimento in forma diversa da quella del decreto-legge.
06 febbraio 2009 Giovanni Reale: «Farla sopravvivere è andare contro natura» Il filosofo cattolico: la Chiesa e il governo politicizzano una cosa metapolitica di Daniela Monti «Ma ancora non c’è nulla di deciso, vero?», chiede Giovanni Reale.
«Il decreto del governo è un errore, si oppone all’idea di libertà su cui è radicato il concetto occidentale dell’uomo.
E lo dico da cattolico».
«Napolitano ha fatto il suo dovere di Presidente, ha richiamato l’attenzione sulla sostanza della Costituzione.
Un uomo saggio.
Almeno uno».
«Sopravvivenza a prezzo di vita».
Quando entra nel merito della vicenda di Eluana Englaro, cita il francese Jean Baudrillard.
Da 17 anni, per Reale, Eluana Englaro sopravvive a prezzo della vita.
«La tesi portata avanti da molti uomini della Chiesa, e ora anche del governo, è sbagliata e va corretta — dice il filosofo —.
Nel caso di Eluana vedo un abuso da parte di una civiltà tecnologica totalizzante, così gonfia di sé e dei suoi successi da volersi sostituire alla natura.
Si è perduta la saggezza della giusta misura.
La Chiesa, e il governo insieme a lei, sono vittime di questo paradigma culturale dominante».
Racconta di sua madre.
«Era all’ospedale con il cancro, i medici volevano riempirla di tubi.
“Potremmo prolungarle la vita di qualche mese”, dicevano.
Io ero frastornato.
È stata lei a decidere: lasciatemi morire a casa, nel mio letto.
In quel periodo stavo traducendo il Fedone di Platone e anche lì, con parole diverse, ho ritrovato il senso di quel desiderio di mia madre.
Quando Socrate deve bere la cicuta, qualcuno gli suggerisce: “C’è ancora qualche ora, attendi finché il sole non sia tramontato”.
Ma non ha senso aggrapparsi alla vita quando ormai non ce n’è più».
Se mi trovassi nella condizione di non aver più speranze di guarigione, aggiunge Reale, «non avrei dubbi su cosa scegliere».
Anche la Chiesa condanna l’accanimento terapeutico.
Ma un sondino per l’alimentazione è accanimento terapeutico? Su questo ci si divide.
«La Chiesa dice molte cose sagge.
Per esempio: si può rinunciare all’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo.
Ed è proprio questo il caso di Eluana: qui non c’è stata proporzione e non c’è nessuna ragionevole speranza di esito positivo.
E allora? Perché questo accanirsi contro di lei?».
Reale, da credente, rivendica la libertà di coscienza dei cattolici sul caso di Eluana.
Di più: dice che la libertà di coscienza «è un preciso dovere morale» e si affida a un’altra citazione, questa volta un aforisma di Gomez Davila: «Ciò che si pensa contro la Chiesa, se non lo si pensa da dentro la Chiesa, è privo di interesse».
«Ecco — riprende — molte critiche che vengono dall’interno sono costruttive.
Io critico il paradigma culturale che vorrebbe tenere in vita Eluana contro la natura, e la fede con questo non ha nulla a che fare, la fede è al di sopra della cultura, il suo compito è fecondare la cultura stessa».
Se il diritto alla vita perde la precedenza su tutti gli altri valori, sa anche lei quale potrebbe essere il prossimo passo: parlare in termini meno ideologici di eutanasia.
«Errore.
Io non lascio aperto nessuno spiraglio all’eutanasia.
Non dico: fammi morire.
Ma: lasciami morire come ha stabilito la natura.
Né io, né tu.
La natura.
Prendiamo il caso di Piergiorgio Welby, che ho seguito da vicino.
Welby sostanzialmente non disse: staccate la spina.
Ma: lasciate che la natura faccia il suo corso, non fatemi restare vittima di una tecnologia che costruisce qualcosa di sostitutivo e artificiale rispetto alla natura.
È un’affermazione identica a quella che si dice abbia fatto Giovanni Paolo II: lasciatemi tornare alla casa del padre.
Il secondo aveva fede, il primo no.
Per Welby era andare nella notte assoluta, per il Papa nella vita.
Ma dal punto di vista umano è la stessa condivisibile richiesta».
A complicare il caso di Eluana c’è la questione della ricostruzione della sua volontà presunta.
«Chi più del padre e della madre ama quella ragazza? Mi sembra che nessuno più di loro abbia il diritto di dire che cosa avrebbe voluto fare la figlia, ora che lei non è più in grado di esprimersi».
Giovanni Reale in più occasioni, durante questa intervista, usa il «noi»: «Noi pensiamo che la vita di Eluana sia artificiale».
«Secondo noi questo sistema che si è sostituito alla natura per un tempo così spaventosamente lungo è aberrante».
Reale parla per sé, ma la sua non è una voce isolata.
Attorno al diritto all’autodeterminazione e all’idea di libertà di coscienza dei cattolici si è costituito un gruppo di filosofi: da Vito Mancuso a Roberta De Monticelli, da Vittorio Possenti a, appunto, Giovanni Reale, le «intelligenze più acute del cattolicesimo italiano», come li ha definiti Luigi Manconi su L’Unità.
Che succede ora: nella Chiesa si arriverà a una sintesi? «Gettiamo semi, non tocca a noi raccogliere frutti.
Speriamo li diano.
Ma l’errore che con Eluana stanno facendo religiosi e uomini di governo è di cadere nella politicizzazione di qualcosa che con la politica non c’entra niente, che è metapolitico».
Corriere della Sera 07 febbraio 2009 Sul caso Eluana, il governo potrebbe varare un decreto legge volto ad impedire l’esecuzione della sentenza della Corte d’appello di Milano, a sua volta giudicata corretta dalla Cassazione.
Il provvedimento, secondo quanto sostiene l’Ansa, contiene un solo articolo dal titolo: «Disposizioni urgenti in materia di alimentazione ed idratazione».
Questo è il testo: «In attesa dell’approvazione di una completa e organica disciplina legislativa in materia di fine vita l’alimentazione e l’idratazione, in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere rifiutate dai soggetti interessati o sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi».
«E’ un omicidio, quel decreto è un dovere»    «Lo Stato ha il diritto di proteggere la vita di ogni suo cittadino»  Intervista al cardinale Camillo Ruini di Aldo Cazzullo  Cardinal Ruini, quali sono i suoi sentimenti in queste ore decisive per la sorte di Eluana Englaro? «Sofferenza.
Non ho mai conosciuto Eluana, ma prego per lei ogni giorno.
Preoccupazione.
Speranza.
E impegno a fare tutto il possibile.
Innanzitutto, per far sapere quali sono le sue reali condizioni: chi è informato bene, di solito non ha più dubbi.
È stato importante che la suora che l’ha assistita sia andata in tv a raccontare la sua esperienza con Eluana.
Non ha senso attribuire all’Eluana di oggi, dopo quel tragico incidente, le aspirazioni e i desideri di prima.
Eluana è stata sfortunata.
Ha perduto molto.
Ora ha bisogno di poco, è protesa verso quel poco, con poco può vivere senza soffrire.
Non colpiamola una seconda volta.
Non togliamole anche questo poco».
Lasciarla morire equivale a un omicidio? «Lasciarla morire, o più esattamente — per chiamare le cose con il loro nome — farla morire di fame e di sete, è oggettivamente, al di là delle intenzioni di chi vuole questo, l’uccisione di un essere umano.
Un omicidio.
Purtroppo inferto in maniera terribile, senza che nessuno possa essere certo che Eluana non soffrirà».
È giusto che il governo sia intervenuto con un decreto? E il capo dello Stato avrebbe dovuto firmarlo? «Non ho ancora avuto modo di conoscere il testo del decreto del governo e della lettera del capo dello Stato, ma conosco le obiezioni secondo le quali questo decreto sarebbe una prevaricazione nei rapporti tra i poteri dello Stato.
Di prevaricazioni però in questa vicenda se ne sono già fatte molte.
A cominciare dai giudici che hanno applicato una legge che non esiste e che, soprattutto, non hanno tenuto conto della situazione reale di Eluana.
Ad ogni modo, ritengo che lo Stato abbia il diritto, e aggiungerei il dovere, di proteggere la vita di ogni suo cittadino».
Una legge sul testamento biologico ora è necessaria? E come andrebbe impostata? «Preferisco parlare di legge sulla fine della vita.
La parola testamento implica infatti che si disponga di un oggetto, ma la vita non è un oggetto, non è un appartamento o una somma di denaro.
La legge dovrebbe evitare sia l’eutanasia sia l’accanimento terapeutico.
Ma è ovvio che la nutrizione e l’idratazione non possono essere lasciate alla decisione dei singoli, perché toglierle significa provocare la morte.
Se eutanasia significa morte “dolce”, “buona”, la fine di Eluana sarebbe peggio dell’eutanasia: Eluana morirebbe di fame e di sete.
La sua sarebbe una morte pessima».
Il padre, Beppino Englaro, ha avuto parole dure su quella che considera un’ingerenza della Chiesa.
Ha torto? «Il rispetto è dovuto a tutti, ma il rispetto massimo è dovuto al signor Englaro, che vive questa terribile esperienza di persona.
Nessuno di noi può sindacare su come reagiscono i genitori toccati così profondamente dal dolore.
Ho conosciuto genitori che si ribellavano di fronte a quella che ritenevano un’ingiustizia divina, e altri che la accettavano.
Ricorderò sempre il giorno in cui fui testimone di un incidente stradale a Regnano, sulle colline di Reggio Emilia.
Stavo guidando.
Davanti a me, un giovane cadde dalla moto.
Non andava forte, ma c’era ghiaia sulla strada e perse il controllo, la moto gli cadde addosso.
Mi fermai, gli diedi l’estrema unzione, ma era già morto.
Gli abitanti del paese mi dissero: la madre è malata di cuore, vada lei a darle la notizia.
Mi feci carico del duro compito.
Quella donna, una contadina, rimase a lungo in silenzio.
Poi mi guardò e disse: “La Madonna ha sofferto di più”…».
(Il cardinale si interrompe, commosso).
Parlavamo dell’ingerenza.
«Non ingerenza, ma adempimento della missione della Chiesa.
Come ha detto con una formula molto efficace Giovanni Paolo II, nell’enciclica Redemptor hominis, “sulla via che conduce da Cristo all’uomo la Chiesa non può essere fermata da nessuno”.
Ogni essere umano è degno di rispetto e amore; tanto più gli innocenti, gli inconsapevoli, i colpiti dal destino».
L’ha colpita il gesto delle suore che erano pronte ad accogliere Eluana e occuparsi di lei negli anni a venire? «Mi ha toccato profondamente, ma non mi ha sorpreso.
Ho avuto molte esperienze in merito.
Penso alle suore delle case di carità di Reggio Emilia, che ora sono anche qui a Roma.
Donne che accolgono persone in condizioni gravissime e le accudiscono con dedizione totale e con gioia.
E molti sono i volontari che le affiancano».
Quali casi ha conosciuto di persona? «Ad esempio, famiglie che hanno figli cerebrolesi dalla nascita, incoscienti eppure non indifferenti, perché in modo istintivo percepiscono le correnti di affetto.
Ci sono genitori che rifiutano figli così, ma ci sono altri che li accettano.
La vita di quei ragazzi, che talora ho visto diventare adulti, non è meno preziosa.
Non posso accettare l’idea che la loro vita valga meno della mia o di qualsiasi altra».
Quali sensibilità ha colto sulla vicenda nell’opinione pubblica, credente o non credente? I sondaggi indicano che in molti sostengono le ragioni di Beppino Englaro.
«Io non ho fatto sondaggi, ma ho discusso in varie occasioni con la gente comune.
All’inizio l’interesse era minore, e in tanti consideravano giusto che fosse il padre a decidere.
Ma non appena vengono informati sulle reali condizioni di Eluana, in pochissimi restano favorevoli a lasciarla morire.
Uno dei miei interlocutori si è proprio arrabbiato: “Ma perché i giornali non scrivono queste cose?”».
E lei come ha trovato i giornali? «In buona parte schierati.
Mentre le tv lo sono state meno, hanno dato spazio anche alle nostre ragioni, come già accadde per il referendum sulla procreazione assistita».
Diceva delle sue discussioni con la gente comune.
«Il fattore che la orienta non è tanto quello religioso.
Non ci sono i credenti di qua e i non credenti di là.
L’impressione è che ci siano piuttosto gli informati e i non informati.
L’esperienza mi ha insegnato inoltre che i malati, per quanto gravi, sperano sempre di continuare a vivere».
In un’intervista a Giacomo Galeazzi della «Stampa», l’arcivescovo Casale, schierandosi con papà Englaro, dice: «Anche Giovanni Paolo II ha richiesto di non insistere con interventi terapeutici inutili».
«Penso di aver conosciuto bene Giovanni Paolo II, e ho vissuto quei giorni in stretto contatto con il suo segretario Don Stanislao Dziwisz, mio carissimo amico.
So bene dunque il senso delle ultime parole del Papa, “lasciatemi andare”.
Quando non c’è più niente da fare, il credente sa che, con la morte, per lui la vita non finisce, ma in un certo senso comincia.
Sia credenti sia non credenti possono dire “lasciatemi andare” in modo eticamente legittimo, ma per un credente queste parole indicano anche una speranza, significano “lasciatemi tornare alla casa del Padre”.
Chi ha un’esperienza anche piccola del modo in cui Giovanni Paolo II viveva il suo rapporto con Dio non ha dubbi al riguardo».
Lei era capo dei vescovi quando si visse il dramma di Piergiorgio Welby.
Diverso da quello di Eluana perché il malato era cosciente e aveva chiesto di morire.
Ripensandoci oggi, non era possibile un atteggiamento diverso da parte della Chiesa? Ad esempio concedere i funerali? «È vero, quel caso era molto diverso.
Non solo Welby era cosciente; era molto più dipendente dalla tecnologia per continuare a vivere.
Nel mezzo della prova, lui scelse di porre fine alla sua vita.
Una scelta che Eluana non ha mai fatto.
Quanto alla mia decisione, la Chiesa non può consentire — tanto più quando un caso ha rilevanza pubblica — che si rivendichi nello stesso tempo l’appartenenza al cattolicesimo e l’autonomia nel decidere sulla propria vita.
Non si può dire: “Io sono cattolico, e decido io”».
Può un cattolico, tanto più un vescovo, negare la Shoah? È una semplice opinione personale in contrasto con quanto sostiene la Chiesa, o è un dato incompatibile con la presenza della Chiesa stessa? «A questa domanda ha già risposto la Santa Sede, con la nota della Segreteria di Stato pubblicata sull’Osservatore Romano secondo la quale, per essere ammesso alle funzioni episcopali, Williamson deve “prendere in modo inequivocabile e pubblico le distanze dalla sua posizione sulla Shoah”.
Se non lo fa, non può fare il vescovo».
Come giudica l’invito del cancelliere Angela Merkel al Papa a fare chiarezza sul negazionismo dei lefebvriani? «Quanto meno superfluo.
Basta ricordare o rileggere quanto disse Benedetto XVI ad Auschwitz, domenica 28 maggio 2006, con parole che toccarono profondamente tutti i presenti, me compreso».
La vicenda Englaro le pare collegata alla denuncia del vuoto di valori e del relativismo etico, temi-chiave del pontificato di Ratzinger? «Uno dei caratteri del magistero di Benedetto XVI e della teologia di Joseph Ratzinger è la denuncia del relativismo etico o, per usare la formula da lui coniata, della dittatura del relativismo.
In Italia, e ancor più in altri Paesi dell’Occidente, esiste un’emergenza educativa, che rappresenta un’ipoteca sul nostro futuro e ha le sue radici nella mentalità diffusa, secondo la quale non esistono più punti di riferimento che precedano e possano illuminare le nostre scelte.
Quando non siamo più d’accordo su cos’è l’uomo, quando l’uomo viene ricondotto totalmente ed esclusivamente alla natura, salta ogni differenza qualitativa, viene meno lo specifico umano, cadono o cambiano radicalmente i parametri educativi.
Si aprono così le porte al nichilismo, che nasce, come ha spiegato bene il suo primo sostenitore, Federico Nietzsche, con la “morte di Dio”.
La Chiesa italiana è pronta a un grande sforzo sull’educazione, collaborando con altri soggetti per il futuro del Paese, e pubblicherà in merito un “rapporto-proposta”.
Stiamo lavorando inoltre ad un grande evento internazionale per il dicembre prossimo a Roma, dove arriveranno alcuni tra i più importanti studiosi del mondo a confrontarsi sul tema di Dio e del suo significato per la nostra vita, anche in rapporto con la scienza».  Corriere della sera 07 febbraio 2009

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