Non più, quindi “svegliatosi”, ma “svegliò”; non più “locuste”, ma “cavallette”.
«Una grande attenzione è stata posta anche alla traduzione dei nomi geografici o di persona.
Per esempio, attualmente lo stesso lago è trascritto in tre modi diversi: Genèsaret, Chinarot e Kinarot; adesso è sempre Chinaròt».
Per i salmi, poi, «è stata scelta la numerazione ebraica (per cui, ad esempio, il Miserere non è più il 50, ma il 51».
E ci sono cambiamenti anche nei contenuti: «l’inizio del Salmo 65 nella precedente edizione Cei era: “A te si deve lode, o Dio, in Sion”.
Ora si legge: “Per te il silenzio è lode, o Dio, in Sion”».
Profondi cambiamenti ci sono anche in alcuni libri, ad esempio quello di Ester e il Siracide, perché proprio la ricerca di rigore scientifico ha portato a scelte nuove per il lettore non specialista.
«Ci sono circa 6.000 lingue.
In 4.000 di queste non c’è traduzione della Bibbia, né parziale, né totale», ha ricordato durante la presentazione Monsignor Vincenzo Paglia.
«Noi siamo fortunati ad avere addirittura una nuova traduzione, e oltretutto una traduzione che è già stata adottata nelle celebrazioni domenicali, cosa molto importante perché aiuta la memoria.
Memorizzare versi e brani è importante perché imparare a parlare con le parole della Bibbia vuol dire toccare almeno il lembo del mantello di Gesù.
E pregare solo con il nostro linguaggio vuol dire ignorare quello di Dio».
La Bibbia, peraltro, è un libro ancora presente nelle case.
Monsignor Paglia ha infatti citato l’indagine fatta dalla Federazione Biblica Internazionale in sedici Paesi dell’Europa e dell’America, e presentata al recente Sinodo dei vescovi.
«La stragrande maggioranza degli italiani ha la Bibbia in casa.
Probabilmente è un oggetto da scaffale, ma forse questa nuova traduzione può aiutarla a farla passare dallo scaffale al comodino».
Proprio la Bibbia, infatti, «in un mondo globalizzato è la nuova frontiera a cui chiamare tutti.
E resta un libro tra i più amati, in tutti i Paesi, da Mosca a Washington; uno dei volumi da cui ci attende una prospettiva per la propria vita.
La maggior parte della popolazione (tranne in Francia), ritiene che la Bibbia debba essere insegnata nelle scuole, perché senza un aiuto alla lettura rischia di diventare un libro chiuso, difficilmente interpretabile.
Inoltre c’è un recupero dell’indispensabile legame tra Bibbia e comunità: è il momento di sviluppare l’impegno di tutti i cristiani a rifrequentare assieme le Scritture».
Anche secondo Gabriella Caramore (autrice di “Uomini e Profeti”, Radio-Rai3), questa nuova edizione arriva in un momento in cui «si sente forte il bisogno che la conoscenza della Bibbia venga recuperata all’interno della cultura personale ” accanto alle scienze, alle arti eccetera “, non solo dei credenti, ma di tutti», ha detto.
«Senza conoscenza approfondita e continuata della Bibbia, infatti, non si possono capire le categorie che accompagnano la nostra storia.
Quale memoria possiamo avere se non abbiamo assimilato la memoria biblica? Quale idea di libertà se non sappiamo che biblicamente essa passa attraverso l’amore, è un dono di Dio al suo popolo, e non un diritto da rivendicare? Quale idea di sapienza senza conoscere Qoelet, quale idea della politica senza la dimensione della profezia che indica il bene per la comunità e non per il singolo? Per questo la conoscenza della Bibbia è importante anche da un punto vista laico, per tutti».
Quattrocentomila copie vendute o prevendute in pochi mesi: la Bibbia nella nuova traduzione ” anche se non entra mai nelle classifiche dei libri ” ha successo, tanto che si prevede per gennaio una seconda edizione.
Parliamo, naturalmente, dell’edizione Uelci, l’associazione di editori cattolici che hanno curato e distribuito l’edizione economica della nuova tradizione.
E che hanno sfidato la tradizione mettendola in vendita anche nei centri commerciali, autogrill, blockbuster e aeroporti.
Durante la presentazione del volume, a Roma nel contesto della Fiera «Più libri, più liberi», padre Giuseppe Danieli (già presidente della Associazione Biblica Italiana e coordinatore del gruppo dei traduttori) ha ricordato che il lavoro è iniziato esattamente vent’anni fa, nel 1988, e ha tenuto conto delle indicazioni che Paolo VI aveva dato nel ’65 quando si era cominciato a lavorare alla traduzione poi pubblicata nell’86: dare alla Chiesa una Bibbia a livello degli studi biblici moderni, e tale che possa servire soprattutto nella liturgia.
«Per questo, dove possibile siamo partiti dagli originali ebraici, aramaici, greci, e non dalla traduzione latina.
Ma volevamo una lingua semplice, e quindi siamo stati attenti a rinnovare il linguaggio, usando il più possibile termini in uso oggi».
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