La Rete e la Chiesa: un mondo digitale accessibile a tutti

Destinate a incontrarsi Internet è una realtà che ormai fa parte della vita quotidiana di molte persone.
Se fino a qualche tempo fa era legata all’immagine di qualcosa di tecnico, che richiedeva competenze specifiche sofisticate, oggi è diventato un luogo da frequentare per stare in contatto con gli amici che abitano lontano, per leggere le notizie, per comprare un libro o prenotare un viaggio, per condividere interessi e idee.
L’avvento di internet è stato, certo, una rivoluzione.
E tuttavia è una rivoluzione che potremmo definire “antica”, cioè con salde radici nel passato: replica antiche forme di trasmissione del sapere e del vivere comune, ostenta nostalgie, dà forma a desideri e valori antichi quanto l’essere umano.
Quando si guarda a internet occorre non solo vedere le prospettive di futuro che offre, ma anche i desideri e le attese che l’uomo ha sempre avuto e alle quali prova a rispondere: comunicazione, relazione e conoscenza.
Internet si sta decisamente evolvendo, trasformandosi in una piattaforma relazionale.
Non è più un agglomerato di siti web isolati e indipendenti tra loro, seppure collegati e messi in rete, ma è da considerare come l’insieme delle capacità tecnologiche raggiunte dall’uomo nell’ambito della diffusione e della condivisione dell’informazione e del sapere.
La Rete permette la partecipazione e la diffusione dei contenuti multimediali (testi, immagini e suoni) che vengono prodotti dagli stessi utenti, i cosiddetti consumer generated media.
Ogni informazione (un’immagine, un video, una registrazione audio, un link, un testo, …) entra in una rete di relazioni di persone che collega tra loro i contenuti e ne potenzia ed estende il valore e il significato.
Da sempre la Chiesa ha nell’annuncio di un messaggio e nelle relazioni di comunione due pilastri fondanti del suo essere.
La Chiesa è dunque naturalmente presente – ed è chiamata ad esserlo – lì dove l’uomo sviluppa la sua capacità di conoscenza e di relazione.
Ecco perché la Rete e la Chiesa sono due realtà da sempre destinate a incontrarsi: internet non è un semplice “strumento” di comunicazione che si può usare o meno, ma un “ambiente” culturale, che determina uno stile di pensiero e crea nuovi territori e nuove forme di educazione, contribuendo a definire anche un modo nuovo di stimolare le intelligenze e di costruire la conoscenza e le relazioni.
L’uomo infatti non resta immutato dal modo con cui manipola il mondo: a trasformarsi non sono soltanto i mezzi con i quali comunica, ma l’uomo stesso e la sua cultura.
La Chiesa dunque, per attuare sino in fondo la sua missione, ha bisogno di vivere nella Rete e incarnare in essa il messaggio del Vangelo.
Internet, che si basa su una logica delle “connessioni” (links e networks), abbatte distanze spazio-temporali prima valicabili con difficoltà o a costi proibitivi.
L’ambiente telematico diffuso unisce i popoli grazie alla crescita dell’integrazione sociale, mette in circolo il pensiero e le culture, fa cadere le barriere dei particolarismi.
Si tratta di un’opportunità per le relazioni interne alla Chiesa, ma anche per la comunicazione tra la Chiesa e il mondo.
Infatti la Chiesa, proprio in quanto “corpo vivo”, come afferma la Communio et progressio (n.
116-117), ha bisogno dell’opinione pubblica.
Grazie alla Rete la Chiesa può ascoltare più chiaramente la voce dell’opinione pubblica ed entrare in continuo dibattito con il mondo circostante.
La peculiarità della comunicazione in Rete è infatti l’interattività bidirezionale, che sta già facendo svanire la vecchia distinzione tra chi comunica e chi riceve la comunicazione.
Certo, la Chiesa non è mai e in nessun caso “prodotto” della comunicazione, e la fede non è fatta soltanto di informazioni, né è luogo di mera “trasmissione”, cioè non è una pura “emittente”.
Essa è luogo di “comunicazione” e “testimonianza” vissuta del messaggio che si “annuncia” e che si celebra in seno a una comunità umana in carne e ossa.
Il rapporto diretto, proprio della Rete, tra centro e qualsiasi punto della periferia espone al rischio di formare un’abitudine all’inutilità della mediazione incarnata in un certo momento e in un certo luogo.
E tuttavia è anche vero che si aprono contesti e orizzonti di relazione prima impensabili o forse, al massimo, intuiti da geni religiosi come Pierre Teilhard de Chardin.
Le nuove tecnologie informatiche e telematiche sono entrate anche nel grande campo della pastorale e dello studio sulle nuove possibilità per il ministero.
Molti pastori e formatori sono in Rete per creare occasione di incontro e di annuncio, ma anche di confronto aperto lì dove la gente si incontra.
Oggi internet è, di fatto, un luogo di incontro, dove sta emergendo un differente concetto di “prossimo”, ancora tutto da studiare.
Se è necessario, oggi più che mai, interrogarsi sul modo in cui internet comincia a cambiare il modo di percepire le relazioni umane, allora è anche necessario confrontarsi con le conseguenze che ciò può avere nella Chiesa, che non è una rete di relazioni orizzontali immanenti, ma ha sempre un principio e un fondamento “esterno”.
L’agire comunicativo della Chiesa ha in questo dono il suo fondamento e la sua origine.
Comunque la reticolarità della vite nei cui tralci scorre una medesima linfa non è lontanissima dall’immagine di internet: la Rete è immagine della Chiesa nella misura in cui la si intende come un corpo che è vivo se tutte le relazioni al suo interno sono vitali.
Poi l’universalità della Chiesa e la missione dell’annuncio “a tutte le genti” rafforzano la percezione che la Rete possa essere un modello.
In ogni caso la Chiesa stessa è chiamata a vivere nel mondo, il quale non può non determinarne anche la figura concreta, storica e i modelli di comunione possibili.
Tirarsi indietro timidamente per paura della tecnologia o per qualche altro motivo non è più accettabile.
di Antonio Spadaro (©L’Osservatore Romano – 24 gennaio 2009) Gli strumenti della comunicazione digitale devono favorire la cooperazione tra i popoli e non “incrementare il divario che separa i poveri dalle nuove reti che si stanno sviluppando al servizio dell’informazione e della socializzazione umana”.
Lo afferma il Papa nel messaggio per la 43 ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebra il prossimo 24 maggio sul tema “Nuove tecnologie, nuove relazioni.
Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”.
Cari fratelli e sorelle, in prossimità ormai della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, mi è caro rivolgermi a voi per esporvi alcune mie riflessioni sul tema scelto per quest’anno: Nuove tecnologie, nuove relazioni.
Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia.
In effetti, le nuove tecnologie digitali stanno determinando cambiamenti fondamentali nei modelli di comunicazione e nei rapporti umani.
Questi cambiamenti sono particolarmente evidenti tra i giovani che sono cresciuti in stretto contatto con queste nuove tecniche di comunicazione e si sentono quindi a loro agio in un mondo digitale che spesso sembra invece estraneo a quanti di noi, adulti, hanno dovuto imparare a capire ed apprezzare le opportunità che esso offre per la comunicazione.
Nel messaggio di quest’anno, il mio pensiero va quindi in modo particolare a chi fa parte della cosiddetta generazione digitale: con loro vorrei condividere alcune idee sullo straordinario potenziale delle nuove tecnologie, se usate per favorire la comprensione e la solidarietà umana.
Tali tecnologie sono un vero dono per l’umanità: dobbiamo perciò far sì che i vantaggi che esse offrono siano messi al servizio di tutti gli esseri umani e di tutte le comunità, soprattutto di chi è bisognoso e vulnerabile.
L’accessibilità di cellulari e computer, unita alla portata globale e alla capillarità di internet, ha creato una molteplicità di vie attraverso le quali è possibile inviare, in modo istantaneo, parole ed immagini ai più lontani ed isolati angoli del mondo: è, questa, chiaramente una possibilità impensabile per le precedenti generazioni.
I giovani, in particolare, hanno colto l’enorme potenziale dei nuovi media nel favorire la connessione, la comunicazione e la comprensione tra individui e comunità e li utilizzano per comunicare con i propri amici, per incontrarne di nuovi, per creare comunità e reti, per cercare informazioni e notizie, per condividere le proprie idee e opinioni.
Molti benefici derivano da questa nuova cultura della comunicazione: le famiglie possono restare in contatto anche se divise da enormi distanze, gli studenti e i ricercatori hanno un accesso più facile e immediato ai documenti, alle fonti e alle scoperte scientifiche e possono, pertanto, lavorare in équipe da luoghi diversi; inoltre la natura interattiva dei nuovi media facilita forme più dinamiche di apprendimento e di comunicazione, che contribuiscono al progresso sociale.
Sebbene sia motivo di meraviglia la velocità con cui le nuove tecnologie si sono evolute in termini di affidabilità e di efficienza, la loro popolarità tra gli utenti non dovrebbe sorprenderci, poiché esse rispondono al desiderio fondamentale delle persone di entrare in rapporto le une con le altre.
Questo desiderio di comunicazione e amicizia è radicato nella nostra stessa natura di esseri umani e non può essere adeguatamente compreso solo come risposta alle innovazioni tecnologiche.
Alla luce del messaggio biblico, esso va letto piuttosto come riflesso della nostra partecipazione al comunicativo ed unificante amore di Dio, che vuol fare dell’intera umanità un’unica famiglia.
Quando sentiamo il bisogno di avvicinarci ad altre persone, quando vogliamo conoscerle meglio e farci conoscere, stiamo rispondendo alla chiamata di Dio – una chiamata che è impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza di Dio, il Dio della comunicazione e della comunione.
Il desiderio di connessione e l’istinto di comunicazione, che sono così scontati nella cultura contemporanea, non sono in verità che manifestazioni moderne della fondamentale e costante propensione degli esseri umani ad andare oltre se stessi per entrare in rapporto con gli altri.
In realtà, quando ci apriamo agli altri, noi portiamo a compimento i nostri bisogni più profondi e diventiamo più pienamente umani.
Amare è, infatti, ciò per cui siamo stati progettati dal Creatore.
Naturalmente, non parlo di passeggere, superficiali relazioni; parlo del vero amore, che costituisce il centro dell’insegnamento morale di Gesù: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza” e “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (cfr.
Mc 12, 30-31).
In questa luce, riflettendo sul significato delle nuove tecnologie, è importante considerare non solo la loro indubbia capacità di favorire il contatto tra le persone, ma anche la qualità dei contenuti che esse sono chiamate a mettere in circolazione.
Desidero incoraggiare tutte le persone di buona volontà, attive nel mondo emergente della comunicazione digitale, perché si impegnino nel promuovere una cultura del rispetto, del dialogo, dell’amicizia.
Pertanto, coloro che operano nel settore della produzione e della diffusione di contenuti dei nuovi media non possono non sentirsi impegnati al rispetto della dignità e del valore della persona umana.
Se le nuove tecnologie devono servire al bene dei singoli e della società, quanti ne usano devono evitare la condivisione di parole e immagini degradanti per l’essere umano, ed escludere quindi ciò che alimenta l’odio e l’intolleranza, svilisce la bellezza e l’intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi.
Le nuove tecnologie hanno anche aperto la strada al dialogo tra persone di differenti paesi, culture e religioni.
La nuova arena digitale, il cosiddetto cyberspace, permette di incontrarsi e di conoscere i valori e le tradizioni degli altri.
Simili incontri, tuttavia, per essere fecondi, richiedono forme oneste e corrette di espressione insieme ad un ascolto attento e rispettoso.
Il dialogo deve essere radicato in una ricerca sincera e reciproca della verità, per realizzare la promozione dello sviluppo nella comprensione e nella tolleranza.
La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze: è piuttosto ricerca del vero, del bene e del bello.
Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia.
Occorre non lasciarsi ingannare da quanti cercano semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità.
Il concetto di amicizia ha goduto di un rinnovato rilancio nel vocabolario delle reti sociali digitali emerse negli ultimi anni.
Tale concetto è una delle più nobili conquiste della cultura umana.
Nelle nostre amicizie e attraverso di esse cresciamo e ci sviluppiamo come esseri umani.
Proprio per questo la vera amicizia è stata da sempre ritenuta una delle ricchezze più grandi di cui l’essere umano possa disporre.
Per questo motivo occorre essere attenti a non banalizzare il concetto e l’esperienza dell’amicizia.
Sarebbe triste se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare on-line le amicizie si realizzasse a spese della disponibilità per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontrano nella realtà di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero.
Quando, infatti, il desiderio di connessione virtuale diventa ossessivo, la conseguenza è che la persona si isola, interrompendo la reale interazione sociale.
Ciò finisce per disturbare anche i modelli di riposo, di silenzio e di riflessione necessari per un sano sviluppo umano.
L’amicizia è un grande bene umano, ma sarebbe svuotato del suo valore, se fosse considerato fine a se stesso.
Gli amici devono sostenersi e incoraggiarsi l’un l’altro nello sviluppare i loro doni e talenti e nel metterli al servizio della comunità umana.
In questo contesto, è gratificante vedere l’emergere di nuove reti digitali che cercano di promuovere la solidarietà umana, la pace e la giustizia, i diritti umani e il rispetto per la vita e il bene della creazione.
Queste reti possono facilitare forme di cooperazione tra popoli di diversi contesti geografici e culturali, consentendo loro di approfondire la comune umanità e il senso di corresponsabilità per il bene di tutti.
Ci si deve tuttavia preoccupare di far sì che il mondo digitale, in cui tali reti possono essere stabilite, sia un mondo veramente accessibile a tutti.
Sarebbe un grave danno per il futuro dell’umanità, se i nuovi strumenti della comunicazione, che permettono di condividere sapere e informazioni in maniera più rapida e efficace, non fossero resi accessibili a coloro che sono già economicamente e socialmente emarginati o se contribuissero solo a incrementare il divario che separa i poveri dalle nuove reti che si stanno sviluppando al servizio dell’informazione e della socializzazione umana.
Vorrei concludere questo messaggio rivolgendomi, in particolare, ai giovani cattolici, per esortarli a portare nel mondo digitale la testimonianza della loro fede.
Carissimi, sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! Nei primi tempi della Chiesa, gli Apostoli e i loro discepoli hanno portato la Buona Novella di Gesù nel mondo greco romano: come allora l’evangelizzazione, per essere fruttuosa, richiese l’attenta comprensione della cultura e dei costumi di quei popoli pagani nell’intento di toccarne le menti e i cuori, così ora l’annuncio di Cristo nel mondo delle nuove tecnologie suppone una loro approfondita conoscenza per un conseguente adeguato utilizzo.
A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo “continente digitale”.
Sappiate farvi carico con entusiasmo dell’annuncio del Vangelo ai vostri coetanei! Voi conoscete le loro paure e le loro speranze, i loro entusiasmi e le loro delusioni: il dono più prezioso che ad essi potete fare è di condividere con loro la “buona novella” di un Dio che s’è fatto uomo, ha patito, è morto ed è risorto per salvare l’umanità.
Il cuore umano anela ad un mondo in cui regni l’amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l’unità, dove la libertà trovi il proprio significato nella verità e dove l’identità di ciascuno sia realizzata in una comunione rispettosa.
A queste attese la fede può dare risposta: siatene gli araldi! Il Papa vi è accanto con la sua preghiera e con la sua benedizione.
Dal Vaticano, 24 gennaio 2009 (©L’Osservatore Romano – 24 gennaio 2009)

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