Per don Pompili, i responsabili dei siti internet delle diocesi e delle altre realtà cattoliche debbono chiedersi anche se «è giusto continuare a contrapporre il virtuale al reale? E, d’altra parte, in che modo le due esperienze, obiettivamente diverse, possono integrarsi?».
«Non vi è dubbio – sottolinea – che ci siano in giro difensori entusiasti del virtuale che tendono a minimizzare il suo impatto, così come vi sono ostinati detrattori del virtuale che vorrebbero descriverlo necessariamente come antitesi all’umano».
Un altro interrogativo riguarda il nuovo individualismo che cresce: «In che modo questo individualismo interconnesso ridisegna il territorio umano e, dunque, la dinamica relazionale?».
Ma la questione centrale «è quella che si muove tra identità e linguaggi».
In questi anni, ricorda il sacerdote, «non sono mancati pertinenti pronunciamenti da parte del Magistero.
Ultimo in ordine di tempo, l’annunciato messaggio per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (Nuove tecnologie, nuove relazioni.
Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia) che lascia chiaramente immaginare – e in modo dichiaratamente pro-positivo – che in questo ambito si gioca una partita importante dell’umano».
Il boom di internet in parrocchia.
Pescatori di uomini sì, ma nella Rete delle reti, evitando di rimanere intrappolati però nei meandri di internet.
Con più di duemila anni di storia e il Vangelo da annunciare al mondo la Chiesa e la sua missione salvifica potrebbe sembrare distante dal world wide web, un ambiente virtuale ed elettronico che ha avuto la sua ampia diffusione popolare non più di quindici anni fa.
Eppure andando sui browser e nei motori di ricerca si scopre che on line c’è una marea di pagine personali, blog, siti parrocchiali, di associazioni e movimenti che crescono di giorno in giorno confermando come il cristianesimo nelle diverse fasi storiche, compresa quella che stiamo vivendo, si è sempre incarnato e inserito nelle culture del suo tempo.
In Italia fino al marzo 2008 il numero di siti cattolici ha raggiunto quota 12mila secondo la lista www.siticattolici.it curata da Francesco Diani.
Di questi il 24,2 per cento sono riconducibili a siti di comunità parrocchiali mentre il 20 per cento ad associazioni e movimenti, il 7 per cento ai siti personali.
Un dato che conferma la ricerca dell’Università di Perugia condotta da Paolo Mancini, docente di sociologia della comunicazione, su un campione di 1338 persone: quasi l’86 per cento delle parrocchie italiane posseggono un computer e nel 70 per cento dei casi esiste una connessione a internet; circa il 62 per cento delle comunità parrocchiali ha un indirizzo di posta elettronica e «ciò avviene nonostante l’età piuttosto avanzata della maggior parte dei parroci italiani – dice la ricercatrice Rita Marchetti che ha collaborato all’indagine –.
Basta pensare che quasi il 50 per cento di essi ha più di sessant’anni».
La ricerca sarà presentata tra oggi e domani proprio al convegno “Chiesa 2.0”, rivolto principalmente ai responsabili diocesani della comunicazione internet, e in cui ci si interroga sul futuro della relazione tra virtuale e reale, e sull’individualismo che deriva dall’uso della rete, per capire se è possibile per la Chiesa e i cattolici essere presenti nel web mantenendo la propria lingua e la propria identità.
Alcuni esempi.
Per Daniel Arasa, docente di struttura dell’informazione e comunicazione digitale presso la Pontificia Università della Santa Croce, «qualsiasi istituzione che desideri trasmettere una sua immagine pubblica d’accordo con l’identità di se stessa, non può fare a meno dell’uso di internet e, concretamente, di avere un sito web».
Il problema quindi, secondo Arasa, che è autore di Church communications through diocesan websites.
A model of analysis, non è tanto se avere un sito web oppure non averlo, ma quale tipologia di sito costruire.
«Il web 2.0 – aggiunge – ha fatto sì che questi elementi siano sottomessi ad una nuova dinamica: alla diffusione dell’informazione si sono aggiunti lo scambio e il feedback».
È il caso del sito www.religione20.net, più di un semplice blog curato da Luca Paolin, che fa parte della comunità virtuale promossa da alcuni insegnanti di religione.
Ad oggi raccoglie più di cento membri attivi in tutta Italia all’indirizzo http://ircduepuntozero.ning.com/.
Il sito offre spunti e suggestioni dall’attualità, aree di documentazione e link di approfondimento.
Si propone come una raccolta di strumenti utili e segnalazioni per una didattica della religione in stile web 2.0.
Il sito de La vita cattolica di Udine (www.lavitacattolica.it) è un esempio di convergenza cooperativa, perché il settimanale della diocesi si integra con la radio e il sito dell’arcidiocesi stessa, mentre su www.diocesinoto.it, il sito internet istituzionale della diocesi siciliana, è possibile percorrere un itinerario multimediale delle Chiese barocche.
Nel portale dell’arcidiocesi di Napoli (www.chiesadinapoli.it) invece le parrocchie hanno un’area a loro dedicata in cui comunicare gli orari delle Messe, gli incontri delle varie pastorali, le date dei pellegrinaggi e dei ritiri spirituali.
«Parrocchie Map» permette inoltre di cercare la parrocchia più vicina alla propria abitazione.
Il portale ha infatti lo scopo di collegare in rete il tessuto di parrocchie e realtà ecclesiali della diocesi partenopea.
Una sfida accolta.
Un impegno, quello di essere presenti su internet, che mette in evidenza come la Chiesa abbia accettato dal Concilio Vaticano II, con la pubblicazione del decreto Inter Mirifica, le sfida provenienti dai mezzi di comunicazione e in seguito anche dei nuovi media.
«Non basta usarli per diffondere il messaggio cristiano, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa nuova cultura creata dalla comunicazione moderna» scriveva nella Redemptoris missio Giovanni Paolo II.
Nel ’99 il convegno promosso dalla Cei ad Assisi, «Chiesa in rete.
Nuove tecnologie e pastorale», testimoniava un interesse per le nuove tecnologie applicate alla comunicazione e alla trasmissione del Vangelo.
A Milano, nel 2002, l’Università Cattolica prese spunto dalla 36esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che aveva come tema Internet: un nuovo forum per proclamare il Vangelo, puntando ad accendere i riflettori sul fenomeno internet come un nuovo forum, nel senso attribuito a questo termine nell’antica Roma, cioè di uno spazio pubblico dove si conducevano politica e affari, dove si adempivano i doveri religiosi, dove si svolgeva gran parte della vita sociale della città e dove la natura umana si mostrava al suo meglio e al suo peggio.
Il 22 febbraio 2002 il Pontificio consiglio per le comunicazioni sociali pubblica La Chiesa e internet e Etica in internet.
Due documenti utili per orientarsi nel mare del web, così come il Direttorio sulle comunicazioni sociali della Cei.
Infatti, per quanto potenti ed affascinanti possano essere questi nuovi strumenti occorre comprendere che restano in mano all’uomo e alla sua responsabilità.
Allora anche internet diventa terreno di scontro tra bene e male, dibattito tra entusiasti e critici, tra verità e menzogna, spazio di dialogo, di contatto, di relazioni umane, di incontro tra culture, ma anche strumento di frodi e di abusi.
Per questo risulta interessante e c’è attesa per il messaggio di Benedetto XVI in occasione della 43esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2009, sul tema «Nuove tecnologie, nuove relazioni.
Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia».
Tema su cui riflettere anche per via dell’espansione dei social network, ossia di quelle «reti sociali» che hanno traghettato il web in una nuova fase: il web 2.0.
«In che modo è possibile avere in Rete una fisionomia riconoscibile senza per questo assumere linguaggi scontati o peggio indecifrabili?».
A porsi questa domanda è il direttore dell’Ufficio Nazionale delle Comunicazioni Sociali e portavoce della Cei, don Domenico Pompili, che ha aperto oggi a Roma il convegno nazionale “Chiesa in rete 2.0” promosso insieme al Servizio Informatico della Chiesa Italiana.
«Non vi è dubbio – rileva Pompili – che è cresciuto il rapporto con la Rete, ma la domanda resta: come dobbiamo essere noi stessi, fino in fondo, senza per questo assumere uno stile linguistico desueto, quando non tautologico, cioè ripetitivo?».
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