Il radicamento biblico (Rm 7,7-25) La spiritualità di Paolo è di tipo giudaico: essa era radicata nel monoteismo del popolo eletto e la scelta di evangelizzare i popoli pagani dovette in parte mettere in crisi le sue iniziali convinzioni, senza peraltro mai rinnegare il proprio legame con il Dio biblico.
Con fierezza Paolo ci ricorda che lui è “circonciso l’ottavo giorno, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei” (Fil 3,5), ciò vuol dire un giudeo di pura stirpe, accreditato dalla tradizione.
Certamente egli ha la coscienza di appartenere, ormai, al “resto” di Israele (Rm 11,1-5) cioè a quella parte del popolo eletto che riconosce in Gesù il proprio Messia.
Anche quando, nelle sue lettere, si rivolge ai non-ebrei, Paolo continua però a citare l’Antico Testamento e a pregare servendosi di parole imbevute di Sacra Scrittura.
Infatti, se è vero che tutte le nazioni sono ormai chiamate alla salvezza attraverso la fede in Cristo, tuttavia Dio non ha respinto il suo Popolo, il Popolo di Israele che possiede valori religiosi che sono, per Paolo, sempre vivi (Rm 3,2; 9,4-5).
La forza spirituale che attraversa la Prima Alleanza si trova così nel profondo della vita di Paolo.
Nel brano che segue presentiamo un esempio del radicamento biblico di Paolo: nel capitolo 7 della Lettera ai Romani egli afferma che la Legge di Mosè è in sé buona e santa perché ha fatto conoscere all’uomo la volontà di Dio, ma senza comunicargli la forza interiore per adempierla; in questo modo la Legge è riuscita a far prendere all’uomo coscienza del peccato e del bisogno che ha dell’aiuto di Dio (la Grazia).
Paolo presenta in questo brano, fondamentale per la comprensione della morale paolina, il conflitto che egli vive, a causa del peccato, tra ciò che vorrebbe fare e ciò che invece fa.
7 Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare.
8 Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri.
Senza la legge infatti il peccato è morto 9 e io un tempo vivevo senza la legge.
Ma, sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso vita 10 e io sono morto; la legge, che doveva servire per la vita, è divenuta per me motivo di morte.
11 Il peccato infatti, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte.
12 Così la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento.
13 Ciò che è bene è allora diventato morte per me? No davvero! È invece il peccato: esso per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento.
14 Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato.
15 Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto.
16 Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; 17 quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
18 Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c`è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; 19 infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.
20 Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
21 Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me.
22 Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, 23 ma nelle mie membra vedo un`altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra.
24 Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? 25 Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.” La spiritualià trinitaria: il Padre (Rm 8,11-18) Al centro del pensiero paolino si pone un’esperienza di Dio che è in discontinuità ma anche in continuità con quella del popolo ebraico.
Si tratta, infatti, certamente, dello stesso Dio di Israele che, nella preghiera di Paolo è messo al centro come “Padre”.
Ma il pensiero rivolto al Padre passa ora attraverso la mediazione del Figlio (Gesù) e attraverso la potenza dello Spirito Santo.
Tale spiritualità paolina, che verrà chiamata più tardi “trinitaria”, si esprime in diversi modi: sia attraverso la preghiera che utilizza la parola “Padre” in modo nuovo, alla luce cioè di Cristo e della forza dello Spirito (Gal 4,6; Rm 8,15); sia attraverso delle asserzioni potenti quali la seguente: “per noi c`è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui” (1 Cor 8,6).
Per Paolo il nome di Dio non si pronuncia più senza quello di Gesù.
L’immagine di Dio ne risulta profondamente trasformata, essendo il volto stesso di Dio svuotato della sua onnipotenza, simile a quello di un Padre segnato dalla croce del suo Figlio.
Da qui deriva quel pensiero dell’Apostolo per cui ogni reale debolezza, se vissuta in Cristo, conduce, tuttavia, alla scoperta di una nuova e maggiore forza: “Quando sono debole è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).
Nel brano seguente, tratto dalla Lettera ai Romani, Paolo mette la resurrezione dei cristiani in stretta dipendenza da quella di Cristo.
Attraverso la potenza dello stesso Spirito Santo, il Padre resusciterà anche loro.
11 E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
12 Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; 13 poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l`aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete.
14 Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio.
15 E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”.
16 Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio.
17 E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
18 Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi.
Il rilievo della figura di san Paolo per la comprensione del cristianesimo delle origini e del suo successivo sviluppo teologico e dottrinario è in questi mesi ancor più esaltato dalla proclamazione dell’anno paolino che, indetto per la celebrazione del bimillenario della sua nascita, è iniziato il 28 giugno 2008 e terminerà il 29 giugno 2009.
Nato a Tarso in Cilicia (Asia Minore) in seno all’ambiente giudaico di lingua greca, Paolo, secondo quanto racconta egli stesso nel Libro degli Atti degli Apostoli (22,7), cadde a terra sulla via di Damasco colpito dalla visione del Cristo resuscitato dai morti.
L’Apostolo delle genti percorse da allora i paesi del Mediterraneo, da Antiochia di Siria fino in Asia minore e in Grecia, prima di essere arrestato a Gerusalemme ed essere mandato a Roma per esservi giudicato.
Secondo un’antica tradizione fu martirizzato a Roma, tra il 66 e il 67 della nostra èra.
Negli anni 50 scrisse sette lettere di suo pugno (o con l’ausilio di un segretario): la Prima Lettera ai Tessalonicesi, le due Lettere ai Corinzi, quella ai Galati, ai Filippesi, ai Romani e a Filemone.
Queste lettere tratteggiano un personaggio dal temperamento appassionato, rigoroso e nello stesso tempo pieno di tenerezza, realista e con alcune intuizioni teologiche straordinarie.
Il Vangelo, cioè la Buona Novella della salvezza, viene da lui predicato non solo al mondo ebraico ma a tutti, anche a coloro provenienti dal mondo pagano.
La spiritualità di Paolo affonda le sue radici in questa missione apostolica e si rafforza durante le prove che agitarono le prime comunità cristiane, sia quelle provenienti dal mondo giudaico, sia quelle provenienti dal mondo pagano, a conferma che non fu facile per lui la scelta del terreno missionario verso cui operare.
In questo mese e nel prossimo introduciamo i punti fondamentali della spiritualità di S.
Paolo a partire dalle sue lettere ritenute autentiche.
1.
Leggi le introduzioni alla Lettera ai Romani e ai Galati sulla Bibbia di Gerusalemme.
Che cosa differenzia queste lettere da quelle ai Corinzi? 2.
Visita il sito internet www.annopaolino.org, con particolare attenzione alle pagine relative alla catechesi di Benedetto XVI su S.
Paolo.
3.
Ricerca un profilo della vita del Santo con particolare attenzione alla sua attività missionaria.
Per ulteriori approfondimenti, è possibile consultare, nella sezione Percorsi nell’arte, Efeso, a cura di Enrico Badellino.
L’esperienza dell’incontro con Gesù Cristo (Fil 3,1-16) L’evento di Damasco ha sconvolto la vita di Paolo, non perché lo ha “convertito” a parlare di Dio (egli già confessava una fede monoteista), ma perché lo ha fatto incontrare con Gesù, crocifisso eppure vivente.
È questo che conduce Paolo a vivere, da quel momento, la sua spiritualità giudaica in modo del tutto differente.
Lui, il persecutore di ieri, riassume l’evento di Damasco in poche parole: “Colui [Dio] che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani… ” (Gal 1,15).
Pertanto l’Apostolo insiste fortemente su questo incontro fondamentale con Gesù che egli “ha visto” (1 Cor, 9,1).
D’altra parte, nella Lettera ai Corinzi, Paolo si pone nella lista dei primi testimoni ai quali Dio “si è lasciato vedere”, come Pietro e Giacomo (1 Cor 15, 5-8).
Egli si ricollega così all’esperienza dei primi credenti, testimoni di colui che “Dio ha resuscitato” (Gal 1,1).
Egli è stato conquistato da Gesù Cristo (Fil 3,12), e tutta la sua vita spirituale, il suo pensiero così come il suo comportamento, ne risulteranno radicalmente modificati.
Tutti i valori di ieri risultano come “rovesciati”: “tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù…” (Fil 3,8).
Ormai per Paolo si tratta di “conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (vv.
10-11).
L’itinerario spirituale di Paolo e di ogni cristiano con lui, procede da questo momento per imitazione del Cristo (Fil 2,6-11).
Il brano che qui presentiamo è tratto dalla Lettera ai Filippesi (3,1-14) e Paolo ci esprime quanto si è sentito rapito da Cristo: grazie a Lui la realtà materiale (la carne) assume una nuova dimensione, tutt’altro che di secondo piano, ma del tutto insignificante di fronte a Cristo che dà senso anche al mondo materiale.
1 Per il resto, fratelli miei, state lieti nel Signore.
A me non pesa e a voi è utile che vi scriva le stesse cose: 2 guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno circoncidere! 3 Siamo infatti noi i veri circoncisi, noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù, senza avere fiducia nella carne, 4 sebbene io possa confidare anche nella carne.
Se alcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui: 5 circonciso l`ottavo giorno, della stirpe d`Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, fariseo quanto alla legge; 6 quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall`osservanza della legge.
7 Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l`ho considerato una perdita a motivo di Cristo.
8 Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo 9 e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede.
10 E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, 11 con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti.
12 Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch`io sono stato conquistato da Gesù Cristo.
13 Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, 14 corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.
15 Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo.
16 Intanto, dal punto a cui siamo arrivati continuiamo ad avanzare sulla stessa linea.
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