Cambia l’oratorio: sempre meno preti, più cinema e musica e tra i ragazzi è boom

Crescono le strutture e le presenze in tutta Italia. Perché aggregano (“C’è vita oltre la play-station”), sono economici, creativi e creano posti di lavoro. Come quelli dei giovani animatori che sostituiscono i religiosi.

ASSISI –  Sono orgogliose, Valentina e Federica. Assieme all’amico Cristian, quest’anno hanno inventato un nuovo gioco, il “Calcetto ramazzato”. “Si gioca col pallone ma invece dei piedi si usa una scopa. E abbiamo organizzato anche la Dama umana”. Arrivano da Cerfignano, in Puglia. Età compresa fra i 16 ed i 18 anni. “Nel nostro paese di 1.600 abitanti alla festa organizzata dall’oratorio hanno partecipato quasi in mille, fra piccoli, ragazzi e ragazze e adulti. Insomma, c’erano tutti. 

E pensare che fino a cinque anni fa, quando non c’era l’oratorio, l’estate era solo una pausa vuota fra la fine delle scuole e l’inizio del nuovo anno fra i banchi”. “L’oratorio – dice il parroco, don Pasquale Fracasso – è diventato il cuore e il motore della parrocchia e non solo. Ci vengono anche le nonne, a preparare i pasti dei bambini. Da noi, se non ti inventi qualcosa, d’estate puoi solo guardare i turisti che vanno verso il mare”. 
Strano mondo, quello degli oratori. Ci trovi ragazzi come Simone, 16 anni, di Tor Bella Monaca a Roma, che ti spiega come “un giovane non può vivere solo di play-station. Anch’io ci giocavo, da piccolo. Ma poi all’oratorio scopri che il mondo vero è più bello e soprattutto più vivo. Ci trovi amici in carne e ossa, e se giochi a calcio o pallavolo non usi solo i pollici. Io ci sono quasi nato, in un oratorio: sono un utente e poi operatore di terza generazione. Mi diverto, soprattutto, ma mi sento anche utile. In un quartiere difficile come il nostro, c’è bisogno di molte mani, per cambiare le cose”. 
Non sono casi isolati, Simone e gli altri. Quest’anno i bambini e ragazzi accolti nel Grest (Gruppo estivo) e negli altri oratori sono stati 2 milioni, mezzo milione in più rispetto a due anni fa. Settemila le strutture aperte, 300mila gli animatori. Millecinquecento di loro sono ad Assisi, per il secondo happening nazionale, a discutere di “LabOratori di comunità”. Molte cose sono cambiate, in questi ultimi anni. E non è finita. 
“Sembra quand’ero all’oratorio, con tanto sole, tanti anni fa… Ora mi annoio più di allora, nemmeno un prete per chiacchierar”. Le parole di “Azzurro” in fondo erano una profezia. “Abbiamo sempre avuto – dice infatti don Marco Mori, presidente del Forum degli oratori – i sacerdoti come responsabili. È forse l’ora di decidere che ci siano anche i laici a fare questa cosa. Ci vogliono figure preparate e responsabili, in grado di portare avanti questa storia che è ancora da scrivere”. 
In alcune realtà l’oratorio senza prete è già una realtà. “A Milano, secondo la tradizione – racconta don Samuele Marelli – i sacerdoti giovani non solo seguivano l’oratorio, ma ci abitavano anche. Dopo il Concilio è nata una corresponsabilità fra laici e presbiteri. Ora una fondazione cura la formazione dei “direttori laici di oratorio”, che hanno un contratto full time, con stipendi da 1.100, 1.200 euro al mese per 38 ore di lavoro”. 
Mille gli oratori nella diocesi milanese aperti tutto l’anno, 150 a Roma quelli organizzati almeno d’estate. Nella gran parte del Paese a guidare i ragazzi è però ancora il sacerdote, che non indossa più la talare – doveva tirarla su per tirare due calci al pallone o fare l’arbitro – ma resta guida e responsabile di ogni attività. 
“La sua presenza non è più necessaria – dice don Marco Mori – perché l’oratorio è cambiato. Un tempo si pensava che l’educazione dovesse arrivare dall’alto e il sacerdote era il fulcro di tutto. Ora vogliamo invece che gli stessi ragazzi diventino protagonisti, diventando operatori già a 14 o 15 anni. Il segreto del boom dell’oratorio? È diventato simpatico, fruibile, vicino ai ragazzi che vengono volentieri perché non “usano” un servizio già preparato ma sono chiamati a inventarlo. “Ci interessa il teatro” e allora lo facciamo assieme. Così per lo sport, i giochi, la musica, il cinema… Tutto questo alla luce del sole. Gli oratori sono nel centro dei paesi, le famiglie conoscono programmi e progetti. Certo, nella nostra crescita ha pesato anche la crisi economica. In estate se vai a un centro sportivo ti chiedono 250, 300 euro alla settimana, l’oratorio in media costa 30 euro, quaranta se è previsto anche il pasto”. 
Per i baby operatori si fanno incontri di formazione. Per i direttori senza tonaca c’è anche un corso di perfezionamento all’università di Perugia, dedicato a “Progettazione, gestione e coordinamento dell’oratorio”. Un anno di studio, riservato ai già laureati. “Tutto cambia”, dice Marco Moschini, docente di filosofia teoretica e direttore del corso. “Per insegnare alle elementari un tempo bastavano quattro anni di Magistrali e adesso serve una laurea quinquennale. Se lo guardi da fuori, l’oratorio sembra avere una gerarchia, con il responsabile, gli animatori e sotto ancora i bambini ed i ragazzi. È invece un solo universo, un unico progetto, che deve rapportarsi con esigenze sociali, ecclesiali e territoriali. È un presidio educativo e ha bisogno di figure specializzate. Accoglie gli individui e forma una comunità. Per questo è necessaria una progettazione didattica e serve anche una pedagogia dell’inclusione”. 
Il corso è iniziato due anni fa, 50 iscritti in media. “Quest’anno abbiamo anche 3 frati e 4 sacerdoti, ovviamente già laureati. Loro sono venuti per fare meglio un lavoro già sicuro, ma anche altri giovani hanno trovato un mestiere e anche uno stipendio”. Andrà avanti fino a domenica, l’happening. Canzoni, cori, preghiere, incontri con vescovi e cardinali, caccia alle idee da portare a casa. A salire per primi sul palco del grande teatro Lyrick sono stati i Big, Brother in God, fratelli in Dio. 
Cena con due panini e una pesca. Meglio l’oratorio, in cucina resistono ancora le nonne.
 
 
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Fino a poco tempo fa le freddure sarcastiche non gradite venivano liquidate come gag da oratorio: come se quei centri d’accoglienza diocesani rappresentessaro il prototipo negativo tout court: quante volte, allo stesso Renzi, sono state rimproverate «battute da oratorio»? Oggi, invece, con una realtà scolastica sempre meno aggregante. Nella solitudine dell’auto-reclusione internetica. In era da abbrutimento da playstation e di tramonto della comitiva del muretto, la dimensione aggregante dell’oratorio conquista sempre maggiore terreno sociale. Tanto che, dati alla mano, quelle strutture fondate nel XVI secolo a Roma da San Filippo Neri, che raccontano un capitolo importante della storia della Chiesa, risultano declinate sempre più efficacemente alla realtà metropolitana, e non come luoghi di proselitismo, ma centri comunitari il cui motore immobile è l’accoglienza. E allora, dalle grandi città alle piccole realtà di più piccole zone di frontiera, ad oggi gli oratori risultano i luoghi d’incontro più frequentati e richiesti, oltre che diffusi e innestati a vari livelli sul territorio, con stime davvero soddisfacenti: si calcola che siano circa settemila gli istituti capaci di coinvolgere nelle loro poliedriche attività due milioni di ragazzi e bambini dai sei anni all’adolescenza, gestiti da circa trecentomila operatori volontari, sempre più spesso coordinati da figure laiche: in molti casi, infatti, l’oratorio senza sacerdote è una realtà assodata e praticata.

È una parte significativa del futuro del Paese, dunque, quella che si raduna negli oratori. Oratori che, dalla Locride alla Lombardia, da Scampia all’Umbria, passando ovviamente per la capitale e dintorni, puntano su formule di socializzazione capaci di mescolare alchemicamente tradizione e globalizzazione, fino alle evoluzioni laboratoriali di ultima generazione che molto sconfinano nella formazione studentesca e parauniversitaria. Non solo calcetto e catechesi, insomma: ma una dimensione multiforme sempre più al passo coi tempi e sempre più radicata nel contesto urbano, chamata ad ovviare alle carenze di un welfare anacronisticamente lontano dalle esigenze civiche quotidiane e sordo alle nuove necessità giovanili. Un presente, allora, quello dell’oratorio, vissuto come comunità sociale prima ancora che squisitamente ecclesiale, che racconta una nuova storia – culturale, assistenziale ed associativa – tutta da scrivere.

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