La rivoluzione comunicativa di papa Bergoglio
“Caro Papa, ti scrivo”. Da ogni angolo del pianeta arrivano in Vaticano duemila lettere al giorno. Come i messaggi in bottiglia dei naufraghi, le buste indirizzate a Francesco seguono percorsi avventurosi.
«Le vie del Signore sono infinite e poi si sa: tutte le strade portano a Roma», scherzano al servizio postale vaticano. Spesso mancano città, indirizzo o affrancatura. Oppure a recapitarle è direttamente chi le scrive. «Alcuni vengono qui da noi- spiega il vicedirettore della Sala Stampa, padre Ciro Benedettini-. Negli ultimi sei mesi la quantità di corrispondenza destinata al Pontefice è continuamente aumentata. A scrivere è ogni tipologia di persona: giovani e anziani, intellettuali e operai. C’è una forte crescita rispetto ai precedenti pontificati, la gente avverte la vicinanza del Papa alle proprie sofferenze e si rivolge a lui non solo per chiedere aiuto materiale nelle difficoltà provocate dalla crisi economica, ma soprattutto un conforto morale per andare avanti. Quasi tutti aggiungono il numero di telefono nella speranza di una chiamata».
Talvolta sono semplici biglietti augurali per ricorrenze personali o feste religiose. «È il risultato di un’attesa reale: prima della fumata bianca – dice lo storico del cristianesimo Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano – a San Pietro stava in ginocchio ogni giorno un uomo scalzo che esibiva un cartello con scritto “Francesco” e che è poi scomparso. Nel medioevo era diffuso il desiderio di un “Papa angelicus”, oggi cresce la ricerca di paternità e di accoglienza misericordiosa. Magari anche solo ‘un prete per chiacchierare’, come canta Celentano. E da sacerdote autentico Bergoglio ascolta e offre direzione spirituale. Un altro sintomo di questo bisogno è che arrivano pacchi di lettere anche a Benedetto XVI». In molti casi le speranze del mittente non restano deluse. Emblematica è la risposta di Francesco resa nota dalla madre di Gustavo Cerati, musicista rock argentino in coma da tre anni per un ictus cerebrale:
«L’assuefazione ci fa archiviare la vita ma la vita prosegue, scompare e torna ad apparire». Dalla Sardegna gli scrive Fortunato Ladu: «Dopo 2000 anni noi pastori aspettiamo il pagamento di quella cambiale che ci firmò l’Angelo di Dio. Difficile mestiere, non come quello di pastore di anime, ma impegnativo. Non servono soldi, ma il riconoscimento del nostro lavoro».
Cento e 20 lavoratori del distretto ceramico di Civita Castellana hanno messo nero su bianco il loro grido d’allarme: «Le chiediamo di tenderci la mano in un modo semplice, parli di noi, in modo che tutti sappiano e si possano adoperare in maniera fattiva a non farci licenziare». Marco Zanframundo, operaio reparto Mof dell’Ilva: «Io e i miei compagni ci sentiamo sconfitti in una guerra che non farà storia perché è già segnata dal silenzio assordante di chi può e deve intervenire per scongiurare anche il pericolo di gesti estremi dettati dalla disperazione».
Gli hanno rivolto un appello anche gli abitanti sgomberati ad agosto dall’ex scuola Belvedere a Napoli, di proprietà di una congregazione di suore. Messaggi tra cielo e terra.
GIACOMO GALEAZZI
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