Vi riporto un mio articolo apparso su Settimana (20 gennaio 2013,p.11) sulle prospettive della catechesi in Italia.
Il 10 e 11 gennaio si è svolto a Roma il secondo seminario per la verifica ed il rinnovamento della catechesi, “Verso orientamenti condivisi”, promosso dalla Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi. Il seminario fa parte di un itinerario molto articolato che, come ha ricordato Mons Paolo Sartor, prevede di “elaborare (2011-12), presentare al Consiglio permanente ed eventualmente all’Assemblea CEI (2013) e successivamente accompagnare per la recezione (2014-15) un Documento che possa ridefinire il rinnovamento della Catechesi in Italia, recependo il Documento base, in riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica, e tenendo conto della sensibilità cresciuta intorno alle sperimentazioni, al primo annuncio, ed alla mistagogia”. Il seminario cui hanno partecipato diversi vescovi, direttori di Ucd, esperti di catechetica, teologia e comunicazione, si è sviluppato attorno a quattro momenti: un relazione di carattere teologico affidato a Mons. Valentino Bulgarelli, catecheta e direttore UCD Bologna, la sintesi dei lavori e degli incontri svoltisi negli ultimi mesi attorno ad una proposta di indice del documento condiviso affidata a Mons. Paolo Sartor, responsabile settore catecumenato dell’UCN, una sessione di lavori di gruppo ed infine una tavola rotonda su “Tre prospettive di contenuto in vista degli Orientamenti: comunità missionaria, formazione e iniziazione”.
Nel suo intervento, Bulgarelli ha ricostruito l’evoluzione degli ultimi quindici. Uno degli snodi centrali di questo lungo processo è il rapporto tra fede e vita “che trova la sua sintesi nell’espressione, presente in tutti i testi di catechismo, «per la vita cristiana»; intesa come integrazione tra fede e vita, criterio di lettura e di valutazione dell’intera vita dell’essere umano”. È questo uno degli assi portanti del processo in corso, infatti, prosegue Bulgarelli, “Nel cammino di questi quindici anni, si intravede come il passaggio in atto, che nei diversi documenti è sostenuto, si possa rendere sinteticamente in questi termini: dalla catechesi antropologica o esperienziale così come è stata elaborata negli anni Settanta, a una catechesi in grado di offrire una proposta di primo annuncio evangelico, per iniziare, nello spirito del catecumenato, alla vita cristiana, generando un umano che abitato dal divino sia nuovo nella forma e nella sostanza”.
L’ampia riflessione di Bulgarelli si è sviluppata poi attorno a tre temi che sintetizzano a suo giudizio il cammino percorso, una sorta di tre fili rossi, che “intrecciandosi creano un tessuto gradevole e armonioso”: in primo luogo il dinamismo tra l’annuncio che deve portare alla conversione, descritta nei termini della proposta formulata dal teologo gesuita Bernard Lonergan come conversione religiosa, morale, intellettuale e mistica, per poi sfociare nella professione di fede. Ciò implica riscoprire la centralità dell’atto di fede come riposta ad un’epoca che ha messo in questione radicalmente la possibilità dell’incontro con Dio.
Infine, il terzo filo, sull’esempio del brano evangelico del buon samaritano, è dato dalla testimonianza, che vuol dire, primariamente, attenzione nei confronti di tutto ciò che riguarda l’uomo, dalle sue fragilità, come ha ricordato autorevolmente il Convegno ecclesiale di Verona, alle sue potenzialità. Si tratta, in definitiva, di tornare ad una “pastorale di proposta” e non solo di conservazione come ebbe a dire Stijn Van Den Bossche, direttore dell’UCN del Belgio.
Nella sua relazione sui contributi che in questi mesi sono stati prodotti, Paolo Sartorha utilizzato la metafora della casa come immagine di quello che potrebbe essere la catechesi del futuro e le cui ‘stanze’ potrebbero diventare un’ipotesi di indice del nuovo documento. Una casa prima di tutto ospitale, in cui si dia grande attenzione al nostro interlocutore, cominciando prima di tutto dall’assumere nei suoi confronti un linguaggio comprensibile. Non a caso, tra le prime stanze troviamo proprio l’annuncio. Un’altra è certamente dedicata al soggetto della catechesi, la chiesa intesa come la comunità nell’armonia delle sue varie componenti, che genera, mediante l’iniziazione, alla vita nuova del vangelo. Quindi il ruolo e la definizione più precisa dell’identità e della missione del catechista.
Questi temi sono stati poi ampiamente dibattuti nei lavori di gruppo, assieme alla proposta avanzata dal direttore dell’UCN, Don Guido Benzi di affiancare alla stesura del nuovo documento un glossario che aiuti a chiarire i termini in questione,come, ad esempio, nuova evangelizzazione o primo annuncio, spesso usati in accezioni equivoche.
Dal ricco dibattito sono emerse alcune sottolineature comuni, come la necessità di accettare ormai convintamente quella che don Cesare Bissoli ha definito la “rivoluzione copernicana della catechesi”: il ricentrare le attività di formazione e annuncio sempre più sull’adulto rispetto al bambino.
Nella tavola rotonda finale, sono stati poi approfonditi alcuni contenuti della catechesi, aggrediti da diverse angolazioni.
Chiara Giaccardi, docente di sociologia della comunicazione alla Cattolica di Milano, ha aiutato a cogliere le caratteristiche dei nostri contemporanei, in particolare i giovani, i cosiddetti nativi digitali. Solo capendo le trasformazioni culturali in atto, si potrà infatti disegnare un progetto catechetico adeguato. “Non è più questione di dar forma a qualcosa che c’è, – ha affermato la Giaccardi – ma di risvegliare qualcosa che si è assopito, che è stato ricoperto da altro, o che non è mai stato trasmesso”.
Il concetto di realtà si è ampliato, come ci stanno insegnando le potenzialità comunicative dei social network. Per questo, non si può più parlare di opposizione tra reale e virtuale, ma di diverse dimensioni del reale che include anche il mondo digitale.Educare quindi oggi vuol dire ripensare la propria formazione e il proprio modo di comunicare alla luce delle provocazioni che vengono dalle trasformazioni in atto.
Fondamentale è anche il dare continuità alle iniziative educative intraprese, perché noi viviamo in un’epoca che celebra gli inizi (Marc Augè) ma poi non dà continuità, così come occorre far passare il concetto della irreversibilità delle soglie di passaggio. Ci sono, nella crescita, delle trasformazioni che sono definitive: non si può tornare a fare gli adolescenti nella terza età, come invece occhieggia la moda e il sentire contemporanei.
Il tema della formazione è stato poi declinato anche da Don Pio Zuppa, cateheta e pastoralista della facoltà teologica pugliese, che alla luce degli esiti più recenti della pedagogia, ha parlato della necessità di considerare l’apprendimento non più come un’attività prevalentemente noetica, mentale, scolastica, bensì come un fatto che accade in un contesto socio-relazionale: non si apprende da soli. La comunità ecclesiale è invitata a ripensare l’azione pastorale, abbandonando il modello che impone prima il chiarimento di tutti gli elementi teorici e poi il passaggio all’azione, per affidarsi ad uno diverso, incentrato sul criterio della riflessività che mira ad imparare agendo, non delegando il momento della riflessione fuori dall’azione concreta.
Anche i luoghi classici della formazione come i seminari devono ridiventare “comunità di pratiche”, nella logica delle antiche botteghe artigianali in cui il sapere si impara sul campo, affiancandosi ai maestri depositari di esperienze vive.
La prof.ssa Maria Teresa Stimaviglio, formatrice di catechisti di Padova, riflettendo sulla sua esperienza ha ricordato l’importanza delle relazioni interpersonali perché “è dalla vita che possiamo imparare” in quanto ciò che viviamo ci forma e ci trasforma soprattutto per la vita di fede.
Decisivo è il tema della narrazione: mettere in collegamento la propria autobiografia con le narrazioni che la Scrittura ci presenta, perché più si entra nelle Scritture più si chiarifica anche la propria esistenza. Per questo, come ha ricordato l’ultimo partecipante alla tavola rotonda, il parroco cremonese don G. Nevi, è importante valorizzare l’ascolto dell’altro senza giudicarlo.
Nel chiudere la sessione, il vescovo di Como, mons Diego Coletti ha riassunto efficacemente i lavori della due giorni dicendo che si è visto in essi all’opera quella bella definizione di chiesa intesa come “la pedagogia di Dio in azione” data dal suo confratello Mons Marcello Semeraro.