Nella Lumen fidei insomma, c’è «molto di Benedetto XVI ma c’è tutto di papa Francesco, che ha assunto il testo nel suo ruolo di primo testimone della fede», ha osservato a sua volta il prefetto della Congregazione per i vescovi, il cardinale Marc Ouellet. Per questo, ha spiegato, il testo è dunque «da considerarsi tutto di papa Francesco». Del resto, ha chiosato ancora Müller, «non abbiamo due papi ma uno solo. Da Benedetto c’è stata solo una preparazione». E, a ribadire tale concetto, il prefetto del Dicastero dottrinale della Santa Sede ha sottolineato come «nelle meditazioni che offre quotidianamente attraverso la sua predicazione, Francesco spesso ci richiama che “tutto è grazia”. Tale affermazione che, di fronte alla complessità e alle contraddizioni della vita, può sembrare a qualcuno ingenua o astratta, è invece un invito a riconoscere la positività ultima della realtà». Con tutto questo, ha concluso Müller, «l’enciclica vuole riaffermare in modo nuovo che la fede in Gesù Cristo “è un bene per l’uomo ed è un bene per tutti, è un bene comune: la sua luce non illumina solo l’interno della Chiesa, né serve unicamente a costruire una città eterna nell’aldilà; essa ci aiuta ad edificare le nostre società, in modo che camminiamo verso un futuro di speranza”».
La luce, ha quindi messo in evidenza monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, «è una categoria determinante per la fede e per la vita della Chiesa. Essa ritorna con particolare efficacia in un momento come questo, spesso di forte travaglio, dovuto a una crisi di fede che per i problemi che comporta ha pochi precedenti nella nostra storia». In questo senso, ha aggiunto il presule, la Lumen fidei, «è un’enciclica con una forte connotazione pastorale. Queste pagine saranno molto utili nell’impegno che toccherà le nostre comunità per dare continuità al grande lavoro intrapreso con l’Anno della fede». Papa Francesco, ha proseguito, «con la sua sensibilità di pastore, riesce a tradurre molte questioni di carattere prettamente teologico in tematiche che possono aiutare la riflessione e la catechesi». Per questo «è importante cogliere l’invito che giunge a conclusione dell’enciclica: “Non facciamoci rubare la speranza”». Un invito che il Papa «ha ripetuto più volte in questi mesi, soprattutto rivolgendosi ai giovani e ai ragazzi», e che oggi «scrivendolo nella sua prima enciclica vuole indicare che nessuno dovrebbe avere paura di guardare ai grandi ideali e di perseguirli. La fede e l’amore sono i primi a dover essere proposti», e «in un periodo di debolezza culturale come il nostro un simile invito è una provocazione e una sfida che non possono trovarci indifferenti».
«È utile sapere – ha concluso Fisichella – che in prospettiva dell’Anno della fede si era chiesto ripetutamente a Benedetto XVI di scrivere un’enciclica che venisse in qualche modo a concludere la triade che egli aveva iniziato conDeus caritas est sull’amore, e <+corsivo>Spe salvi<+tondo> sulla speranza. Il Papa non era convinto di dover sottoporsi a questa ulteriore fatica. L’insistenza, tuttavia, ebbe la meglio e papa Benedetto decise che l’avrebbe scritta per offrirla a conclusione dell’Anno della fede. La storia ha voluto diversamente. Questa enciclica ci viene offerta oggi da papa Francesco con forte convinzione e come “programma” su come continuare a vivere questa esperienza che ha visto tutta la Chiesa impegnata per un anno intero in tante esperienze fortemente significative».