«Un cristiano sul trono di Pietro». Così Hannah Arendt, per parlare di papa Giovanni, inventò per il New Yorker uno di quei titoli così taglienti ma altrettanto immediati e indimenticabili. Non per denigrare “gli altri” che sono saliti sul soglio di Pietro ma perché i vari titoli che si applicavano al papa finivano per lasciare l’essere cristiano in fondo o fuori dalla lista delle qualità papali.
Mai avremmo immaginato che ci sarebbe stato concesso di nuovo di vedere «un cristiano sul trono di Pietro» e con nome impegnativo di Francesco. Dopo la gioia dell’ Habemus papam, l’emozione delle sue prime parole e dei suoi primi gesti che profumano di vangelo, sono andato a ricercare qualche notizia in più sulla sua vita e il suo ministero di padre gesuita e di vescovo.
Quello che mi ha colpito più di tutto è stato il suo motto: Miserando atque Eligendo, tradotto alla lettera sarebbe “guardò con misericordia e lo scelse”. E possiamo dire che i cardinali (che nelle sue prime parole ha chiamato “fratelli” e non “signori”) l’hanno preso in parola!
Queste due parole sono in realtà prese di peso dall’ Omelia 21 di Beda il Venerabile, proposta dalla liturgia per l’ufficio delle letture della festa dell’apostolo Matteo, il pubblicano pentito, l’apostolo che prima era esattore delle tasse.
Vidit ergo Iesus publicanum, et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi, Sequere me. Sequere autem dixit imitare. Sequere dixit non tam incessu pedum, quam executione morum.
Così scrive dunque, in traduzione italiana, Beda a commento del brano del Vangelo di Matteo:
Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi» (Mt 9, 9). Vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: «Seguimi». Gli disse «Seguimi», cioè imitami. Seguimi, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita. Infatti «chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato» (1Gv 2,6).
«Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori!» (Matteo 9,13). Il peccatore è chiamato a seguire il Signore perché gli ha rimesso il peccato e l’ha accolto. Dio non è legge, ma amore; non è sanzione e punizione, ma perdono e “medicina di misericordia”.
Il peccato non esclude dal Regno. Rappresenta anzi un “privilegio” in due sensi: Dio ama di più il peccatore, perché ha più bisogno, e anche il peccatore lo amerà di più, perché ha ricevuto maggiore amore (Luca 7,36-50). Il peccatore, più è lontano, più ha diritto di misericordia e maggiori sono i doveri di Dio nei suoi confronti. Inoltre il suo peccato non gli impedisce l’esperienza di Dio: anzi, proprio in esso lo chiama per il suo vero nome, che è Gesù, Dio-salva (Matteo 1,21).
Fedele al suo motto episcopale, la prima giornata di Papa Francesco è iniziata nel segno della misericordia. Infatti così si è rivolto ai penitenzieri della Basilica di Santa Maria maggiore: «Voi siete i confessori – ha aggiunto il Papa – quindi siate misericordiosi verso le anime. Ne hanno bisogno». Ecco Papa Francesco. Il nome che porta è una responsabilità grande, una duplice eredità porta questo nome: la semplicità e la radicalità evangelica di Francesco d’Assisi e l’arditezza missionaria di Francesco Saverio (il compagno missionario di Ignazio di Loyola). Davvero grande è la speranza che si apre con questo pontificato.
Agostino Greco