Alla marcia porterà una testimonianza su don Tonino Bello. Qual era il suo messaggio per la pace?
“Ricordo la marcia di Pax Christi fatta a Sarajevo, voluta da don Tonino, durante la guerra in Jugoslavia. Andammo lì innanzitutto per dire a quelle popolazioni martoriate che c’era qualcuno che pensava a loro, poi per richiamare la responsabilità dell’Italia e dell’Europa; in terzo luogo per riaffermare che anche in una siffatta situazione l’unico cammino vero per la giustizia e la pace era quello della nonviolenza attiva. Ecco, questo era il messaggio centrale per il vescovo di Molfetta, già presente nella ‘Pacem in terris’ di Giovanni XXIII. Ritenere che la guerra porti alla giustizia, secondo l’enciclica, è fuori dalla ragione; in più il cristiano deve sentire la nonviolenza contro qualunque forma di guerra come una conseguenza della propria adesione al Vangelo e impegnarsi in tal senso. Tonino Bello ha accolto questo messaggio fino alla morte: raccogliendo l’impegno di Giovanni Paolo II contro la prima guerra del Golfo si è attirato critiche forti, tanto da causargli un’ulcera allo stomaco dalla quale è poi venuto il tumore. È stato quindi un vero martire della nonviolenza”.
Cosa significa nonviolenza attiva?
“Organizzare quanto si può per raggiungere una soluzione pacifica, trovando tutti i mezzi possibili senza aspettare che arrivi il momento in cui solo le armi siano in grado d’intervenire, com’è invece recentemente avvenuto per la Libia. Tanto più che la guerra non fa prevalere chi ha più ragione, ma chi ha più forza…”.
Questi ultimi giorni dell’anno sono accompagnati dalla preoccupazione internazionale per la Siria…
“Bisogna moltiplicare le pressioni esterne, su un piano economico e civile, in modo che nel Paese cessino le violenze senza giungere a un intervento armato della comunità internazionale”.
Accanto alle guerre combattute, ci sono altre “guerre” contro la vita. Benedetto XVI, nel messaggio per Giornata mondiale della pace del prossimo 1° gennaio, pone come condizione essenziale il “rispetto per la vita umana” dal concepimento alla fine naturale. Come portare quest’impegno per la pace nella quotidianità?
“È giusto impegnarsi strenuamente per difendere la vita quando comincia e quando finisce, ma ricordiamoci che la difesa del concepimento e della fine naturale della vita è più forte ed efficace se accompagnata da una difesa della vita in tutto il suo svilupparsi”.
Vengono in mente, a questo proposito, gli appelli per un lavoro dignitoso, contro lo sfruttamento, come pure per il rispetto dei tempi dell’uomo, che prevedono lavoro ma anche festa. È, alla fine, anche questo un impegno per la pace?
“Certo, i giovani altrimenti che prospettiva hanno? Anche questa è difesa della vita, quando si dà ai giovani la possibilità di sperare, di avere condizioni di sicurezza sufficienti per costruire una famiglia…”.
E la Chiesa come può farsi prossima concretamente a queste situazioni?
“Dovrebbe essere la Chiesa dei poveri in tutte le sue dimensioni. La nuova evangelizzazione è tanto più efficace se viene fatta da una Chiesa che mostra come tra i suoi ideali non trovino spazio alcuno il denaro e il potere”.
A 50 anni dal Concilio qual è il messaggio che si sente di riprendere, sull’impegno per la pace, da quell’assise?
“Il principio che il Vaticano II riprende dalla ‘Pacem in terris’ è che la pace non è soltanto il tacere delle armi o l’equilibrio del terrore, ma frutto della giustizia e dell’amore. Alimentare una sincera ricerca della giustizia in tutte le sue forme significa andare contro il grande discrimine tra i pochi che si arricchiscono sempre di più e la maggioranza che impoverisce. Questa è la giustizia all’interno delle nazioni e nel mondo, che può preparare davvero una pace concreta”.