EPIFANIA DEL SIGNORE |
Lectio – Anno A
Prima lettura: Isaia 60,1-6
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.
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v La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, inizia una sezione di tre capitoli che celebra la gloria di Gerusalemme, riflesso della gloria del Signore, che brilla su di lei. Il profeta scrive questi capitoli all’epoca del ritorno degli ebrei dall’esilio di Babilonia, quando Gerusalemme è ancora un cumulo di macerie. Il ritorno però è un segno che il Signore non si è dimenticato del suo popolo e della sua città. Lo sguardo del profeta, che ha presente le grandi cose che Dio ha fatto per il suo popolo Israele, a cominciare dall’uscita dall’Egitto, dal dono della Tôrâ (Legge, insegnamento, guida) al Sinai, dalla prima entrata nella terra promessa, si spinge al di là della ricostruzione immediata di Gerusalemme e la vede trasfigurata dalla presenza del Signore.
A lei faranno ritorno tutti i suoi figli dispersi ed essa sarà raggiante, come una madre è felice quando può riabbracciare i suoi figli che sono stati lontani e provati da vicende dolorose.
A Gerusalemme, nella quale brilla la gloria di Dio, guarderanno non solo i suoi figli, ma tutte le genti: «Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (Is 60,3). Noi cristiani in particolare, che, come leggiamo nel brano della seconda lettura, siamo coeredi della promessa di Dio ad Abramo e al popolo di Israele, non possiamo dimenticare l’amore di Dio per la Gerusalemme terrestre, adducendo l’alibi che puntiamo il nostro sguardo sulla Gerusalemme celeste.
Il cammino che porterà tutti i popoli ad acclamare il Signore con una sola voce e a servirlo, non facendosi guerra, magari proprio sul modo con cui si serve il Signore, ma «appoggiandosi spalla a spalla» (cf. Sof 3,9) è faticoso e prima della risurrezione incontra la croce.
Seconda lettura: Efesini 3,2-3a.5-6
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
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v Nel brano della seconda lettura, tratto dalla lettera agli Efesini, Paolo predica con entusiasmo che per grazia di Dio gli è stato rivelato il mistero della salvezza. Questo mistero rivelato per mezzo dello Spirito Santo consiste nel fatto che i «gentili», vale a dire i pagani, coloro che non hanno ancora conosciuto Dio, sono chiamati in Gesù Cristo a «partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa». Di quale eredità e promessa si tratta? Con chi i pagani formano un solo corpo? Con Israele erede della promessa di Abramo. «Se poi siete di Cristo allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3.29), dice chiaramente Paolo nella lettera al Galati rivolto ai pagani convertiti.
«In te saranno benedette tutte le genti» (Gen 12,3) dice Dio ad Abramo dopo avergli promesso una discendenza numerosa e una terra. La scelta particolarissima di Abramo è in vista dell’universalità; attraverso Abramo la benedizione è per tutte le genti. Dio sceglie per sé una persona e un popolo, ma per rendergli segno e benedizione per tutta l’umanità. Con l’annuncio del vangelo di Gesù Cristo, dice Paolo entusiasta e pieno di gratitudine verso il Signore, la promessa di Dio ad Abramo sta rivelandosi in maniera più chiara.
Da notare l’insistenza di Paolo in questo brano della lettera agli Efesini sul fatto che non si tratta di un piano di Dio diverso da quello che ha incominciato ad essere rivelato nella promessa fatta ad Abramo. Dio è fedele alla sua promessa; egli ha scelto Israele come figlio primogenito (Es 4,22) e non lo ripudia, non lo priva della sua eredità, ora che attraverso il vangelo di Gesù Cristo sono chiamati ad essere figli di Dio anche gli appartenenti ad altri popoli, che, attraverso Gesù Cristo, diventano partecipi della stessa promessa e formano con Israele lo stesso corpo.
L’eredità di Israele e dei cristiani è unica, ma non è come le eredità materiali che non possono essere possedute tutte intere da più persone; si tratta di un’eredità spirituale che si moltiplica attraverso la partecipazione.
Dobbiamo anche noi come Paolo essere entusiasti del dono di Dio di averci introdotto nella promessa di Abramo, attraverso Gesù e impegnarci a mettere in pratica quello che Dio ci chiede in cambio. La chiamata comporta sempre un compito: ciascuno ha il suo e dobbiamo aiutarci gli uni gli altri a realizzarlo.
Vangelo: Matteo 2,1-12
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
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Il vangel.o in immagini
NATALE EPIFANIA DEL SIGNORE ANNO B
Esegesi
Il brano del Vangelo che la liturgia propone oggi è costruito intorno a due centri geografici: Gerusalemme e Betlemme, verso i quali confluiscono i Magi, protagonisti del racconto, e dai quali si dipartono per tornare là donde erano venuti.
Chi sono i Magi? Matteo è molto sobrio su questi personaggi, non dice niente della loro identità. Accenna che giunsero da «oriente». Le numerose identificazioni posteriori sono basate sui cosiddetti vangeli aprocrifi e su leggende agiografiche raccontate e scritte per edificare. Tali tradizioni vanno accolte in questa luce. Esse servono nella misura in cui aiutano a contemplare il mistero divino nascosto nella nascita di Gesù o a trarre degli insegnamenti di vita, ma non devono alimentare curiosità fuori luogo, che sviano dal centro del messaggio evangelico.
L’evangelista, che tralascia volutamente di precisare l’identità dei personaggi, indica chiaramente lo scopo del loro viaggio. Sono alla ricerca del re dei Giudei e, giunti a Gerusalemme, chiedono: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».
Una stella è stata per i Magi il segno di un intervento divino e una chiamata a cui hanno prontamente risposto mettendosi in cammino verso la capitale del territorio dei giudei. Alcuni Padri della chiesa, fra cui Giustino, Ireneo e Origine, accostano il versetto di Matteo «Abbiamo visto spuntare la sua stella» (Mt 2,2) con il passo del libro dei Numeri in cui Balaam, il profeta chiamato a maledire Israele, ma di cui poi è costretto ad intessere le lodi, dichiara: «Una stella procede da Giacobbe, si alza uno scettro in Israele» (Num 24,17). Accostare i due passi di Matteo e del libro dei Numeri, significa tener fisso lo sguardo sul modo in cui, entro la discendenza di Abramo, si uniscono figli di Israele e figli delle genti, mistero di cui parla Paolo nella seconda lettura (Cf. Piero STEFANI, Sia santificato il tuo nome. Commenti ai vangeli della domenica. Anno A, Marietti, Genova 1986, 48-50).
La creazione è mezzo di rivelazione e per intuire la presenza di Dio può bastare una stella, ma per scoprire il Messia d’Israele occorre l’illuminazione delle Scritture, che verranno anche consultate direttamente per sapere il luogo dove trovare «il re dei giudei».
Il re Erode rimane turbato dalle parole dei Magi ed è turbata, sottolinea l’evangelista, «tutta Gerusalemme». Il verbo greco tarasso nella forma semplice e passiva è usato da Matteo solo due volte, qui e in 14,26 dove sono i discepoli che si turbano per la visione di Gesù che cammina sulle acque; lo stesso verbo è usato da Luca per esprimere la reazione di Zaccaria (Lc 1,12) alla visione dell’angelo e di Maria alle parole che il messaggero di Dio le rivolge, anzi in questo caso l’evangelista usa una forma, che compare solo in questo versetto in tutto il Nuovo Testamento, composta con la preposizione dià che fa assumere al verbo stesso un significato rafforzativo (Lc 1,29).
Si tratta del turbamento, fatto di meraviglia e anche di sconcerto di fronte all’irrompere del divino, che attrae, ma incute anche timore. Interessante la sottolineatura dell’evangelista che «il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme». Il turbamento di Erode, infatti, si può interpretare come semplice paura di perdere il potere, che scatenerà le successive reazioni negative; quello di Gerusalemme, invece, avverte i lettori che si tratta di una manifestazione di Dio in continuità con quelle precedenti narrate dalle Scritture. L’evangelista riconosce in Gerusalemme il centro della rivelazione divina. Essa è la città scelta da Dio, per così dire, come sua dimora, in essa Dio ha fatto una casa a Davide e là ha permesso a Salomone di costruirgli il tempio. Essa è centrale nella storia dell’alleanza di Dio con Israele e non si può prescindere da essa nell’allargamento della rivelazione da Israele alle genti.
Erode per rispondere alla domanda dei Magi sul luogo in cui doveva nascere il Messia consulta gli esperti delle Scritture, che rispondono con una citazione del profeta Michea: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele» (Mt 5,1; Mt 2,6).
Erode, per avere notizie sul Messia di Israele, sceglie la strada corretta: consultare le Scritture; egli, però, non mette in contatto direttamente i magi con gli interpreti delle Scritture stesse. Si fa lui stesso mediatore fra loro e la parola divina. È Erode che si informa e che chiama «segretamente» i magi. Egli adotta le forme di un complotto; vuole assicurarsi di avere le informazioni in segreto, per usarle a suo piacimento. La sua è una mediazione indebita; un appropriarsi a proprio vantaggio della rivelazione.
I magi, informati dalle parole profetiche, riprendono il cammino e ritrovano anche la guida della stella. Molto sobria la descrizione della visita dei magi al bambino trovato con «Maria sua madre». Ella è testimone silenziosa dell’umanità di questo bambino, attorno al quale si verificano prodigi e la cui nascita va posta in relazione al messaggio divino contenuto nelle Scritture.
I magi portano dei doni. Sulla simbologia dei doni si è concentrata una lunga ricerca. In particolare i magi sono stati identificati in numero di tre proprio perché tre sono i doni. Essi, inoltre, sono stati identificati come re sulla scia dei versetti 10-11 del salmo 71 (72), che la liturgia fa leggere oggi; «I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni. Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti».
Si tratta di un salmo in cui si celebrano le doti di giustizia, rettitudine, capacità di governo, assunzione della difesa dei poveri e degli oppressi del re ideale di Israele, che è sempre e soltanto luogotenente di Dio. Stabilire la giustizia, come via alla pace è il compito del «re dei giudei» secondo i Salmi e diversi altri passi biblici. A lui guarderanno i popoli della terra, ma il loro prostrarsi di fronte al «re dei giudei» o il loro andare a Gerusalemme, come insistono i profeti, non sarà perché costretti da un potere oppressivo, ma perché anche a loro sarà dato di seguire, come Israele, le vie di Dio a gloria di Dio stesso. Questa prospettiva è chiara nel brano di Isaia che fa da sfondo alla presentazione del dono dei magi: «Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore» (Is 60,6).
Nell’applicare a Gesù i testi biblici, che parlano del re ideale e dello shalom realizzato, non dobbiamo privarli della loro carica escatologica, vale a dire dell’allusione ad un ulteriore e definitivo intervento divino verso il quale dobbiamo ancora camminare, perché termine della storia.
Anche i magi, avvertiti in sogno di non passare da Erode, rientrano per altra via al loro paese.
Anonimi sono entrati nel Vangelo e anonimi ne escono. L’attenzione dell’evangelista non è su di loro, ma sul bambino la cui identità si palesa solo attraverso la corretta lettura delle Scritture.
Meditazione
La solennità della nascita del Signore Gesù e quella della Epifania sono due misteri profondamente legati, tanto che anticamente non erano separati nella celebrazione liturgica. Sono la rivelazione dell’unico mistero del Figlio di Dio che viene tra gli uomini portando loro la luce; se il Natale sottolinea maggiormente la manifestazione del Figlio di Dio nella sua nascita nella carne, l’Epifania mette in risalto la dimensione universale di questo evento salvifico. Ma ambedue le feste sono rivelazione dell’unico mistero di Dio che assume la nostra umanità per salvarla (e nella tradizione orientale la festa della Epifania è chiamata appunto Teofania, manifestazione di Dio).
Nella tradizione liturgica occidentale, in questo giorno è stato progressivamente privilegiato il tema della universalità della chiamata alla salvezza, aspetto sottolineato sia con la scelta del testo di Isaia (il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme) sia soprattutto con il racconto dei Magi, saggi pagani che intraprendono un lungo viaggio per adorare il re dei Giudei. E su quest’ultima narrazione, tramandataci solo dall’evangelista Matteo, soffermiamo la nostra attenzione.
Il racconto della venuta dei Magi a Gerusalemme e a Betlemme è costruito da Matteo sulla base di due linee interpretative che si intersecano e formano la trama interiore della narrazione. La prima è strettamente legata al ricco sottofondo biblico, fatto di allusioni, testi, immagini (si pensi alla portata simbolica della stella, come allusione a Nm 24,7, oppure al riferimento al testo di Is 60), a cui Matteo fa continuamente riferimento. La seconda linea interpretativa orienta a leggere i racconti dell’infanzia, all’interno del vangelo di Matteo, come una sorta di prologo all’intero racconto, capace di lasciarci intravedere i temi che in seguito saranno sviluppati. E in questa prospettiva la narrazione dei Magi acquista una luce sorprendentemente ‘pasquale’, in quanto preannuncia il dramma del destino del Messia di Betlemme, crocifisso a Gerusalemme, risorto e costituito Signore (kyrios) di tutti i popoli, adorato quale Figlio di Dio dalla comunità cristiana, popolo dell’alleanza aperto al
mondo dei lontani (e in Mt 27,54, sarà proprio un pagano, il centurione, a proclamare il crocifisso quale Figlio di Dio).
Potremmo cogliere il centro dinamico del racconto nella domanda iniziale che i saggi venuti dall’oriente pongono ad Erode e ai capi del popolo; «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?» (v. 2). Questo interrogativo supera il contesto preciso della ricerca dei Magi e assume un contenuto teologico più ampio che potrebbe essere formulato così: da dove viene il Messia?
Nella sua narrazione, Matteo offre una risposta articolata a questo interrogativo: dalla domanda iniziale formulata dai Magi, passando attraverso una rilettura dei testi biblici (con la quale viene sottolineata la necessaria mediazione della Scrittura) e oscillando tra due luoghi simbolici (Gerusalemme e Betlemme), si giunge a una rivelazione del volto stesso di Dio nel suo progetto di salvezza per tutta l’umanità. Il filo conduttore di questa progressiva manifestazione è offerto, d’altra parte, dalla affascinante ricerca dei Magi, dal loro cammino misterioso sotto il segno di una ‘stella’, cammino ritmato dai tre verbi, vedere – venire – adorare, che sono la forza interiore della loro ricerca: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (v. 2). In contrasto con la verità e la gioia della ricerca dei Magi, viene sottolineata la reazione inaspettata e carica di paura di Erode e dell’intera città di Gerusalemme e il passaggio dal turbamento a una ricerca piena di ambiguità. Erode incarna così una ricerca falsa che ha come presupposto la chiusura e l’incredulità, la paura e il turbamento. L’avvertimento suona chiaro: non basta possedere la Scrittura se non c’è un cuore aperto alla ricerca e alla rivelazione della regalità del Messia.
La ricerca dei Magi, a cui la stella apparsa all’inizio diventa guida e conferma di ciò che le Scritture attestano, si conclude nella gioia e nella adorazione. È la gioia che sgorga dalla consapevolezza che il faticoso cammino di ricerca ha un reale fondamento nella fedeltà di Dio; è la gioia del compimento, della meta raggiunta; è la gioia messianica della presenza di Dio che fortemente contrasta con il turbamento di chi non sa gioire dell’approssimarsi della visita di Dio. E questa gioia si trasforma in adorazione, appena «videro il bambino con Maria sua madre» (v. 11). E mediante l’offerta dei doni, questa adorazione esprime il riconoscimento del potere di questo re e bambino.
Come nota J. Goldstain, la storia dei Magi «è la nostra storia; è la storia del credente che risponde alla chiamata di Dio che gli giunge in mezzo alla confusione di questo mondo e che, nonostante le notti dello Spirito che deve attraversare, persevera nel suo cammino. Dio spesso si nasconde e raramente si svela a quelli che vuole chiamare al suo servizio, giusto quel tanto per spingerli a un primo passo che dovranno proseguire, come i Magi, nella oscurità, nella fedeltà e nella fede, fino all’incontro faccia a faccia». I Magi sono davvero l’icona dell’uomo che cerca, dell’uomo che è inquieto, come direbbe s. Agostino, finché il suo cuore non trova riposo in Dio. In questi Magi che fanno del viaggio il senso della loro vita trova voce ogni uomo che desidera conoscere e incontrare il volto di Dio e nella avventura di questi uomini, nel modo con cui percorrono una via, nelle domande che essi sanno porre, nei poveri segni che hanno a disposizione, nel loro sguardo, ognuno di noi può scoprire un aiuto per il suo cammino di fede. Un cammino che richiede sempre novità, apertura, rischio per vie inaspettate. I Magi, infatti, arrivano per una strada, ma ritornano al loro paese per un’altra. C’è in qualche modo, una strada vecchia, ‘di prima’, che parte dal proprio paese (il luogo dell’origine, della propria storia, delle proprie sicurezze) e conduce a Dio. E c’è una strada nuova (dopo l’incontro) che parte dalla scoperta del volto di Dio e riporta al proprio paese. I Magi saranno tornati nella loro terra con il volto di quel bambino nei loro occhi, ma soprattutto con la consapevolezza che nelle mani di quel bambino ormai tutta la loro vita – e anche la loro faticosa ricerca – era racchiusa, custodita, salvata, pacificata. Veramente i Magi sono per noi dei maestri nella ricerca del volto di Dio.
Preghiere e racconti
Il sapore della speranza
Se a Natale i cristiani ricordano che il Messia Gesù è nato a Betlemme in una condizione di povertà e che solo poveri pastori lo hanno riconosciuto, l’Epifania (che per l’Oriente cristiano è la grande festa legata alla Natività) ci ricorda che alcuni uomini che non avevano la fede nel Dio di Israele, alcuni sapienti, sono stati anch’essi coinvolti dall’evento della nascita di Gesù. Pagani, appartenenti non al popolo eletto ma alle genti e alle culture d’Oriente, eppure uomini capaci di una ricerca, di una lotta anti-idolatrica, di una lettura dei segni dei tempi, di inseguire una speranza che abita tutta la storia umana. Si sono messi in cammino, hanno lasciato il noto dei loro luoghi per seguire una stella e giungere poi allo stesso centro: il Messia Gesù. Avevano un “orientamento”, potremmo dire, e seguendolo con tutto il proprio essere, con convinzione e perseveranza, pronti ad affrontare l’ignoto, sono giunti alla fine della loro ricerca. Ecco il significato dell’Epifania: la buona notizia del cristianesimo non si identifica con una cultura, ma è universale, perché ogni essere umano e ogni cultura possono, nell’uomo Gesù che ha raccontato Dio, trovare la verità dell’uomo, può cogliere l’altro come destinatario di attenzione, di vicinanza, di amore. […] Ma questi sapienti dell’Oriente hanno costituito anche per gli ambienti più semplici l’immagine dell’alterità: se, infatti, lo stesso Gesù appena nato è sempre stato raffigurato come “uno di noi”, bianco, con gli occhi chiari, i magi hanno rappresentato – per colore della pelle, per cavalcatura usata, per abiti e abitudini – il simbolo del diverso, dello straniero che si fa prossimo. Forse anche per questo un tempo l’Epifania era una festa “estesa”, dilatata. Quando il Natale invitava all’intimità del singolo nucleo famigliare, tanto l’Epifania veniva allargata a parenti, vicini, persone sole, agli emarginati: una festa contrassegnata dalla generosità, dalla gratuità del dono.
(Enzo BIANCHI, Ogni cosa alla sua stagione, Einaudi, Torino, 2010, 75-77).
Una pasqua annunciata
«Alza gli occhi intorno e guarda; tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano» (Is 60,4).
«Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese». (Mt 2, 10-12).
Un proverbio, preso dai miei ricordi d’infanzia, suona: «la Pasqua-Epifania tutte le feste si porta via». Ciò che allora mi sembrava incomprensibile, era lo strano accoppiamento dell’Epifania con la Pasqua.
Il Gesù bambino adorato dai magi che già richiama il Gesù crocifisso e risorto. Il Figlio di Maria e Giuseppe ancora infante, cioè senza parola, che come in una rapida dissolvenza cinematografica, cede il posto al Cristo Signore, alfa e omega della storia, Parola unica ed ultima dell’amore universale del Padre.
Poi, col passare degli anni, ne ho capito il motivo e so che non potrebbe essere diversamente. L’Epifania del Dio-bambino ai magi, cioè il suo manifestarsi ai lontani e ai pagani, è già un primo squarcio di luce che lacera il velo del tempio che separava e nascondeva il «Santo dei santi». La lacerazione di quel velo sarà totale e definitiva nell’evento pasquale, quando l’urto dell’onda luminosa del Risorto romperà le anguste barriere di separazione tra cielo e terra, tra vita e morte, tra uomo e uomo. Così l’Epifania del Natale è il primo bagliore di una Pasqua ormai annunciata. E la Pasqua è l’annuncio della totale epifania di Dio finalmente realizzata.
Cercare Dio
Oggi è la festa degli infaticabili cercatori di Dio, degli inarrestabili pellegrini dell’Assoluto, incamminati verso cieli nuovi e terra nuova: «I tuoi figli vengono da lontano» (Is 60, 4).
A qualunque popolo, razza, religione e cultura appartengano, tutti lo possono trovare perché Egli, che è la meta, si è fatto anche strada. Visto il collegamento tra Epifania e Pasqua, non sarebbe male commentare quella preghiera che si pronuncia nella liturgia del venerdì santo per coloro che, pur non credendo in Dio, vivono con bontà e rettitudine di cuore. È splendida: «Dio, tu hai messo nel cuore degli uomini una così profonda nostalgia di te, che solo quando ti trovano hanno pace: fa’ che, al di là di ogni ostacolo, tutti riconoscano i segni della tua bontà e, stimolati dalla testimonianza della nostra vita, abbiano la gioia di credere in te, unico vero Dio e padre di tutti gli uomini».
I magi sono il simbolo di tutti coloro che affrontano un lungo percorso ad ostacoli senza cedere ai tentativi di depistaggio o disorientamento, senza lasciarsi catturare dagli ambigui sorrisi del potere. E il loro viaggio non termina, come ci aspetteremmo, con il raggiungimento del traguardo sognato. «Videro il Bambino con Maria sua Madre» e così, si potrebbe concludere, vissero felici e contenti. No. Dopo aver offerto i loro doni, «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese».
Da allora sarà sempre così per chi lo ha trovato e poi vuole rimanere con lui: bisogna saper cambiare strada, per non perderlo; anzi, per non perdersi.
Avvicinarsi a Dio
Festa anche dei lontani, degli stranieri, degli esclusi dal sistema. L’apparire della luce di Dio tra le nostre tenebre capovolge i sistemi dei pesi e delle misure da noi stabiliti. Trasforma i meccanismi di esclusione e inclusione da noi codificati. Ci sono «lontani» che diventano «vicini», e «primi» che diventano «ultimi». Ci sono pii e osservanti delle leggi e maestri di morale che escono dal tempio senza essere perdonati; e peccatori, prostitute ed empi samaritani che diventano modelli di santità. Non è l’etichetta che conta. Le vecchie carte d’identità, per lui, sono tutte scadute e vanno rinnovate con… altri criteri.
Se i magi riescono a incontrare e adorare Gesù, è perché Dio, per rivelarsi, «non fa preferenze di persone», non chiede prima la tessera di appartenenza politica o religiosa, non discrimina in base ai titoli di studio o ai diplomi di benemerenza. Non valuta insomma le condizioni di staticità o i piedistalli del passato. Egli va incontro e svela il suo volto a quanti si spingono sulle piste del futuro e aprono i varchi dell’esodo. Si fa trovare nella casa di ogni uomo reso «infante», senza capacità o diritto di parola e di difesa.
Si fa identificare da chi ha già deciso di assomigliarli. E gli si può assomigliare solo lasciando la nostra strada, oltre che la sicurezza della nostra casa, per seguire i suoi sentieri e le sue tracce.
Leggere i segni di Dio
Festa di chi sa leggere i segni. Una “stella”, guidava i magi nel loro faticoso cammino.
Quanti segni anche per noi, nella natura, negli eventi del tempo, nel cuore dell’uomo, possono diventare frecce direzionali, raggi luminosi che discretamente, nel cuore della notte, orientano i nostri timidi passi verso un paese, sempre incompiuto, dove c’è spazio per ogni uomo: quell’uomo che è lo spazio stesso di Dio.
Soprattutto il Bambino, scoperto e adorato nella povertà di un villaggio da questi curiosi investigatori del mistero, è i1 segno che dobbiamo indagare tra le case e le baracche della terra, se vogliamo rintracciare i preziosi lembi del cielo. È lui il vero cielo, e ne dobbiamo intuire la presenza oltre il velo di ogni persona, dietro le quinte di ogni scena storica. Davanti a Gesù i magi non dicono nulla. Di fronte a lui solo silenzio, ginocchia che si piegano, vita che diventa dono: mirra, oro, incenso. È Gesù crocifisso, risorto, glorificato. Compendio dei misteri dolorosi, gaudiosi e gloriosi della vita umana. Epifania di Dio, pellegrino sulle strade dell’uomo. Epifania dell’uomo, quando si fa pellegrino sulle strade di Dio. Un monito per le nostre comunità affinché, come popolo di «magi pellegrini», non indugino nei palazzi di Erode, nelle accademie dell’immobilismo, nei labirinti delle ricerche a tavolino, ma affrontino la strada della concretezza quotidiana e forzino la marcia verso quell’alto monte dove il Signore, eliminata per sempre la coltre della morte e fatto cadere l’ultimo velo che impedisce la completezza della sua definitiva epifania, ha già preparato il festoso banchetto della vita e della pace per tutti i popoli.
(Don Tonino Bello, Avvento. Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007, 97-102).
Gloria a te,
altissimo Signore,
che ti sei fatto umile Bambino.
Gloria a te,
invisibile Dio,
che ci hai mostrato il tuo Volto.
Gloria a te,
infinito Padre,
che hai scelto una Donna
per rivelare la tua bellezza.
Gloria a te,
immenso Creatore,
che accogli la fede
e l’adorazione dei Magi.
Gloria a te,
onnipotente Bambino,
che ti manifesti alle genti
in semplicità e umiltà.
Gloria a te,
misericordioso Dio,
che doni a tutti pietà e tenerezza.
Gloria a te,
divino Sovrano
del cielo e della terra…
Apri a tutti gli uomini
le porte del tuo Regno.
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
o serviti di:
– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.
– G. TURANI, Avvento e natale 2011. Sarà chiamato Dio con noi. Sussidio liturgico-pastorale, San Paolo, 2011.
– Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
– Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, a cura di Enzo Bianchi et al., Milano, Vita e Pensiero, 2005.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
– J.B. METZ, Avvento-Natale, Brescia, Queriniana, 1974.
– E. BIANCHI, Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore, Milano, Rizzoli, 21999.
– T. BELLO, Avvento e Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.