Maria SS.Madre di Dio

MARIA SS. MADRE DI DIO

Lectio – Anno A

Prima lettura: Numeri 6,22-27

 

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».

v La pericope, che ha una chiara intonazione liturgica, conclude le prescrizioni sul nazireato, ma è facilmente estrapolabile dal suo ambito proprio e adattabile ad ogni contesto di preghiera. Si tratta infatti di una benedizione che veniva usata al termine delle liturgie o dei sacrifici e si impartiva ogni giorno dopo il sacrificio della sera. Parola chiave della pericope il verbo benedire.

La radice ebraica brk è alla base di una importante famiglia di parole che esprimono la felicità dell’uomo e il dono divino che ne è la sorgente. Il verbo usato nella forma attiva, e in modo particolare nel contesto liturgico e celebrativo, esprime la comunicazione dei beni divini attraverso un mediatore.

Normalmente benedire è ufficio del sacerdote, ma anche il padre o il re (2Sm 6,18) benedicono. In questo testo, risalta molto chiaramente che Dio è l’origine fontale della benedizione: il verbo «benedire» e la forma deprecativa esplicitano bene l’iniziativa e l’opera del Signore.

L’uomo, al contrario, non è fonte di benedizione in se stesso, ma è mezzo di benedizione in virtù di un dono ricevuto dall’alto. La benedizione di Dio, inoltre, si distingue da quella umana per la sua efficacia: la parola di Dio è sempre evento di salvezza, non ritorna indietro senza aver dato i suoi frutti (cf. Is 55,10-11).

Segni della benedizione di Dio sono: il volto del benedetto che riflette la luce di colui che benedice; la grazia, la gioia e la pace. Il possesso di questi doni, sempre attesi, ma mai pienamente avuti, da parte dell’uomo o del popolo, porterà i profeti ad invocarli come doni messianici. Il messia sarà chiamato il benedetto per eccellenza; fonte di benedizione per tutti gli uomini; sorgente di gioia, di grazia, di salvezza e di pace.

 

Seconda lettura: Galati 4,4-7


Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.  E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.

 

v Il brano inizia con un’espressione tipicamente paolina («pienezza del tempo») che fa cogliere tutta la straordinarietà del momento di cui l’Apostolo sta parlando. Con questa espressione, Paolo non indica il sopraggiungere di un tempo prefissato, ma la maturazione progressiva e graduale della storia di salvezza. Una storia che, giunta oramai al suo pieno compimento, fa scaturire il dono di salvezza per eccellenza: Gesù, Figlio di Dio.

Il Figlio di Dio è un figlio, nato da donna, cioè veramente uomo. Il Figlio che si è spogliato delle prerogative divine e che si è sottoposto ai limiti dello spazio e del tempo, alla legge degli uomini in vista del riscatto di tutta l’umanità. Una umanità che potrà essere salvata proprio poiché resa figlia nel Figlio fatto uomo.

Il termine giuridico usato da Paolo («adozione a figli»), sottolinea maggiormente la gratuità dell’amore di Dio Padre, che ha tanto amato gli uomini da renderli suoi figli donando l’unico Figlio. Essere figli significa possedere intimamente lo stesso Spirito che anima e vivifica la vita dell’Unigenito e crea in lui quel rapporto intimo e particolare con il Padre.

Anche noi, resi figli, partecipiamo della stessa figliolanza divina e possiamo gridare con Cristo abbà: una parola che è l’espressione di questa nuova intimità di rapporto col Padre. Come figli legittimi, partecipiamo, inoltre, già della stessa eredità dell’unico figlio, garantita dalla caparra dello Spirito, che si realizzerà pienamente nel futuro escatologico. Le prerogative divine, a cui il Dio fatto uomo ha rinunciato per condurre l’umanità alla salvezza, saranno restituite a lui nella risurrezione. Attraverso di lui e dopo di lui, saranno date a tutti i risorti nella parusia.

La benedizione di Dio promessa ad Abramo, e a tutti i suoi figli, si realizza pienamente con l’incarnazione del Verbo, il Benedetto per eccellenza: da lui scaturisce ogni benedizione per noi e in lui si compiono tutte le promesse di Dio Padre, per l’umanità intera.

 

Vangelo: Luca 2,16-21


In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

 

Esegesi

Luca ama sottolineare l’aspetto universale e missionario del vangelo e illustra la nascita del Figlio di Dio circondando il racconto in una cornice di gioia e di lode. I pastori, ricevuto l’annunzio dell’angelo (Lc 2,10-12), si fanno messaggeri del lieto evento, di ciò che hanno visto e di quanto hanno udito. La fretta, con la quale si muovono, è espressione del loro

stato d’animo, che rivela la volontà di agire e di rispondere immediatamente al «segno» che è stato loro mostrato. Essi non ragionano come i dotti e i sapienti, per questo si muovono senza indugio per vedere la realizzazione della parola di Dio, che si è compiuta.

Il termine usato da Luca, rema, per descrivere «ciò che del bambino era stato detto loro» fa pensare sia all’annuncio della parola sia alla sua realizzazione: Gesù Cristo, Parola di Dio incarnata nella storia dell’uomo, risposta vivente alla domanda di salvezza dell’umanità. L’ambiente semplice e povero, ritratto da Luca, nulla toglie all’atmosfera gioiosa, anzi ne sottolinea l’autenticità.

La gioia dei pastori nasce, non dalla contemplazione di manifestazioni esterne e straordinarie (astri nel cielo, doni preziosi e profumati…), ma dall’incontro con il Salvatore, Cristo Signore. Nell’umile grotta di Betlemme giace l’amore, risuona la lode, regna la pace messianica. Raccolti attorno al bambino, contemplano il Messia, assaporano la gioia del compimento delle promesse e subito partecipano agli altri la loro traboccante esultanza: gli ultimi della scala sociale possono avere qualcosa da dire a tanti che sono più in alto di loro. È la logica di Dio che rivoluziona le rigide logiche umane.

Alla gioia entusiasta dei pastori Luca contrappone la gioia raccolta di Maria «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio» (Lc 2,19). L’annuncio dell’angelo, avvolto dal mistero, a cui ella aveva aderito senza remore, si chiarificava lentamente, alla luce dell’evento della nascita del Figlio di Dio. I due verbi custodiva e meditava fanno comprendere molto bene il dramma interiore di Maria che assiste silenziosa e partecipe alla realizzazione del progetto di Dio. Nulla è chiaro in ciò che sta accadendo. Tuttavia Maria non chiede: accoglie. Maria non indaga: accetta. Maria non esita: ama il dono prezioso di Dio e si prepara a offrirlo al mondo.

La piena luce in lei giungerà alla fine della sua esistenza, ma nel frattempo si cala profondamente nel suo ruolo di madre del Dio fatto uomo. Impara a stare accanto al Figlio partecipando e accompagnando senza clamori le sue gioie e i suoi successi, le sue ansie e le sue sofferenze, riflettendo la luce di salvezza che da lui scaturisce. Non assume, né pretende di avere un ruolo da protagonista. Una scelta, questa, che la contraddistinguerà in tutti i momenti della sua vita di Madre accanto al Figlio. Accetterà di essere messa da parte dinanzi alla priorità della missione che il Padre ha affidato al Figlio (Lc 2,49: «non sapevate che devo occuparmi delle cose del padre mio?»). Timidamente esorterà l’inizio del ministero (Gv 2,3: «non hanno più vino»). Sempre gli sarà accanto soprattutto nelle ore più tristi, quando tutti lo abbandoneranno e il mistero di salvezza sembrerà infittirsi (Gv 19,25: «stavano presso la croce Maria la madre sua…»). Parteciperà gioiosa dei frutti della resurrezione attendendo il dono dello Spirito (At 1,14: «…assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù…») irradiando la luce di salvezza del Figlio sarà fedele figlia e madre nella sua Chiesa.

I pastori destinatari e portatori dell’annuncio della nascita del Figlio di Dio tornano ai loro greggi, alle loro occupazioni, alle loro case, lasciandosi dietro un’atmosfera gioiosa ricca di lode e di esultanza. Da Dio hanno ricevuto il dono di vivere questo evento di salvezza, a lui rivolgono ora la gloria. Glorificano Dio, origine e sorgente di ogni gloria, e rendono a lui la gioia che da Lui hanno ricevuto. Una gloria che esalta, celebra, riconosce i segni meravigliosi dell’intervento di Dio nella storia dell’uomo. Una gloria che manifesta la realizzazione dei tempi messianici, inaugurati dalla nascita del Figlio di Dio.

Luca chiude questo quadro gioioso con l’annotazione, di carattere storico, del compimento delle prescrizioni della legge mosaica. L’incarnazione, l’evento gioioso di salvezza di cui i pastori sono ora testimoni e che Maria conserva e custodisce nel suo cuore, comporta anche la sottomissione del Figlio di Dio alla legge umana. Tuttavia l’ultima parola spetta nuovamente a Dio che, nel nome del Figlio di Maria, rivela ancora una volta la sua volontà salvifica universale: il Figlio è Gesù, che significa JHWH salva.

 

Meditazione

Più motivi di celebrazione confluiscono nella solennità odierna. La liturgia concentra lo sguardo, a otto giorni dalla natività di Gesù, sul mistero di Maria, Madre di Dio. La madre non è separabile dal figlio e riceve da lui la sua luce e la sua dignità. La liturgia non dimentica tuttavia che siamo all’inizio di un nuovo anno, e che per volontà di Paolo VI in questo giorno si celebra la Giornata mondiale per la pace. Infine, nel versetto conclusivo del vangelo di Luca che oggi viene proclamato, ascoltiamo l’eco della festa celebrata prima della riforma liturgica: l’imposizione del nome «Gesù» e la circoncisione del figlio della Vergine.

La prima lettura tratta dal libro dei Numeri riporta la benedizione sacerdotale di Aronne. All’inizio di un nuovo anno siamo indotti a riflettere sul senso del tempo, sul suo inarrestabile trascorrere e sul desiderio umano di dominarlo o di prevederlo, senza riuscirvi. Ciò che Dio affida ad Aronne e ai suoi figli di fare ricorda che il tempo è sotto la sua benedizione. È luogo in cui Dio ci viene incontro, dicendo e operando il nostro bene, proteggendoci, mostrandoci il suo volto, donandoci la pace e un nome nuovo, che è il suo stesso Nome imposto sulla nostra vita, come sua benedizione e sua salvezza. Il tempo è sempre grembo fecondo di una novità, non perché a un anno che finisce ne subentri un altro, ma perché nel tempo ci si rivela quel Dio che fa nuove tutte le cose. Soprattutto ci rinnova mediante il dono del suo stesso Nome. Dio è davvero il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio di Gesù Cristo, il Dio di ciascuno di noi, che lega indissolubilmente il suo Nome al nostro, ed è in questa alleanza fedele e feconda che troviamo novità, vita, pace.

Il tempo è ricolmo di questa presenza di Dio. Tale è la pienezza del tempo di cui parla Paolo nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Galati. Il tempo giunge alla sua pienezza quando il Figlio di Dio vi entra e lo riempie di sé, condividendo in tutto la condizione umana. Nasce sotto la Legge, in solidarietà profonda con il suo popolo, come «uno del suo popolo», che secondo la Torà deve essere circonciso all’ottavo giorno. La circoncisione è segno dell’alleanza. Circoncidendo il membro sessuale maschile, attraverso cui avviene la generazione di una vita nuova, l’israelita afferma che ogni suo figlio nasce nell’alleanza e in una relazione singolare con Dio. Paolo aggiunge però «nato da donna», come ogni altro uomo. Gesù si fa solidale non solo con i figli dell’alleanza, ma con ogni figlio di donna, senza esclusione alcuna. Tutti gli uomini, di ogni razza, cultura, religione, sono «figli di donna», e Gesù entra in comunione con ciascuno di loro. In questo modo, in lui e attraverso di lui, la benedizione che Aronne impartiva sugli Israeliti viene estesa a tutti, su tutti Dio fa brillare il suo volto e dona la sua pace. Il tempo giunge a pienezza perché si compie la promessa fatta ad Abramo: «In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,3).

Dio pone il suo nome su di noi – afferma il libro dei Numeri – e questo nome ora possiamo invocarlo, ci ricorda Paolo, nello Spirito del suo Figlio che grida «Abbà! Padre!» (cfr. Gal 4,6). Dio ci dona il suo nome e ci dona anche la possibilità di invocarlo in modo nuovo, come figli che possono rimanere in una vera relazione filiale con lui.

L’evangelo di Luca, infine, ci rivela che questo nome che Dio ci dona è il nome che viene imposto sul figlio di Maria, «Gesù», che significa «Dio salva»: In questo figlio della circoncisione e figlio di una donna, Dio per sempre, senza pentimenti, rivolge a noi il suo volto fino ad assumere un volto umano, e ci dona un nome, anzi il solo nome in cui possiamo trovare salvezza. «Non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati», come testimonia Pietro davanti al Sinedrio (At 4,12).

L’atteggiamento autentico con cui contemplare questo indicibile mistero di salvezza è quello di Maria, descrittoci da Luca nell’evangelo. In lei c’è il silenzio di un ascolto profondo, che accoglie e custodisce. Come ha ascoltato la parola di Gabriele, ora ascolta la parola dei pastori, i quali riferiscono «ciò che del bambino era stato detto loro» (v. 17). Ascolta e obbedisce anche alla parola delle Scritture, facendo circoncidere il figlio all’ottavo giorno, come prescritto nella Torà di Mosè. Chi sa ascoltare e custodire nel silenzio del cuore e nella ricchezza della fede giunge a discernere la parola di Dio nel suo manifestarsi in modi molteplici: nell’angelo, nei pastori, nelle Scritture. Non basta tuttavia l’ascolto; Maria sa anche meditare nel cuore, andando oltre il semplice stupore degli altri. Occorre sapersi stupire davanti all’agire di Dio, ma poi lo stupore deve farsi domanda, ricerca, riflessione. Il verbo greco usato dall’evangelista significa più propriamente «mettere insieme, confrontare». L’ascolto della Parola richiede questo discernimento che sa mettere insieme e nel giusto rapporto aspetti che altrimenti potrebbero sembrare contraddittori: la parola di Gabriele che annuncia la grandezza e la santità di colui che sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, la parola dei pastori, poveri e marginali, che riconoscono il segno in un bambino deposto in una mangiatoia. Solo chi come Maria custodisce un cuore unificato dal silenzio, dall’ascolto, dalla meditazione, riconosce il modo paradossale di manifestarsi di Dio, mai ovvio e sempre sorprendente rispetto alle nostre attese e alle nostre logiche.

Questo ascolto della parola consente a Maria di accogliere e generare nella carne il Verbo di Dio. È la Madre di Dio, che diviene anche Madre dei credenti, perché assumendo il suo atteggiamento può maturare anche in noi la vera fede.

 

 

Preghiere e racconti


Educare alla pace

« La pace non è la semplice assenza di guerra e non può ridursi ad assicurare l’equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può ottenere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l’assidua pratica della fratellanza ». La pace è frutto della giustizia ed effetto della carità. La pace è anzitutto dono di Dio. Noi cristiani crediamo che Cristo è la nostra vera pace: in Lui, nella sua Croce, Dio ha riconciliato a Sé il mondo e ha distrutto le barriere che ci separavano gli uni dagli altri (cfr Ef 2,14-18); in Lui c’è un’unica famiglia riconciliata nell’amore.

Ma la pace non è soltanto dono da ricevere, bensì anche opera da costruire. Per essere veramente operatori di pace, dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti. « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio », dice Gesù nel discorso della montagna (Mt 5,9).

La pace per tutti nasce dalla giustizia di ciascuno e nessuno può eludere questo impegno essenziale di promuovere la giustizia, secondo le proprie competenze e responsabilità. Invito in particolare i giovani, che hanno sempre viva la tensione verso gli ideali, ad avere la pazienza e la tenacia di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il gusto per ciò che è giusto e vero, anche quando ciò può comportare sacrificio e andare controcorrente».

(Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la celebrazione della XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE, 1° GENNAIO 2012: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace»).

 

Alzare gli occhi a Dio

«Di fronte alla difficile sfida di percorrere le vie della giustizia e della pace possiamo essere tentati di chiederci, come il Salmista: « Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? » (Sal 121,1).

A tutti, in particolare ai giovani, voglio dire con forza: « Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero… il volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore? ». L’amore si compiace della verità, è la forza che rende capaci di impegnarsi per la verità, per la giustizia, per la pace, perché tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (cfr 1 Cor 13,1-13).

Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento di fronte alle difficoltà e non abbandonatevi a false soluzioni, che spesso si presentano come la via più facile per superare i problemi. Non abbiate paura di impegnarvi, di affrontare la fatica e il sacrificio, di scegliere le vie che richiedono fedeltà e costanza, umiltà e dedizione. Vivete con fiducia la vostra giovinezza e quei profondi desideri che provate di felicità, di verità, di bellezza e di amore vero! Vivete intensamente questa stagione della vita così ricca e piena di entusiasmo.

Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti, e lo sarete quanto più vi sforzate di superare le ingiustizie e la corruzione, quanto più desiderate un futuro migliore e vi impegnate a costruirlo. Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non chiudetevi mai in voi stessi, ma sappiate lavorare per un futuro più luminoso per tutti. Non siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in voi, vi segue, vi incoraggia e desidera offrirvi quanto ha di più prezioso: la possibilità di alzare gli occhi a Dio, di incontrare Gesù Cristo, Colui che è la giustizia e la pace».

(Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la celebrazione della XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE, 1° GENNAIO 2012: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace»).

 

Maria, Madre della pace

Maria ci appare dalle profondità dell’infinito in una mandorla stellata, circondata da quattro angeli che la onorano gioiosi. Lei è là, nella gloria del cielo: ci aspetta a braccia aperte e intercede per noi presso Dio.

Contempliamo Maria

aprendo a Lei il cuore.

Contempliamo Maria

nella sua bellezza.

Contempliamo Maria ascoltandola

e imparando da Lei.

Contempliamo Maria

esprimendo a Lei

i nostri bisogni immensi.

Contempliamo la Donna,

la Vergine,

colei che non teme di perdere e di perdersi.

Contempliamo la Madre

genitrice del Verbo,

lasciando che generi in noi

il Cristo vivente.

Contempliamo Maria orante

e intercediamo

per il mondo intero.

Contempliamo Maria

mettendoci nelle sue mani

con la nostra piccolezza.

Contempliamo Maria per se stessa,

trascorrendo del tempo con Lei

in silenzio gioioso

in stupore estasiato,

cullati dal suo amore di madre

infinita tenerezza per ogni creatura.

Maria!

Desiderata pace

sconfinato bene…

 

IL GREMBO DELLA MADRE

«Il Signore faccia brillare il suo volto su di te

e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te

il suo volto e ti conceda pace». (Nm 6,25-26)

 

«Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore». (Lc 2, 18-19).

L’anno nuovo ha fatto irruzione nella nostra vita.

 

L’augurio

«Buon anno!» diciamo a tutti e stringiamo mille mani per esprimere ai nostri compagni di viaggio, imbarcati con noi sulla nave della vita, l’auspicio di tanta felicità.

Non c’è nulla di più bello e di più sacro di questo intreccio di mani, fatto a Capodanno: dovrebbe essere il simbolo di una volontà di amore, di apertura, di dialogo, di impegno a costruire un fitto reticolato di solidarietà tra tutti gli uomini, nella giustizia e nella fratellanza.

Se davvero ognuno di noi, per rendere il mondo più umano, mettesse nel corso di tutto l’anno lo stesso puntiglio con cui in queste ore dona e riceve gli auguri, la causa della pace nel mondo sarebbe già mezzo risolta. Purtroppo, però, in questo scambio di felicitazioni prevale più lo scongiuro che il senso della speranza cristiana. Sembra quasi che si voglia esorcizzare l’avvenire con formule scaramantiche, gravide di paure più che di promesse. Diciamo «auguri», ma ci trema la voce. Stringiamo la mano, ma il braccio è malfermo. È che siamo sopraffatti dallo scoraggiamento, rassegnati di fronte agli insuccessi, appesantiti dalla barbarie presente nel mondo. Nonostante tutto, però, di fronte a un anno che nasce, a noi credenti è severamente proibito essere pessimisti.

Qualche anno fa era in cartellone, presso i maggiori teatri d’Italia, uno spettacolo dal titolo «Chi vuol esser lieto sia, di doman c’è gran paura». È un’espressione che non possiamo assolutamente condividere, perché se c’è qualcosa che il domani contiene, questa ha un nome: la speranza di oggi. Non lasciamoci, perciò, sopraffare dalla ineluttabilità del male. Poniamo gesti significativi di riconciliazione. Svegliamo l’aurora. Proclamiamo sempre più con le opere e sempre meno con le chiacchiere che Gesù Cristo è vivo e cammina con noi.

 

La speranza

Nostra speranza è, oggi, la pace. Da quando Paolo VI l’ha scelto per la celebrazione della Giornata mondiale della pace, l’augurio di riconciliazione e di solidarietà scavalca la sfera dei rapporti strettamente personali e raggiunge gli estremi confini della terra.

È molto significativo che l’anno nuovo cominci proprio con questo impegno, sottolineato ogni volta da un particolare tema di riflessione proposto dal Papa. Sembra quasi che si voglia mettere sotto un unico grande manifesto programmatico le opere e i giorni di questo nuovo arco di storia. Per noi credenti, comunque, la giornata della pace non può essere un rito celebrativo. Se non ci scomoda, se non ci fa stare sulle spine, se non ci induce a salire sulle barricate, se non ci sollecita a scelte che costano, se non ci procura il sorriso o il fastidio di qualche benpensante, sarà solo l’occasione per una risciacquata di buone emozioni.

Gravi situazioni di non pace sono presenti nel mondo. Le logiche di guerra imperversano ancora, anche se dai campi di battaglia hanno traslocato sui tavoli di un’economia che penalizza i poveri. La corsa alle armi, nonostante i segnali positivi lanciati da tanta gente di buona volontà, non accenna a fermarsi. La militarizzazione del territorio è ancora costume consolidato. La connessione tra malavita internazionale, commercio di armi e commercio di droga si fa sempre più oscena. La   violazione dei diritti umani, espressa a volte su popoli interi, continua a turbarci. Il degrado ambientale, oltre a preoccupare per il futuro gravido di incubi, ci fa cogliere in positivo i nodi che legano pace, giustizia e salvaguardia del creato. Così ogni operazione di guerra e ogni violazione della giustizia si tramutano in allucinanti serbatoi di paure cosmiche.

Di fronte a questo quadro, il lamento deve prevalere sulla danza? No, nel modo più assoluto. Bisogna però prendere posizione. La giornata della pace deve provocare all’esodo, alla vera transumanza (trans humus = passaggio da una terra all’altra), richiesta alla nostra coscienza cristiana. Perciò lo studio sui temi della nonviolenza attiva e l’assunzione della difesa popolare nonviolenta come modulo che assicura la convivenza pacifica tra i popoli, devono diventare proposito concreto da esprimere tutto l’anno.

 

La benedizione

Due segni fanno prevalere la speranza sulla tristezza dei presagi.

II primo è il volto del Padre. Il Signore ci aiuterà. Imploriamolo con la preghiera. Se egli farà «brillare il suo volto su di noi» (Nm 6, 25), non avremo bisogno di scomodare gli oroscopi per pronosticare un futuro gonfio di promesse. Tutto questo significa che dobbiamo camminare alla luce del suo volto e, riscoperta la tenerezza della sua paternità, impegnarci una buona volta nell’osservanza della sua legge. E il secondo è il grembo della Madre. Tutti i nostri buoni propositi prenderanno carne e sangue se saranno gestiti nel grembo di Maria. È il luogo teologico fondamentale, dove i grandi progetti di salvezza si fanno evento.

II figlio della pace ha trovato dimora in quel grembo duemila anni fa. Oggi è solo in quel grembo che avrà concepimento e gestazione la pace dei figli. Per cui la festa di Maria madre di Dio, mentre ricorda le altezze di gloria a cui la creatura umana è stata chiamata, ci esorta anche a sentirci così teneramente figli di lei, da riscoprire in quell’unico grembo le ragioni ultime del nostro impegno di fratellanza e di pace.

 

(Don Tonino Bello, Avvento. Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007, 85-90).

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

o serviti di:

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.

G. TURANI, Avvento e natale 2011. Sarà chiamato Dio con noi. Sussidio liturgico-pastorale, San Paolo, 2011.

– Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, a cura di Enzo Bianchi et al., Milano, Vita e Pensiero, 2005.

– La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

– J.B. METZ, Avvento-Natale, Brescia, Queriniana, 1974.

– E. BIANCHI, Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore, Milano, Rizzoli, 21999.

– T. BELLO, Avvento. Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.

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