Nuovo allestimento e il primo catalogo generale
Tra sacrestie e ripostigli con il fiuto di Indiana
di ARABELLA CIFANI e FRANCO MONETTI
Il Museo diocesano di Torino fu inaugurato l’11 dicembre 2008 dall’arcivescovo cardinale Severino Poletto. Quel felice evento rappresentò il punto di arrivo di un iter lungo e complesso, scandito da tappe precise: dalla formazione del primo gruppo di studio, sorto nel lontano febbraio 1971, all’indagine di fattibilità del progetto, iniziata nel 1997, sotto la guida dell’allora arcivescovo cardinale Giovanni Saldarini, con il sostegno e l’incoraggiamento di monsignor Francesco Marchisano, all’epoca presidente della Pontificia commissione per i Beni culturali della Chiesa. Fino alle tappe fondamentali del progetto preliminare del 24 ottobre 2001, redatto dall’architetto Maurizio Momo, e della sua seguente realizzazione.
L’acquisizione di nuove opere, donate o concesse in prestito da parrocchie, confraternite, enti religiosi e privati, avrebbero poi indotto ad ampliare la collezione museale con il nuovo percorso di visita, inaugurato il 29 marzo 2010 in occasione della quindicesima ostensione solenne della Santa Sindone.
Il Museo diocesano è stato pensato e realizzato – da sempre, si può dire – come luogo di testimonianza della storia culturale e religiosa della comunità torinese. Non si tratta infatti soltanto di un deposito di opere d’arte, ma – come rileva monsignor Cesare Nosiglia, attuale arcivescovo di Torino – del “luogo della memoria, che racconta la vita della comunità attraverso il linguaggio dell’arte”. Il Museo diocesano aiuta a ripercorrere la storia della Chiesa di Torino “dalle origini ai giorni nostri, come i recenti restauri hanno evidenziato: dalle testimonianze della prima basilica cristiana con l’annesso battistero – edificati nella seconda meta del IV secolo dal protovescovo di Torino, san Massimo – all’avvento dell’architettura rinascimentale con il nuovo duomo, edificato dal cardinale Domenico della Rovere nel 1498, fino alle successive trasformazioni per la realizzazione della Cappella della Sindone”, a opera del grande architetto teatino Guarino Guarini e la sua destinazione a luogo di sepoltura dei Savoia e dei vescovi della città di Torino.
È sorto con un progetto architettonico unitario e definito, con il ricupero dei grandi spazi liberi nella parte inferiore del duomo, sotto il quale si sono ritrovati anche, in seguito a diverse campagne di scavo nel corso del tempo, notevoli e importanti resti e cimeli delle tre antichissime basiliche della Torino dei primordi del cristianesimo dedicate al Santissimo Salvatore, a san Giovanni Battista, patrono principale della città, e alla Vergine Maria: in sostanza del cuore cristiano della città di Torino, che alla chiesa cattolica ha dato molto – come è ben noto – anche attraverso i suoi grandi santi sociali nell’Ottocento e Novecento.
Negli spazi ricuperati sono stati raccolti capolavori di pittura, scultura, oreficeria e tessili provenienti da numerose chiese della diocesi, dove si trovavano in disuso o in pericolo di rovina, dispersione o furto. Si può ben dire che il museo sia nato per la fattiva collaborazione di tante comunità diocesane che ne hanno compreso il profondo significato non solo a livello storico e artistico, ma soprattutto sul piano religioso e catechetico. Le raccolte si articolano in diverse sezioni. La sezione battesimale è incentrata attorno al rinascimentale Fonte e alla serie dei dipinti cinquecenteschi. La sezione mariana invece ha al centro una splendida Annunciazione del grande pittore di corte Vittorio Amedeo Rapous (1729-1800): capolavoro della pittura settecentesca italiana. La sezione della “Parola” significativamente rappresentata da oggetti di uso liturgico quali il meraviglioso Leggio da altare di scuola del celeberrimo ebanista Pietro Piffetti (1701-1777). Al centro del museo è stato allestito un altare di forme tridentine arredato con oggetti e paramenti di squisita fattura tra i quali si annoverano alcuni tessili e broccati di provenienza lionese di grandissima bellezza, rarità e importanza. La quadreria del museo presenta tavole quattrocentesche e tele dal Cinquecento al Settecento: sono opere spesso inedite che testimoniano della qualità della pittura piemontese attraverso i secoli ed insieme della religiosità di tutta la diocesi torinese. A corona, seguono numerose vetrine, che contengono argenterie importanti per la storia dell’oreficeria piemontese ed italiana. Primeggia un magnifico Calice seicentesco proveniente dalla parrocchia di Osasio (Torino), ritrovato fortunosamente in una intercapedine dove era stato nascosto da un padre cappuccino al tempo della rivoluzione e dell’invasione francese in Piemonte. Di particolare significato per la storia di Torino e dalla sua religiosità, il Dossale d’argento di Paolo Antonio Paroletto, argentiere attivo Torino dal 1736: in esso è raffigurato il momento culminante del celebre miracolo eucaristico di Torino, con il vescovo supplice che accoglie nel calice l’ostia raggiante sospesa su una folla in preghiera. Completano la sezione dell’argenteria una serie di ostensori e di calici realizzati fra Seicento e Ottocento, di fattura spesso raffinatissima.
Gli oggetti esposti sono stati selezionati dalla solerzia e dall’intelligenza di don Natale Maffioli, salesiano, una sorta di Indiana Jones in abiti religiosi che ha, a suo tempo esplorato sacrestie, ripostigli di chiese e confraternite della diocesi, proteso alla ricerca e al ricupero delle testimonianze artistiche più autorevoli e significative. Sotto la direzione assidua e puntuale di don Luigi Cervellin, incaricato dei beni culturali della Diocesi. Gli oggetti scelti sono stati esposti secondo l’allestimento curato dagli architetti Maurizio e Chiara Momo.
Mancava finora, a corredo del museo, un esauriente catalogo, che ne spiegasse e ne portasse al pubblico le positive valenze. E finalmente lunedì 28 novembre 2011 uscirà anche il primo magnifico catalogo del Museo. L’opera si avvale, nella prima parte, di studi specifici curati da Giancarlo Santi, sul museo diocesano come strumento privilegiato per attuare il progetto culturale ed educativo della diocesi; da don Luigi Cervellin, sulla storia del museo stesso dal suo iniziale progetto all’allestimento; da Maurizio e Chiara Momo, sulla fabbrica inferiore del duomo di Torino e sull’allestimento museale; da Marco Aimone, sull’insula episcopalis del Salvatore; da Paolo Fiore, sulla collezione lapidaria; e infine da Luisa Clotilde Gentile, sulle testimonianze araldiche rinascimentali.
Seguono le schede scientifiche, che illustrano le opere presentate nel museo, alla redazione delle quali hanno concorso importanti studiosi con saggi e ricerche mirate: Arabella Cifani e Franco Monetti, Natale Maffioli e Luca Mana; e ancora: Lidia Martinelli ed Enzo Omegna, Lorenza Santa e Carlotta Venegoni. Per l’occasione verrà esposta anche la bella tela, splendidamente restaurata, della Presentazione di Gesù al Tempio di Vittorio Amedeo Rapous, proveniente dalla chiesa della Confraternita del Gesù di Villafranca Piemonte.
“Nella nostra società caratterizzata dal linguaggio dell’immagine – ha opportunamente sottolineato monsignor Nosiglia – il Museo diocesano svolge un ruolo importante per lo studio e la conoscenza del nostro territorio, profondamente connotato dalle radici cristiane, come pure una insostituibile funzione culturale e didattica nel processo di trasmissione degli irrinunciabili valori umani e cristiani: la bellezza, l’amore, la trascendenza. L’arte, infatti, è un prezioso antidoto alla violenza, alla sciatteria e alla volgarità, che deturpa ambienti e rapporti umani, nello stesso tempo educa al Mistero. Ammirando i capolavori di numerosi pittori, artisti e scultori si impara a vedere la realtà con occhi nuovi, che alimenta “il gusto per la bellezza e lo stupore per il mistero di Dio” (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 41)”. Non sono queste solo constatazioni seriali, ma si tratta di un vero impegno di miglioramento personale con la sicurezza di avere in mano un efficace strumento educativo che affonda le proprie radici nella storia delle grandi comunità cristiane del passato di Torino da cui trarre linfa sempre nuova.
(©L’Osservatore Romano 27 novembre 2011)