“Il presidente ha ragione bisogna ripensare la legge o siamo destinati al declino”:
intervista ad Andrea Riccardi, a cura di Marco Ansaldo.
«Sì, il presidente Giorgio Napolitano ha ragione: c’è la possibilità di riprendere in mano le politiche sull’immigrazione. E dunque occorre ripensare la legge sulla cittadinanza. Perché l’integrazione è un tema centrale di quest’epoca. Lo faremo, allora, nell’interesse del Paese, della generazione dei bambini immigrati e delle loro famiglie».
Per Andrea Riccardi è un periodo davvero intenso. Citato pubblicamente ieri dal capo dello Stato per l’importanza del nuovo ministero che gli è stato affidato, ma anche elogiato da un ministro del passato governo (Gianfranco Rotondi, il quale ha detto che lo storico della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant’Egidio «ha una bella storia personale»), sa di avere dietro di sé anche l’attenzione del Vaticano e dello stesso Pontefice, che lo conosce bene e lo stima. Riccardi allora si schernisce, e si dice ancora «scombussolato» per la chiamata del premier Mario Monti a partecipare al nuovo esecutivo in un ruolo chiave, benché senza portafoglio. E tuttavia «felice» per la nuova avventura.
Lo incontriamo mentre esce dal suo ministero, a Roma, a Largo Chigi.
Il presidente della Repubblica ha parlato di «assurdità e follia» per il fatto che i figli degli immigrati nati in Italia non siano cittadini italiani. È uno dei temi centrali del suo ministero. Che cosa ne pensa?
«Mi sembra che il capo dello Stato abbia dato – per la seconda volta nel giro di pochi giorni – un contributo al ripensamento dell’identità italiana. Ponendo l’accento sull’importanza di sapere chi siamo e dove andiamo. Un argomento decisivo».
Perché?
«Intanto perché giunge nell’anniversario dei 150 anni dell’unità d’Italia. Proprio quest’anno i giovani hanno potuto riscoprire le loro radici, direi con un orgoglio maturo».
E poi?
«Perché ha posto il problema dei nuovi italiani e fatto cenno alla legge che porta il suo nome, la Turco-Napolitano del 1998, che segnala un percorso per stabilizzare gli stranieri, seguendo una logica che va dal momento dell’emergenza a quello della stabilizzazione del fenomeno».
Però oggi le prospettive sono diverse.
«Sì, lo sono perché ora abbiamo un popolo di bambini che sono figli di immigrati. I nati in Italia giuridicamente stranieri superano il mezzo milione. E i minori residenti sono quasi un milione.
Insomma, parlano l’identica lingua, vedono i medesimi paesaggi, vivono la stessa storia, sono legati al nostro mondo. Senza di loro l’Italia sarebbe più vecchia e con minori capacità di sviluppo».
Qual è la sua intenzione allora?
«Occorre ripensare la legge sulla cittadinanza. Questo proprio perché abbiamo fiducia nella nostra identità. Che è forte e al tempo stesso flessibile. Capace di integrare».
Un obiettivo ambizioso. Ma non vede dei rischi?
«Io piuttosto vedo convergere in questo progetto, come nelle grandi scelte della politica, l’identità nazionale con l’interesse nazionale. E anche con l’interesse dei soggetti in questione, cioè i bambini e le loro famiglie».
In quanto fondatore di Sant’Egidio è un argomento a lei caro. Non si attirerà però delle critiche?
«Veramente, e lo dico in modo assolutamente modesto, sono anni che auspico che questo tema sia trattato in modo ragionevole, legale, e soprattutto umano. Prima di ricevere questo incarico avevo già deciso di parlare di integrazione. Lo faccio ora a maggior ragione».
E dal punto di vista storico come lo considera?
«Credo che il tema dell’immigrazione sia importante tanto quanto la questione dei confini nell’Otto- Nocevento. E andrebbe affrontato perciò in modo preveggente, freddo e ragionevole».
Si dice che l’Italia abbia una società invecchiata, se non addirittura sclerotizzata. Ma è davvero così?
«Beh, sul tema dell’immigrazione ci si gioca sul serio il futuro, e la possibilità di acquisire nuove energie. L’integrazione è un passaggio importante. Gli stranieri ringiovaniscono il Paese. È una grande possibilità per il domani. E per tutti i cittadini italiani».
Napolitano ieri ha ricordato il significato della sua nomina a ministro, citando «l’integrazione nella società e nello Stato italiano». Un invito chiaro a puntare su questo aspetto?
«Io sono grato che Napolitano abbia fatto cenno al mio ministero. Anzi confesso che non sono ancora abituato a pronunciare questa parola, sono ancora fresco di nomina. Ma credo che rappresenti un segnale per affrontare la questione in modo non partigiano».
Documentazione
- Appello per una società interculturale! di Les Assises Nationales de la Diversité Culturelle in www.temoignagechretien.fr del 19 novembre 2011 (nostra traduzione)