Il film d’esordio di Francesco Bruni, già vincitore del veneziano “Controcampo italiano”, punta su un cinema di scrittura. Una commedia in bilico tra romanzo di formazione e riflessione satirica che celebra l’incontro fra generazioni e culture
«Li osservo questi uomini, educati ad altra vita che la mia: frutti d’una storia tanto diversa, e ritrovati, quasi fratelli, qui, nell’ultima forma storica di Roma». Ve li sareste mai immaginati i versi di Pasolini in bocca a un boss della malavita (Vinicio Marchioni) che infligge ai suoi sottoposti i 400 colpi di Truffaut e i quadri di Schnabel perché da ragazzo, all’istituto tecnico, ha avuto un professore che gli ha insegnato l’amore per l’arte?
È quel che accade in Scialla!, film esordio di Francesco Bruni, storico sceneggiatore di Virzì (tutti i film), Calopresti, Ficarra e Picone, già vincitore del veneziano “Controcampo italiano”. E non è l’unica bella sorpresa. Costantemente in bilico tra romanzo di formazione e commedia satirica, Scialla! celebra un incontro fra generazioni e culture, dall’evidente valore simbolico. Un padre e un figlio che i casi della vita hanno separato per quindici anni e che improvvisamente devono fare i conti ognuno con l’esistenza dell’altro.
Bruno (Fabrizio Bentivoglio), una sorta di Big Lebowski all’italiana, è un professore disilluso imbevuto di spleen che si è messo a scrivere biografie di calciatori e porno-star e Luca (Filippo Scicchitano) un ragazzino irruento, ignorante e distratto ma pieno di spudorato ottimismo e a suo modo vitale e irriverente. La convivenza forzata, inizialmente problematica e conflittuale renderà migliori entrambi.
I padri, dice Francesco Bruni dovrebbero superare la paura di rappresentare «il limite, il principio di autorità, l’esempio, l’insegnamento». Bruni gioca col gergo adolescenziale e gli immaginari della cronaca con tocco lieve e maturo puntando su un cinema di scrittura che dosa i suoi ingredienti con semplicità. “Scialla” non è solo un titolo ma anche un manifesto programmatico: «in fondo volevo fare una commedia “scialla”, cioè semplice, rilassata», ci spiega il regista.
Nel film si ride molto ma capita anche di emozionarsi, come quando Luca si carica sulle spalle Bruno, ovvero il figlio si prende cura del padre. È l’immagine di Enea che presta soccorso al vecchio padre Anchise che il ragazzo, non cogliendo l’affettuosa metafora, continua a chiamare Ascanio ma è anche l’immagine di un rinnovamento sociale in cui i giovani tornano ad essere una risorsa e i vecchi guariscono dalla sindrome di Peter Pan ammettendo le loro debolezze.
di Stefania Pala
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