Alla fine ciò che determina il valore di un essere umano è il metodo, più che i contenuti della mente o le azioni compiute dalle mani. A dire chi siamo e a conferire la nota dominante alla nostra personalità è il metodo con cui guardiamo e affrontiamo la vita. Il Meridiano dedicato da Mondadori al cardinale Carlo Maria Martini raccogliendone gli scritti principali è, innanzitutto, un solenne discorso sul metodo.
Il metodo di Martini si chiama “lectio divina”. In verità nel mondo reale noi possiamo leggere solo ciò che vediamo, quindi solo ciò che per definizione non è divino, come i testi scritti dagli uomini o i fenomeni naturali. Se si giunge a parlare di lectio “divina” non è quindi per l’oggetto materiale che viene letto, il quale è e rimarrà sempre del tutto umano nella misura in cui può essere colto dall’occhio, letto e compreso. Se si parla di lettura “divina” è piuttosto per l’intenzionalità che guida chi legge, un’intenzionalità che proviene dalla profondità dell’uomo interiore dove, diceva Agostino, “habitat veritas”. La lettura del reale è così definibile come “divina” quando legge il mondo alla luce della realtà ontologica e assiologia sottesa al concetto di Dio, quando cioè lo legge con la convinzione che la realtà prima e ultima sia il bene, o la bellezza, l’amore, la giustizia, tutti modi differenti per dire la medesima cosa. Da questa intenzionalità proveniente dalla profondità spirituale sorge, in alcuni, ciò che la tradizione spirituale chiama “lectio divina” del reale. Praticare e insegnare questo metodo è stato a mio avviso il lavoro peculiare della vita e del magistero di Carlo Maria Martini.
Lungo la sua vita egli ha letto il mondo umano come un testo da interpretare alla luce delle promesse divine attestate dalla Bibbia e prima ancora scolpite nell’anima di ogni giusto. In particolare ha letto quella caratteristica del tutto peculiare del mondo umano che si chiama “città”, e non a caso il Meridiano è suddiviso nelle sue tre grandi parti con i nomi delle tre città della vita di Martini: Roma, Milano, Gerusalemme. In questa prospettiva egli ha praticato anzitutto un’onesta attenzione analitica (nel suo lessico: discernimento), rispettando sempre le singole individualità senza mai ricondurle a formule generiche. Ne parlo per esperienza personale, avendo avvertito i suoi occhi posarsi tranquilli per capire il fenomeno, senza voler sapere già la soluzione e senza voler incasellare ciò che gli stava davanti in schemi preconfezionati, dottrinali o pastorali che fossero. Mai, in Martini, il dogma ha prevalso sulla vita reale, mai la lettera ha ucciso lo spirito, ed è in questa prospettiva che vanno lette le sue illuminate prese di posizione in campo bioetico, assunte pubblicamente una volta che non fu più arcivescovo di Milano ma da sempre coltivate dentro di sé, così diverse dalla gelida intransigenza di altri prelati. E se c’è un limite alla selezione operata dal Meridiano è proprio l’aver trascurato questi testi. Le posizioni bioetiche, così come quelle teologiche delle Conversazioni notturne a Gerusalemme, sono la logica conseguenza del primo elemento del metodo martiniano di approccio al reale, teso a custodire il singolo fenomeno in tutta la sua complessità e fragilità. In questo senso Martini è un esempio tra i più limpidi del cattolicesimo liberale e non-dogmatico, riassunto alla perfezione dal suo motto episcopale: «Pro veritate adversa diligere».
Il secondo momento del metodo martiniano di lettura divina del reale consiste in ciò che si potrebbe laicamente definire immaginazione creatrice, ovvero capacità di saper prevedere e favorire il grado di evoluzione del fenomeno. Il criterio-guida di tale immaginazione creatrice è il bene qui e ora, il massimo del bene qui e ora che da un singolo essere umano o da una singola situazione è possibile far scaturire. Ognuno di noi infatti contiene di più di quello che appare in superficie. Lo stesso vale per le istituzioni e i sistemi. Ogni cosa contiene di più di ciò che appare in superficie. La “lectio divina” del reale è un’arte maieutica che sviluppa le potenzialità umane e spirituali alla luce della sapienza e della profezia divina. Non è l’ideologia politica o dottrinale che schematizza e incasella i fenomeni in una direzione prefissata, neppure però è un atto notarile che registra ciò che appare premiando chi ha e punendo chi non ha, com’è tipico di ogni prospettiva conservatrice. La “lectio divina” legge il fenomeno concreto alla luce delle esigenze e delle potenzialità divine e tende a suscitare in esso una risposta pratica, concreta, operosa. La finalità della lettura divina del reale infatti è sempre pratica, è l’azione, il lavoro, la caritas. Si piega sul fenomeno ma non vi si appiattisce, piuttosto lo innalza, lo eleva sollecitando la sua libertà al di più che può dare, e che già contiene in sé.
Ne viene una singolare combinazione di analisi oggettiva e di carica utopica, di adesione al presente e di slancio verso il futuro, nella quale il primo momento è più freddo e riguarda la mente, il secondo è più caldo e riguarda la volontà, con il cuore e le mani chiamati a porsi in empatia col fenomeno e a sostenerlo facendolo camminare e indicandogli la direzione. Il metodo-Martini in quanto “lectio divina” sgorga da questo duplice movimento della mente e del cuore. Tale metodo riproduce esattamente il metodo di Gesù quale appare nei Vangeli, come quando per esempio il rabbi di Nazaret rifiutò di applicare la lapidazione per la donna sorpresa in adulterio come prescriveva la Legge (oggi diremmo il Codice di diritto canonico) e però al contempo le disse “non peccare più”, senza cadere nella nebbia nichilista di un al di là del bene e del male.
L’attenzione al singolo è sempre più importante delle norme generali, ma con la finalità di sollecitarlo verso il puro e severo ideale della fedeltà al bene e alla giustizia.
Tutto questo significa proporre un modello di fede cristiana funzionale al mondo. Ciò appare in modo chiaro nel tipo di preghiera che Martini privilegia, che non è la preghiera di pura lode come vuole la classica mentalità religiosa, ma è la preghiera di intercessione, che per Martini è la preghiera per eccellenza in quanto riproduce il movimento fondamentale del Dio biblico, cioè la comunione e l’alleanza col mondo. Vi sono tradizioni che ritengono di raggiungere il vertice dell’esperienza spirituale quanto più trascendono il mondo. Non così la Bibbia e la tradizione giudaico-cristiana, che vive invece della comunione Dio-Mondo, una comunione non statica ma dinamica, per meglio dire dialettica, in quanto vive tale rapporto come compiutezza nel momento della sapienza e come incompiutezza nel momento della profezia, come “già e non-ancora”.
Sapienza e profezia sono le due anime speculative della spiritualità ebraica e Martini, che ama Israele e che non è pensabile senza il suo legame con Gerusalemme, le riproduce perfettamente nella sua visione cristiana. Egli non ha mai cessato di sostenere che senza un organico legame con l’ebraismo non si dà cristianesimo autentico.
Il tutto, come si accorgerà il lettore del Meridiano, con uno stile che privilegia la chiarezza e la semplicità. Martini infatti ha fatto sempre uso della sua grande intelligenza e della sua vasta preparazione nella direzione della semplicità, risultando un uomo che diffonde umiltà e mitezza.
Proprio come il suo Maestro, che un giorno definì se stesso “mite e umile di cuore”.
in “la Repubblica” del 26 ottobre 2011