In un momento in cui tutto sembra spingerci a concentrare la nostra attenzione sui problemi interni del nostro Paese, vorrei puntare il riflettore sull’orizzonte della mondialità. Questa scelta non è dovuta solo al fatto che la crisi che attraversiamo ha radici globali, connessa com’è ai rapporti d’interdipendenza economica e politica che condizionano la vita del pianeta, ma anche e soprattutto alla constatazione che il “rinnovamento etico” di cui ha parlato Benedetto XVI riferendosi all’Italia e di cui abbiamo immenso bisogno non potrà realizzarsi senza la consapevole assunzione delle nostre responsabilità nei confronti della grande casa del mondo e di quanti in essa vivono spesso in condizioni di sub-umanità, per lo più dimenticati da tutti. Vorrei richiamare tre profili essenziali della rilevanza etica e politica della mondialità: i stili di vita e il loro impatto sull’ambiente; il rilievo dell’Italia nel sistema politico ed economico mondiale; i nostri doveri di solidarietà verso i più deboli del pianeta.
La riflessione sugli stili di vita merita un’attenzione prioritaria quando si parla di mondialità: la consapevolezza che una maggiore sobrietà nei consumi, un uso più attento delle risorse fondamentali e un’educazione alla responsabilità ecologica siano decisive per il futuro comune, è certamente cresciuta in questi anni. La rete delle comunicazioni e l’impatto psicologico di disastri ambientali su vasta scala – dal petrolio nell’oceano alle contaminazioni radioattive di Chernobyl e Fukushima – ci hanno reso più vigili nella scelta delle mete su cui puntare in campo energetico, delle prassi da seguire nell’organizzazione della nostra vita quotidiana e nella percezione della gravità dei ritardi e degli inceppamenti nella filiera dello smaltimento e del riutilizzo dei rifiuti, che quotidianamente la nostra vita associata produce.
Meno evidente è il dovere di curarsi di tutte queste problematiche non solo egoisticamente per star noi meglio, ma anche per migliorare la casa comune di tutti, a livello locale come a livello planetario. Un’educazione all’ecologia ambientale e umana appare sempre più urgente, come risulta non meno importante una spiritualità ecologica, che attinga al dovere originario di custodire il giardino affidato dal Creatore alla creatura la maturazione di pratiche virtuose personali e collettive nei riguardi dei consumi, della nutrizione, del rispetto della natura, della promozione della vita e della qualità della vita per ogni essere umano, in tutte le fasi del suo sviluppo.
Non meno alta occorre poi mantenere l’attenzione sul rilievo internazionale del nostro Paese. Va detto con onestà che se l’Italia piange in questo campo, l’Europa non ride: l’Unione europea ha risposto per lo più in ordine sparso, spesso in ritardo e senza slanci, alle emergenze che si sono profilate sulla vasta scena del mondo, incapace – come ha affermato il cardinale Bagnasco nella prolusione al Consiglio permanente dei Vescovi italiani il 26 settembre scorso – «di esprimere una visione comunitaria inclusiva dei doveri propri della reciprocità e della solidarietà». A loro volta, le risposte del nostro Paese alle situazioni di crisi sono sembrate spesso improvvisate, nell’assenza di una vera sinergia con gli altri Paesi dell’Unione, com’è accaduto davanti all’emergenza dell’immigrazione via mare, o con tentennamenti che hanno portato a esiti discutibili, come si è visto nella drammatica vicenda bellica in Libia, dove uno spietato dittatore, prima osannato – perfino con effetti “teatrali” -dalla nostra classe politica, è stato poi indicato con vertiginosa evoluzione come nemico ingombrante e pericoloso. Occorre inoltre ammettere – come dimostrano alcune copertine di media internazionali o titoli di testate leader nei vari mondi linguistici – che «stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica», praticati da alcuni nostri rappresentanti sulla scena internazionale, hanno avuto effetti fortemente negativi: come ha ancora affermato il cardinale Bagnasco, essi non solo «ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune», ma fanno sì che «l’immagine del Paese all’esterno venga pericolosamente fiaccata”. Quanto avremmo bisogno di autorevolezza morale e politica e di credibilità internazionale! Quanto è urgente individuare persone affidabili che si gettino nella mischia per spirito di servizio e passione civile e non per proprio interesse e vantaggio!
Ai doveri di solidarietà verso i più deboli del pianeta, infine, dovrebbero richiamarci le gravi emergenze in atto, fra le quali basti segnalare la fame nel Corno d’Africa. Nella sua antica esperienza, la Chiesa dedica in particolare il mese di ottobre a risvegliare l’attenzione e l’impegno per l’azione missionaria, che -proprio in quanto si pone al servizio della buona novella dell’amore di Dio per tutto l’uomo e per ogni uomo – è spesso anzitutto impegno di promozione umana e di soccorso a chi versa in drammatiche situazioni di bisogno e di non umanità. Nei media, per lo più, i riflettori vengono puntati sulla gravità delle urgenze solo in alcune fasi e per ragioni contingenti di cronaca o di interesse politico. Perfmo nelle maggiori testate giornalistiche è difficile riscontrare un’attenzione costante a questi problemi, che funga da stimolo critico e da strumento di coscientizzazione ai doveri della solidarietà. A volte si ha la sensazione di.muoversi in orizzonti privi di colpi d’ala, segnati dall’indifferenza di fronte ai mali di chi ci è geograficamente lontano, e che spesso patisce le conseguenze negative di un ordine economico internazionale di cui al contrario noi beneficiamo. È utopia pensare a un’etica della comunicazione che responsabilizzi ai doveri della solidarietà internazionale, e ci faccia sentire cittadini del “villaggio globale”, tale non solo nella rete delle informazioni e degli interessi, ma anche nell’attenzione ai bisogni dei più deboli e agli interventi in loro favore? È ambizione vana sognare un Paese dove la mondialità sia avvertita diffusamente come interrogativo sui nostri stili di vita e stimolo a una condivisione che raggiunga i più lontani bisogni della famiglia umana nell’unica grande casa del mondo? Chi può farlo s’impegni a restituire al Paese una simile attenzione e contribuisca a mettere al servizio di tutti nel villaggio globale le potenzialità della nostra storia, della cultura e dell’arte italiana, del patrimonio spirituale da cui veniamo, che ci caratterizza ben più profondamente degli squallidi comportamenti che hanno occupato le prime pagine lei giornali in queste settimane.
Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto
in “Il sole 24 Ore” del 2 ottobre 2011