De Rita: “È ora, un cattolico torni a guidare il Paese”
intervista a Giuseppe De Rita, a cura di Fabio Martini
in “La Stampa” del 30 settembre 2011
Ma davvero la Chiesa italiana sta preparando un’Opa sul futuro centrodestra? Giuseppe De Rita sorride: «I tempi della Chiesa e del mondo cattolico sono molto lenti. In queste settimane sembra che siano in atto delle accelerazioni, ma è in corso una ruminazione», eppure alla fine di questo pensamento il fondatore del Censis, che sarà uno dei relatori del convegno di Todi promosso dalla Cei, pone un traguardo ambizioso: è ora che un cattolico, un giovane cattolico, torni alla guida del Paese. Classe 1932, fondatore del Censis, De Rita da 40 anni è lettore profetico della realtà sociale, ma anche un cattolico liberale che ha sempre seguito con attenzione le vicende della Chiesa.
Nell’ultima prolusione il cardinale Bagnasco lascia capire che la Cei intende star dentro la stagione che si aprirà con l’uscita di scena di Berlusconi: è così?
«La Chiesa sta ruminando la fine di tre cicli. La conclusione del ciclo berlusconiano. Quella di un centrodestra che non è riuscito ad essere un vero centrodestra, dal mercato ai valori. E rumina anche la fine del ciclo della soggettività, che certo ha creato grandi cose – la piccola industria, il lavoro indipendente e professionale, tutto il “fai da te” italiano – ma ha generato anche il soggettivismo etico: ciò che deprime, asciuga comportamenti e valori».
Ruminare per arrivare dove?
«Non se ne uscirà, dicendo: fate il partito cattolico che tutto risolve. Il mondo cattolico non è un mondo unitario, perché comprende la dimensione ecclesiale e parrocchiale, una realtà di grandi associazioni categoriali e poi c’è quella decina o centinaio di persone che fanno politica in senso professionale che però rappresentano sempre meno gli altri mondi, come facevano i politici democristiani. Tutto questo meccanismo non è ancora in grado di esprimere una linea politica. Ma in due anni sono stati fatti molti passi avanti. Tre anni fa non sarebbe stato possibile neppure fare Todi: per farlo bisognava chiedere il permesso a Bertone. Invece lo si farà e con una grande partecipazione».
E’ finita la stagione nella quale la Chiesa faceva lobby per questa o quella legge?
«Io non ho mai amato la Chiesa che fa lobby però quando nel 1994 saltano tutti gli equilibri, alla fine hanno detto: vediamo quali sono gli interessi. Ruini l’ha illustrata come una svolta di cultura ed era una svolta di lobbismo, ma non è stato un errore grave, perché sarebbe rimasta soltanto una Chiesa di testimoni, di gente che non voleva sporcarsi le mani».
Si dice: esce Berlusconi e la Cei favorirà la nascita di un nuovo partito più vicino alla Chiesa…
«Non è detto che i cattolici italiani, ruminando, si trovino alla fine nel Ppe. Ma penso che l’unica possibile collocazione dei cattolici sia nel centrodestra. Non è soltanto un posizionamento tattico,
perché lì c’è da prendere l’eredità di Berlusconi, ma per effetto di un rapporto costante con la società, i cattolici sono sempre stati una parte moderata».
Nel Pd l’amalgama non è riuscita? Le pare che i cattolici, se non facevano come certi leader dei partiti contadini dell’Est, rischino di finire un po’ emarginati?
«Quelli della sinistra cattolica, da Mattei a De Mita, erano moderati che guardavano a sinistra. Ma se tu li metti in un partito che non può dichiararsi moderato, o fanno casino, o fanno prevalere le posizioni personali: da Bindi a Franceschini, da Letta a Fioroni, non riescono ad avere una posizione comune non solo per protagonismo ma perché non è possibile avere una posizione di sinistra cattolica».
Cosa spera che prenda corpo da tutto questo nuovo fermento?
«In Italia abbiamo avuto, oltre a quella cattolica, due grandi eredità fondanti: quella laicorisorgimentale, espressa da Ciampi; quella comunista che è stata portata dentro la cultura e l’identità italiana da Napolitano. Gli ultimi due Presidenti esprimono identità del passato. Ciò di cui l’Italia ha bisogno non è un Presidente cattolico od ex Dc in quanto tali, ma che faccia identità in avanti. Un cattolico di 40-45 anni. Se la Chiesa si mettesse in testa una cosa di questo genere potrebbe dire: guardate, noi non c’entriamo, quel che conta è l’identità nuova, la cultura fondante del futuro dell’Italia e chi la impersonerà. Questa è una buona carta per ricominciare a far politica».
Il mondo cattolico alle prese con il nuovo
di Marco Follini
in “Corriere della Sera” del 1° ottobre 2011
Caro direttore, come attesta anche il confronto avviato sulle colonne del Corriere della Sera i cattolici hanno avuto meriti straordinari nella storia repubblicana. Sono stati i democristiani a dare l’impronta più profonda alla nostra democrazia e ad incamminare il nostro Paese lungo un percorso di modernità. Meriti che le cronache non proprio esaltanti degli ultimi anni fanno rifulgere perfino di più.
Tutti questi meriti bastano a far pensare che a una nuova generazione di politici cattolici sia riconosciuto, non dico un privilegio, ma qualche diritto in più in vista dell’opera di ricostruzione del
nostro Paese? Non credo proprio. Non è scritto da nessuna parte che il nostro futuro debba somigliare al nostro passato, né che i discendenti di quella storia tanto gloriosa abbiano la strada spianata davanti a sé.
Occorre semmai ricordare che l’affermazione del movimento politico dei cattolici avvenne nel dopoguerra sotto il segno di due condizioni assai particolari. La prima condizione fu che quel movimento si presentò con un’idea ben precisa di come il Paese dovesse modellarsi. Tutto il lavoro di elaborazione che quella generazione aveva svolto (il codice di Camaldoli) aveva dentro di sé un’anima, una visione. Era un progetto lungamente e profondamente pensato. La seconda condizione fu che la vittoria era tutt’altro che scontata, e direi neppure prevista. Era un’idea del Paese, appunto, e non un’agenda di governo. Una ricerca libera e sofferta, e non una passeggiata sul tappeto rosso. E quell’idea finì per mettere radici proprio perché il suo valore era nella sua convinzione e non nella sua utilità. O meglio, l’utilità fu resa possibile dalla profondità della convinzione.
Qui sta oggi il punto debole. La nostra generazione non ha ancora prodotto la sua idea. Ci aggrappiamo con gratitudine (e una certa furbizia) ai ricordi che il passato ci lascia in eredità.
Coltiviamo a grandi linee una sensibilità, un’attitudine verso una società inclusiva, verso un potere mite e limitato, verso un’economia sociale di mercato, verso politiche di coesione. Ma non c’è un progetto, non ancora.
Direi che in una parola ci manca largamente la consapevolezza di quanto il mondo sia cambiato in questi ultimi anni, e di quanto il suo cambiamento abbia messo fuori gioco le formule di una volta. Comprese le nostre. È novità la globalizzazione, e con essa l’idea che il nostro Paese debba trovare nella divisione internazionale del lavoro una sua più specifica vocazione. È novità (di queste settimane, se così posso dire) il fatto che nell’economia globale possano fallire gli Stati, cosa mai neppure immaginata prima. È novità il declino di una politica munifica e generosa, di quella sorta di «democrazia della spesa» che ancora oggi fa parte dell’agenda della gran parte di noi. Tutte cose che il nostro stesso dibattito evoca di rado, semmai sfiora appena. E che invece decideranno del destino italiano, e anche del nostro.
Dopo la guerra i cattolici si sono affacciati alla politica promettendo la libertà che il fascismo aveva violato e che il comunismo minacciava, offrendo solidarietà ai ceti più deboli, prospettando la crescita dell’economia e contando che il potere pubblico mettesse a disposizione le risorse per fare tutto questo. Oggi il potere ci garantisce molto meno. È qui la cruna dell’ago in cui dovremo cercare di passare.
ALTRI CONTRIBUTI
- Bersani: con la Chiesa per ricostruire, non per arruolarla di Pier Luigi Bersani in Corriere della Sera del 1 ottobre 2011
- La lettera di 9 pdl a Bagnasco: un messaggio alto è stato stravolto di Maria Antonietta Calabrò in Corriere della Sera del 1 ottobre 2011
- Cattolici dopo Berlusconi di Claudio Sardo in l’Unità del 30 settembre 2011
- Bertone in campo per riannodare il dialogo con il Pdl di Giacomo Galeazzi in La Stampa del 30 settembre 2011
- Il documento di Bagnasco e la mossa del Pd di Marcello Sorgi in La Stampa del 30 settembre 2011
- Ritorno dei cattolici in politica L’inspiegabile silenzio del Pd di Paolo Franchi in Corriere della Sera del 30 settembre 2011
- I gesuiti: perché il cavaliere non lascia? di Gian Guido Vecchi in Corriere della Sera del 30 settembre 2011
“«A proposito di rapporti tra Chiesa e politica. A 75 anni i vescovi danno le dimissioni. E i presidenti del Consiglio?». Il «tweet» di Popoli, mensile