La politica riscopra i valori cristiani

Non è mai stato facile essere un cattolico impegnato in politica se si prendono sul serio i tre termini: «cattolico», «impegnato» e «politica». Ma nella ormai lunga stagione della cosiddetta Seconda Repubblica tutto è sembrato complicarsi ancor di più: non perché è venuto meno il partito dei cattolici, ma perché da quasi due decenni sono stati dimenticati o contraddetti alcuni dati fondamentali che avevano guidato i laici cattolici nel loro servizio alla polis, almeno a partire dalla feconda stagione costituzionale repubblicana. Penso all’autonomia delle scelte politiche, da assumersi rispondendo alla propria coscienza, formatasi alla scuola della dottrina sociale cattolica e alle indicazioni provenienti dai documenti conciliari; o alla perdita di eloquenza dei cristiani adulti, ignorati quando non zittiti o irrisi da chi non perdeva occasione per esprimersi in loro vece; o ancora alla messa in discussione del concetto stesso di attività politica: la mediazione, la negoziazione, la convergenza verso il bene comune che sovente deve accontentarsi di denunciare il male e porvi un limite, scegliendo il bene possibile sempre in obbedienza ai principi della democrazia e della pluralità della società che può esprimersi solo con il criterio della maggioranza.
Ora che le chiare parole della presidenza della Conferenza episcopale italiana – ancora una volta accolte da alcuni come tardive, considerate da altri come interferenze indebite, strumentalizzate  a proprio beneficio da altri ancora – hanno aperto scenari più movimentati, il pensiero di molti commentatori è parso appiattirsi su una sola domanda: si va o no verso un nuovo partito cattolico? Credo che a insistere solo su questo interrogativo si faccia un torto sia ai vescovi, che hanno volutamente mantenuto il discorso in termini prepolitici, sia ad alcuni, pochi invero, laici cattolici che in tutti questi anni non hanno smesso di ricercare una sintesi concreta e affidabile tra la loro fede cristiana e le scelte politiche ed economiche da proporre al Paese intero per una migliore convivenza civile. Questo non nega un’afonia di molti cattolici, incapaci di esprimersi e di mostrarsi come ispirati dal vangelo, non nega la grave incoerenza tra vita politica ed etica cristiana  mostrata da altri cattolici, e soprattutto non nega che molti di essi avrebbero potuto già da tempo uscire dal silenzio con eloquente parresia. Che tristezza sentir confessare solo in questi giorni: «Tre parole in più forse noi cattolici avremmo potuto dirle!».
Il problema è ben più ampio di una scelta di schieramento o di alleanze strategiche: si tratta di una rinnovata assunzione di responsabilità verso la collettività, che tenga conto delle mutate condizioni sociali, economiche, demografiche e storiche in Italia e in occidente, ben lontane dall’essersi stabilizzate. Di fronte alle nuove sfide che la politica in senso alto – cioè la gestione della  polis nel presente con lo sguardo proteso alle future generazioni e la mente memore delle lezioni del passato – pone non solo al nostro Paese ma al villaggio globale di cui ormai siamo parte  consapevole, pare necessario più che mai uno spazio organico di confronto tra cristiani – magari anche non solo cattolici… – in cui cercare di discernere come coniugare le istanze evangeliche con il vissuto quotidiano di una società che ormai è ben lungi dall’essere cristiana nella sua totalità. Un luogo in cui quanti hanno a cuore il bene comune e ritengono di avere delle capacità per servirlo, possano formarsi in vista dell’indispensabile dialogo con chi non condivide le stesse convinzione di fede e dell’altrettanto ineludibile azione comune nella società e per il suo benessere morale e materiale.
Quando il cardinal Bagnasco auspica «un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che – coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita – sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni», dovrebbe essere abbastanza chiaro dalle sue stesse parole che non sta propugnando un partito tanto meno progettando un governo ma, appunto, un interlocutore con la politica: una voce cristiana che, come tale, possa anche manifestarsi articolata e modulata, farsi voce dei senza voce, porre parole e gesti profetici, anche a costo di risultare  sgradita a molti. Da anni segnalo l’esigenza sempre più diffusa tra molti laici cattolici di un «forum», di uno strumento organico dei credenti in cui fare insieme opera di discernimento di  problemi, situazioni critiche e urgenze presenti nella polis, per verificarle alla luce del vangelo e per smascherare al contempo gli «idoli» che sovente seducono anche i cristiani.
Una riflessione che resti tuttavia nell’ambito pre-politico, pre-economico, pre-giuridico: tradurre poi gli aneliti evangelici – realtà ben più esigente dei «valori», a volte così mutevoli nelle loro priorità – in concrete opzioni attraverso leggi e norme spetterà a quanti si impegnano all’interno delle diverse forze politiche, in modo conforme alla propria coscienza, alla storia personale e alla lettura delle vicende che hanno contribuito a rendere il nostro Paese quello che oggi è.
Forse in questo dovremmo essere anche più attenti alle esperienze di altri paesi, europei in particolare, dove la presenza e l’influenza dei cristiani in politica è meno preoccupata di etichette o di certificati di garanzia e più sollecita nell’esprimere i propri convincimenti con un linguaggio e un’azione capaci di essere compresi e condivisi anche al di fuori delle mura confessionali. Non si tratta di ricreare le scuole-quadri, ma di fornire opportunità di riflessione e di formazione di un’opinione il più possibile aderente al messaggio evangelico e al suo farsi carico di ogni essere umano, a partire dal più debole, povero e indifeso.
Sì, per tornare ai tre termini da cui abbiamo preso spunto, il rapporto tra un cattolico e la politica – basato sull’imprescindibile riconoscimento della laicità dello stato – comporta l’impegno, l’assunzione di responsabilità, la scelta consapevole di non ricercare successi o vantaggi personali, di non perseguire privilegi di sorta, nemmeno per conto terzi, ma piuttosto di percorrere giorno dopo giorno, magari mutando il passo e scegliendo nuovi sentieri, il faticoso eppur appassionante «camminare insieme» con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, per il bene anche di chi volontà buona ne ha poca o nulla.

 

in “La Stampa” del 2 ottobre 2011

«Forum delle Persone e delle Associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro»

 

 

Seminario a Todi il 17 ottobre

 

L’unità ritrovata dei cattolici In campo 16 milioni di iscritti
di Paolo Conti
in “Corriere della Sera” del 1° ottobre 2011

«Perché siamo così tanti? Perché il mondo cattolico, se non è impegnato nel settore ecclesiale e mistico dedito alla preghiera e alla meditazione, si mette a lavorare in silenzio. L’assistenza ai meno abbienti, i patronati, la difesa dei lavoratori, le missioni anche in Italia. E le cooperative, come nel nostro caso: abbiamo creato la più grande realtà d’Italia e forse d’Europa nel settore». Luigi Marino, presidente di Confcooperative, non è un personaggio da talk-show. Però guida una nave ammiraglia da 3 milioni e 100 mila iscritti che (articolo i dello Statuto) si richiama «ai principi e  alla tradizione della dottrina sociale della Chiesa». Solo uno dei tasselli del vasto associazionismo cattolico «che nasce ed è innervato dal basso», come ha detto il segretario della Cisl Raffaele  Bonanni in una recente intervista al Corriere della Sera.
Quanto di più lontano dai riflettori della politica spettacolo. Quanto di più vicino a ciò che i partiti organizzati hanno smarrito: il legame col territorio, l’ascolto della base, la conoscenza e  l’analisi dei problemi quotidiani del lavoro, delle famiglie, dei giovani. Qualche cifra? Proprio la Cisl, con 4 milioni e mezzo di iscritti, è radicata in 1800 sedi sparse sul territorio. O la Coldiretti  presieduta da Sergio Marini, per parlare di un’altra realtà molto corposa. In quanto alle Acli, un milione di iscritti, le strutture territoriali ammontano a ben 8.100.
È lì che guarda il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, quando descrive «una sorta di incubazione» e quindi «la possibilità di un soggetto culturale e sociale  di interlocuzione con la politica che sia promettente grembo di futuro». Il mondo cattolico italiano si prepara al seminario convocato a Todi il 17 ottobre che si coagulerà intorno al «Forum delle  Persone e delle Associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro» (11 milioni circa di associati complessivi) coordinato da Natale Forlani e attorno a «Retinopera», circa 5 milioni di italiani, l’associazionismo di base e del volontariato, a sua volta coordinato da Franco Pasquali.

Altre realtà importanti, ricche di storia. Basterà citare la Comunità di Sant’Egidio, fondata da Andrea Riccardi, con il suo prestigio internazionalmente riconosciuto anche nei teatri di guerra. E l’Azione Cattolica, gli scout dell’Agesci, Rinnovamento nello Spirito Santo, Movimento dei Focolari. E sono solo alcune sigle.
L’attesa per Todi è palpabile. Spiega Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano dei lavoratori: «Per la prima volta dal Concilio Vaticano II l’associazionismo cattolico si presenta unito  rispetto alle scadenze e alla crisi del Paese. In passato siamo stati fin troppo lacerati, e ciò è stato motivo di scandalo. Ora siamo chiamati ad essere propositivi per poter contare. C’è bisogno di discontinuità per scomporre ciò che sta finendo e poi ricomporre un’alleanza tra chi ha lavorato bene per il Paese e chi è rimasto fuori perché non si è sentito rappresentato».
La crisi del sistema politico italiano ha costituito una spinta all’intesa insieme agli inviti di Benedetto XVI e del cardinal Bagnasco a un rinnovato impegno dei cattolici nella vita sociale italiana.  Natale Forlani, coordinatore del Forum: «In un clima simile, senza i valori cattolici non si va da nessuna parte. Ha ragione Ernesto Galli della Loggia quando sostiene che la politica  intesa solo come gestione della spesa pubblica e scambio di interessi è definitivamente morta. Occorrono, dice, nuove idealità e nuovi modelli. Tutto ciò coincide proprio con i nostri valori e il  nostro lavoro: responsabilità sociale, spirito di sacrificio, senso di appartenenza alla comunità, sussidiarietà.

Soprattutto quest’ultima si rivelerà essenziale in uno Stato chiamato a ridurre sempre di più l’apparato pubblico. Occorrerà rivitalizzare la famiglia, il mondo del lavoro, l’impresa e, appunto, la sussidiarietà. Temi tipici della Dottrina sociale della Chiesa». Forlani propone un esempio: «Cosa accadrebbe se chiudessero improvvisamente tutti gli asili nido gestiti dalle organizzazioni  religiose o dalle parrocchie?». In uno slogan, Forlani? «Può l’Italia rinunciare, anche nella contemporaneità, all’umanesimo cristiano? No. Naturalmente non c’è alcuna pretesa né desiderio di  ricomporre un partito cattolico. Siamo ben consapevoli che dovremo trovare un punto d’incontro con altre esperienze e altre curiosità».
Franco Pasquali, coordinatore di «Retinopera»: «Siamo chiamati a leggere ciò che abbiamo di fronte con lenti nuove e la Dottrina sociale della Chiesa può offrire un forte contributo a riportare il Paese al ruolo che gli compete, anche in campo globale. Si è messa da parte una certa autoreferenzialità, tra noi delle associazioni, e si è elaborato un lessico comune. E con l’esplosione della crisi questo percorso trova una sua ragione, e una sua responsabilità, ben più forti. Dobbiamo testimoniare un atteggiamento completamente diverso…»

Ma tutto questo universo perché è poco «visibile»? Come mai certi numeri rimangono mediaticamente sommersi? Risponde Andrea Olivero, presidente delle Acli: «In effetti c’è una grande  vivacità delle associazioni, accompagnata da un impegno molto forte, che non sono ben rappresentati. E tutto questo rappresenta un problema, mostra uno scollamento tra la realtà che rappresentiamo e la percezione da parte della collettività». Forse Todi servirà anche a questo? «Io penso che di fronte alla gravissima crisi del mondo politico sia giusto ricorrere al nostro  serbatoio di responsabilità e di partecipazione civica. Dovremo avere una interlocuzione con tutte le forze politiche ma uno dei primi passaggi per far sì che il mondo dei cattolici sia di nuovo  presente ed efficace sarà il cambiamento delle regole di accesso. Non saremo disponibili a fare da specchietto per le allodole come è accaduto, fin troppo, in passato». Conclude Bernhard Scholz,  presidente della  Compagnia delle Opere che si rivolge già direttamente alla politica: «Le associazioni cattoliche sono una ricca fonte di esperienze capaci di contribuire a rinnovare la società  civile, valorizzare la famiglia, riconoscere il significato vero del lavoro e dell’economia e di promuovere la formazione dei giovani. Approfondire insieme questi e altri temi con la massima  apertura e competenza a Todi è decisivo per incidere maggiormente sul futuro del Paese. In base a questo impegno è necessario che la politica, al di là degli schieramenti, sappia realizzare le  urgenti riforme del sistema fiscale e del welfare per permettere una crescita sostenibile e solidale. A questo proposito spiace che il dibattito seguito al discorso del cardinal Bagnasco non abbia  recepito molte sue osservazioni, in particolare quella sulla libertà di educazione». Come si vede, i fronti sono tanti. E non tutti risolti.