Terraferma , dopo l’acclamazione al Festival del Cinema di Venezia, dove ha vinto il premio speciale della Giuria, la pellicola di Crialese ha ricevuto la candidatura agli Oscar per il miglior film in lingua non inglese, spiccando rispetto agli altri otto film italiani in lizza per entrare nella cinquina delle nomination.
Il lungometraggio è tutto ambientato sull’isola di Linosa e racconta gli sbarchi visti con gli occhi dei pescatori siciliani, divisi tra solidarietà e paura dello straniero.
La cerimonia degli Oscar è prevista il 26 febbraio a Los Angeles
da Venezia agli Oscar
Terraferma di Emanuele Crialese presentato alla Mostra del Cinema a Venezia, vincitore del Premio speciale della Giuria, è il candidato italiano agli Oscar per il miglior film in lingua non in inglese( finalmente, un film italiano nella durissima selezione per gli Oscar ai film stranieri). In corsa con Crialese per entrare nella cinquina dei cinque film non in inglese (solo il 24 gennaio si saprà quali fra tutti i candidati saranno scelti) c’erano per l’Italia altri sette film: Corpo celeste di Alice Rohrwacher, Habemus Papam di Nanni Moretti, Nessuno mi può giudicare di Massimiliano Bruno, Noi credevamo di Mario Martone, Notizie dagli scavi di Emidio Greco, Tatanka di Giuseppe Gagliardi e Vallanzasca di Michele Placido.
La commissione quest’anno era composta da Nicola Borrelli (Direttore Generale Cinema), Marco Bellocchio (regista), Martha Capello (presidente Agpc, Associazione Giovani Produttori Cinematografici), Francesca Cima (produttrice), Tilde Corsi (produttrice), Paola Corvino (presidente Unefa, Union of Film and Audiovisual Exporters), Valerio De Paolis (distributore), Luca Guadagnino (regista) e Niccolò Vivarelli (giornalista). L’anno scorso era stato candidato per l’Italia, La prima cosa bella di Paolo Virzì.
Crialese è emozionato, quasi frastornato dalla notizia: «Felicissimo e onoratissimo anche se non posso dire che me l’aspettavo, ma solo che lo speravo». Il film, prodotto da Cattleya e Rai Cinema in collaborazione con Sensi Cinema – Regione Sicilia, ha secondo il regista che ha studiato negli Usa molte cose che potrebbero piacere agli americani: “questi sono molto sensibili a tutte le storie in cui ci sono relazioni e conflitti umani, c’è in questo senso molta sensibilità da parte loro verso queste storie in evoluzione”.
Il Film Terraferma
Il film, girato a Linosa, racconta l’emergenza immigrazione attraverso la storia di due donne, un’isolana, che ha il volto di Donatella Finocchiaro, e una straniera: l’una sconvolge la vita dell’altra. Mimmo Cuticchio veste i panni di Ernesto, settantenne che non vorrebbe rottamare il suo peschereccio. Il nipote Filippo (Filippo Pucillo) ha perso il padre in mare ed è sospeso tra il tempo di suo nonno Ernesto e quello dello zio Nino (Giuseppe Fiorello), che ha smesso di pescare pesci per catturare turisti. La madre Giulietta (Finocchiaro), giovane vedova, sente che il tempo immutabile di quest’isola li ha resi tutti stranieri e che sull’isola non potrà mai esserci un futuro per lei, né per Filippo. Siamo su un’isola al largo della Sicilia: la famiglia Pucillo vive ancora di pesca, nonno Ernesto è un convinto difensore dei valori tradizionali, la nuora Giulietta (vedova) vorrebbe invece guadagnare affittando la casa ai turisti e sogna di garantire al figlio Filippo un avvenire lontano, in continente. Il film è la storia di un’estate in cui il sogno di Giulietta si scontra con problemi di vario tipo, e con una serie di sbarchi di migranti che sconvolge la vita dell’isola e della famiglia. Anche in questo caso Crialese analizza le dinamiche psicologiche e sociali di un microcosmo, ma la felice compattezza di “Respiro” sembra venir meno.
DOMANDE & RISPOSTE
Al quarto lungometraggio, “Terraferma”, Emanuele Crialese tira il fiato. Capita, è quasi fisiologico. Dopo l’epopea proletaria di “Nuovomondo“ il regista torna ai luoghi e alle atmosfere di “Respiro”, il film che lo rivelò nel 2002 dopo l’opera prima (girata in America) “Once We Were Strangers”.
In breve, la storia l’abbiamo già esposta.
Crialese in questo film, molto semplice- simile pertanto a “Nuovomondo”, analizza le dinamiche psicologiche e sociali di un microcosmo, ma la felice compattezza di “Respiro” sembra venir meno.
Il “grande tema” dei clandestini è sovrapposto ad una trama che non lo richiede, che quasi (forse inconsciamente) lo respinge. Come in “Cose dell’altro mondo” gli stranieri non diventano personaggi, né tanto meno persone, ma servono come cartine di tornasole per i drammi e i desideri degli italiani; e lo stile estetizzante con cui Crialese gira gli sbarchi e gli annegamenti, quasi equiparandoli alla pesca e ai tuffi dei turisti, è fastidioso.
A suo tempo Visconti venne accusato di aver “abbellito” i pescatori di “La terra trema”: ma in quel film i proletari erano i veri protagonisti, e il regista milanese dava loro consapevolmente la stessa dignità estetica di una statua greca o dell’eroe di un film epico. Qui Crialese racconta un sogno ai margini della globalizzazione, in cui le tragedie rimangono sullo sfondo, anche se lo spirito anti-leghista e la vecchia legge del mare – per cui i naufraghi vanno salvati comunque, da dovunque arrivino – hanno una loro nobiltà.
Tre giorni di corsa per Emanuele Crialese, unico italiano nel palmarès «grande» .Terraferma, è dedicato al tema dell’immigrazione. Il film ha avuto critiche non esaltanti, ma non è questo che lo ha amareggiato. «La prima cosa che mi hanno detto a Venezia è stato riferirmi il sospetto che abbia avuto il Gran Premio speciale della giuria per fare un favore all’Italia e propiziare una conferma del direttore della Mostra, Marco Müller».
E lei cosa risponde?
«Lo trovo ridicolo. Quando il cinema italiano non vince c’è polemica perché non vince, quando vince allora “chissà perché abbiamo vinto”. Il complottismo non porta da nessuna parte. Il premio a Terraferma è anche una nostra festa, è un riconoscimento che va a me ma anche al cinema italiano. La critica fa il suo mestiere, commenta e dice la sua, ma se si chiede quali remoti perché, quali poteri oscuri abbiano deciso la vittoria di un film italiano, mi appare un po’ masochista. Inoltre non si tiene conto del prestigio della giuria – professionisti di prestigio come André Téchiné, Todd Haynes, il presidente Darren Aronofsky.. – e trovo offensivo dubitare della loro onestà intellettuale. Come fanno nei festival seri hanno tenuto segreto fino all’ultimo il verdetto, è per questo che sono stato richiamato tardi al Lido»
La stampa estera ha molto apprezzato il suo film: il «New York Times», l’«Observer», «Le Monde»… alla mostra, in fin dei conti, l’Italia del cinema è stata salvata dagli immigrati…
«Sarebbe un bel sogno che l’Italia venisse salvata dagli immigrati. Quello dei migranti è un tema che mi sta particolarmente a cuore, perché la natura dell’uomo è quella di muoversi, di cercare, andare avanti. È fonte di ispirazione per una narrazione, anche perché io per primo sono un migrante: probabilmente la carriera che ho intrapreso nel cinema è stata possibile grazie al fatto che sono partito, che sono andato negli Stati Uniti. So quanto è importante conoscere l’altro, vivere in una cultura diversa e far conoscere la propria. Mi tormenta quindi vedere che una parte dell’umanità, quella povera, non possa essere libera di muoversi nel mondo, come invece lo è la parte più ricca. Credo che non sia ancora possibile storicizzare il «fenomeno immigrazione» di oggi, stiamo assistendo a una specie di sterminio sommerso, non posso associare questa immigrazione a quella degli inizi del secolo, che ha coinvolto noi italiani. L’immigrazione di oggi andrebbe affrontata in un modo più umano, bisogna dare volto e nome a questa gente che attraversa il mare e rischia la vita. Non possiamo essere così insensibili da non vedere. C’è un’urgenza. È necessario per noi riflettere su questo, in Europa siamo il paese meno aperto alla ricezione e all’integrazione. Ecco perché ho deciso di dedicare la mia quarta opera a un tema politico, ma non volevo farlo col pugno teso, perché credo che il modo migliore per raggiungere le persone sia parlare di umanità».
È forse per «troppa umanità» che a detta di alcuni critici, ha rappresentato gli immigrati in maniera oleografica?
«Non riesco a fare un’analisi oggettiva. Forse ci si aspettava da me un film diverso, di denuncia aperta… ma io non riesco a pormi di fronte al mio lavoro come un denunciante. Sollevo delle questioni: il mio ruolo è quello di evocare, domandare, comunicare con un pubblico eterogeneo. Cerco di trovare un linguaggio che parli all’uomo, e alla denuncia preferisco l’allegoria, la metafora, un linguaggio che trovo più giusto per me, è il mio modo di esprimersi. Film documentaristici, ad esempio, non riesco a farne, preferisco parlare di archetipi piuttosto che di attualità. Il mio modo di vedere la vita e la realtà attraverso un’immagine dell’uomo più essenziale, esistenziale».
Chi é
Emanuele Crialese, 46 anni, 26 Luglio 1965 (Leone), Roma (Italia)
Regista e sceneggiatore italiano, forse uno dei grandi protagonisti di questo odierno e nuovo cinema nostrano, che riesce a rendere magico, partendo dalla musica e dallo spettacolo estetico che inquadratura dopo inquadratura costruisce con sapiente tecnica degna di un prezioso artigiano.
Ha studiato a New York .
Nato a Roma il 26 luglio 1965, da una famiglia di origine siciliana, parte a New York per studiare alla New York University subito dopo il diploma. Si laurea nel 1995 e già alla fine degli anni Novanta gira diversi cortometraggi (uno di questi è Heartless).
L’opera prima
Esordisce alla regia di una pellicola nel 1997 con il bellissimo Once We Were Strangers con Vincenzo Amato , prodotto con i soldi ricavati dalla vendita di un paio di orecchini ricevuti in eredità dalla bisnonna e che prende largo spunto dall’esperienza di stranieri che lui e Amato fecero in America. La pellicola partecipa al Sundance Film Festival, trasformandolo nel primo regista italiano accettato nella competizione americana.
A teatro
Fra il 1998 e il 2000, Crialese lavora anche in teatro, sempre negli Stati Uniti, e accanto al produttore Bob Chartoff (lo stesso di Toro Scatenato e di New York New York) alla stesura di un trattamento cinematografico su Ellis Island.
Il film che lo porta sull’onda
Respiro
Il tanto amato Respiro (che sarà uno dei nuovi film che affascineranno Bernardo Bertolucci) all’interno del quale narra le vicende dell’anomala, poetica e oltraggiosa Grazia (Valeria Golino), moglie e madre borderline di Lampedusa che non è propriamente conscia del suo ruolo. Il film, ambizioso e originale, assolutamente fuori dai soliti schemi del cinema italiano, è un piccolo capolavoro che sottolinea il grande talento di Crialese assolutamente pari a quello di un autore quasi conterraneo come Giuseppe Tornatore. Giocando con il tema dell’incomunicabilità (tanto caro a Michelangelo Antonioni) propone uno squarcio sul suo concetto di libertà, senza però difettare di realismo, fortemente sostenuto dalla ruralità delle scenografie e dalla lirica neorealista moderna. Respiro si merita il Gran Premio della Critica a Cannes, ma anche il Young Critics Award Best Feature, il CONAI e il Creative Journeys, non vincendo però il César come miglior film per l’Unione Europea e il David di Donatello per la migliore pellicola dell’anno.
Nuovomondo
Poi viene il turno di Nuovomondo (2006) con Charlotte Gainsbourg (che sostituì la Golino impegnata in un altro progetto), Vincenzo Amato e Aurora Quattrocchi che riscuote un grande successo di critica e pubblico, soprattutto in Francia. La pellicola viene presentata in concorso ufficiale alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e si assicura un Leone d’Argento e la candidatura italiana per il miglior film straniero all’Academy Award, oltre a ben tre David di Donatello. Parte tutto nella Sicilia degli inizi del Novecento, dove un capofamiglia decide di imbarcarsi con figli e madre anziana per l’America. Crialese affronta a modo suo la storia della migrazione italiana all’estero, ricordandoci che un tempo eravamo noi gli stranieri che venivano dal mare e che avevano bisogno di accoglienza in un nuovo mondo(a noi è piaciuto moltissimo, per la sua poetica originale e le sue tragiche vicende).
Terraferma
Nel 2011, sempre a Venezia, è il turno di Terraferma che tratta dell’immigrazione clandestina dall’Africa in Italia, molto semplice e realistico, proprio come noi vediamo le vicende dei clandestini del Nord Africa. Affamati, desolati, disperati, in cerca di un mondo migliore. Speriamo di procurarcelo, per rendere a tutti la vita possibile da vivere.
Il film è prodotto da Cattleya e Rai Cinema in collaborazione con Sensi Cinema – Regione Sicilia.
Di: Maria de falco Marotta, Elisa, Enrico.