La scuola apre mente e cuore alla realtà

Convegno dal titolo “LA SCUOLA APRE MENTE E CUORE ALLA REALTÀ?” che si terrà il prossimo 15 novembre a Milano, presso la sede dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e in video collegamento in altre città italiane. Il Convegno desidera riprendere i contenuti che Papa Francesco ha consegnato al mondo della scuola il 10 maggio u.s. in piazza san Pietro e si rivolge a tutti coloro che a vario titolo operano nella scuola.
 

Ripetere non serve e costa troppo

Settembre. Un nuovo anno scolastico è iniziato e l’attenzione di politici e dell’opinione pubblica si è concentrata sulla scuola. Un po’ per gli annunci di riforma, ma anche perché siamo tutti genitori, figli, zii, nonni o nonne e quindi il mondo della scuola fa parte, nel bene e nel male, del nostro vivere quotidiano o di quello dei nostri cari. Quello che è certo, al di la delle proposte di rivoluzionare la scuola è che molti studenti italiani sentiranno sia sui banchi di scuola che a casa la minaccia “Studia! Altrimenti sarai bocciato”. In teoria la bocciatura dovrebbe servire a permettere a uno studente che è rimasto indietro nel programma di “mettersi in pari” per riuscire poi a proseguire gli studi con profitto. Tuttavia lo studio OCSE PISA che confronta i dati sulle bocciature e sulle competenze scolastiche degli studenti 15-enni in più di 65 paesi nel mondo mostra che far ripetere anni scolastici non è di aiuto per gli studenti che ripetono un anno, comporta costi elevati per il sistema paese e non solo non aiuta a promuovere maggiore equità nel sistema, ma rinforza le differenze tra studenti con un diverso background socio-economico. In Italia ci sono ancora troppi bocciati: il 17% degli studenti quindicenni ha dichiarato di aver ripetuto almeno un anno scolastico, rispetto a una media OCSE del 12%.

Gli studenti persi e il mancato recupero

Inoltre, mentre in molti paesi dei Paesi con livelli molto alti di ripetenti il numero di studenti che ha ripetuto una classe è diminuito, in Italia il numero degli studenti ripetenti è aumentato. In Italia tra il 2003 e il 2012, la percentuale di studenti che ha dichiarato di aver ripetuto almeno un anno scolastico è aumentata di 2 punti percentuali, mentre in Francia che nel 2003 registrava il 39% di ripetenti nel 2012 questo era sceso al 28%. Lo studio PISA mostra che purtroppo in Italia, come in molti altri paesi, tra gli studenti che ottengono gli stessi risultati in matematica, comprensione di testi e scienze, gli studenti socialmente svantaggiati hanno più probabilità di ripetere un anno rispetto agli studenti più favoriti. Gli studenti socio-economicamente svantaggiati hanno meno possibilità di ricevere aiuto durante l’anno scolastico grazie a corsi di recupero e lezioni private. Gli studenti svantaggiati spesso hanno maggiori problemi comportamentali, arrivano in ritardo e saltano lezioni o giorni di scuola. Invece che intervenire sui problemi che determinano un allontanamento progressivo di troppi ragazzi dalle classi, il mondo scuola in Italia si basa ancora sull’uso della bocciatura come strumento per punire. Uno dei possibili risultati e’ la scarsa motivazione dei ragazzi e gli alti livelli di dispersione scolastica. L’esigenza di fare ripetere una classe implica costi elevati: alla spesa di un anno aggiuntivo d’istruzione bisogna infatti aggiungere il mancato introito per la società quando si differisce di almeno un anno l’ingresso dello studente bocciato sul mercato del lavoro. In Italia, il costo delle bocciature rappresenta il 6,7% della spesa annua nazionale per l’istruzione primaria e secondaria – ovvero 47.174 dollari (circa 36 mila euro) per studente che ripete l’anno. Prevenire è meglio che curare. Vale nel mondo della sanità pubblica, ma vale anche, e soprattutto, nel mondo della scuola. Prevenire è meglio che curare e le bocciature sono costose e non curano il problema dello scarso profitto e motivazione degli studenti italiani. Ridurre le bocciature potrebbe aiutare a risparmiare risorse da investire nella prevenzione: per aiutare i ragazzi in modo personalizzato durante l’anno affinché’ non si creino lacune nel processo di apprendimento e per affiancare ragazzi demotivati e con scarso attaccamento alla scuola.

di Francesca Borgonovi, analista Ocse

Serra International Italia

Da 11 anni il Serra Italia bandisce un concorso scolastico a livello nazionale come attività di servizio alla Chiesa cattolica per invogliare i giovani a discutere sui valori religiosi ed etici. Le prove in oggetto costituiscono uno spaccato interessante per comprendere le dinamiche relazionali dei giovani, la loro affettività, la nuova accettazione dei modelli educativi, lo status della famiglia contemporanea e le difficoltà dipendenti da questo momento storico.
Il Concorso è finalizzato a promuovere la cultura cattolica, ovvero la formazione integrale dei  giovani da accompagnare con l’ascolto dei loro bisogni  nell’età adolescenziale per la definizione delle scelte della vita in senso cristiano.  In una società in cui i giovani soffrono la mancanza di chiamanti autentici e coerenti, il progetto educativo del concorso  si propone di declinare ad ampio raggio il valore della Bellezza della vita nel rispetto della dignità umana.
 

«Così insegno inglese con Facebook e twitter, in classe e da casa»

Il gessetto e la lavagna, certo. Ma anche Twitter, perché no. E in classe, proprio dentro quelle stesse aule da cui di solito smartphone e tablet sono banditi. La lezione-tipo della prof norvegese Ann Michaelsen ha un che di irrituale e avveniristico. Di riflesso, molti potrebbero stentare a crederle. Se non fosse che tra le mura della Sandvika High School vicino a Oslo, le lezioni via Skype con classi sudafricane, i compiti consegnati sul blog personale, e il dialogo fitto tra alunni e docente su Twitter vanno in scena per davvero. «I ragazzi hanno bisogno di sapere cosa condividere in rete e come farlo, ed è la scuola che deve insegnare ad usare la tecnologia responsabilmente», dice al Corriere della Sera la professoressa Michaelsen. 

La docente insegna inglese a gruppi di studenti di classi diverse, ma tutti attorno ai 17-18 anni. «Loro hanno il permesso di usare Twitter, Facebook, Skype e YouTube a scuola. Lavorando sui social network siamo riusciti a scrivere insieme Connected Learners, un libro che tra le altre cose spiega come usiamo Twitter a scuola», racconta la prof. Il social dei 140 caratteri viene usato dagli studenti per inviare messaggi privati alla docente, che può assistere i suoi studenti in tempo reale anche quando è a casa. «Di certo non rispondo sempre, ma di volta in volta decido se è urgente o meno quello che mi domandano», confessa Michaelsen, che in effetti ha risposto in pochi minuti alla nostra richiesta di contatto su Twitter. Ma anche lanciare un hashtag particolare, con cui classificare link e approfondimenti trovati a casa ma da usare in classe, è una delle idee per ottenere il meglio dal social network dell’uccellino blu. «Facebook? Certo, da casa ci serve anche quello», assicura poi la docente, che spiega come riesce a mettersi in contatto con gli studenti, superando anche il costume che impone spesso l’accettazione della loro amicizia sul social. Compiti su facebook e consigli su twitter, ma niente «amicizia» Michealsen non concede agli studenti l’opportunità di chiedergliela, ma usa una pagina pubblica per ogni classe che le viene assegnata. Ad orari prefissati, gli studenti si ritrovano online per svolgere esercitazioni da casa, oppure ricevere indicazioni sulle lezioni del giorno dopo. «Condividere documenti su Facebook è spesso più semplice che stamparli e distribuirli di volta in volta agli studenti, magari assenti quel giorno. I ragazzi trascorrono sui social network molto tempo, perciò perché non raggiungerli dove sono, anziché passare dalle fredde e poco utilizzate piattaforme di condivisione didattica?», continua la docente. La motivazione parrebbe lampante: «Sì, gli studenti possono distrarsi con Facebook e Twitter a portata di mano. Ma il compito dell’insegnante in classe non è chiudersi ma aprirsi, anche andando a spulciare cosa stanno facendo, o imponendo ritmi serrati e scadenze specifiche da rispettare, incentivandoli così a lavorare di più», replica la professoressa della Sandvika High School. Un altro suggerimento per i colleghi insegnanti è quello di stimolare la curiosità degli studenti sfruttando proprio i social network, con metodi alternativi di trasmissione delle nozioni. In fondo Facebook e Twitter sono solo uno strumento, e demonizzarli, restituisce sempre un retrogusto luddista. Sembra essere questo l’approccio della prof Michaelsen, sempre molto concreta nel valutare il rapporto della scuola con la quotidianità, e le giuste contromosse per stare al passo con la domanda di didattica che si evolve continuamente. 

«La scuola deve insegnare come si usano i social e anche far ragionare i ragazzi» «I social media sono già una parte importante della nostra vita e la maggioranza dei miei studenti useranno la tecnologia nella loro professione. Perciò è necessario che la scuola insegni loro sia l’aspetto funzionale, sia quello etico. Non dimentichiamoci che il nostro obiettivo è fornire loro le competenze di cui avranno bisogno nel ventunesimo secolo», conferma la docente. Di certo, a fare da sfondo alle classi norvegesi c’è un ambiente ideale per studenti e professori. All’istruzione pubblica e gratuita, si accompagnano investimenti di non poco conto da parte dello Stato che assicurano a ciascuno studente un tablet o un pc da usare non solo a scopo didattico. Ad ogni modo, gessetto e lavagna a parte, anche in Italia la vera sfida sarà coniugare la domanda di nuovi strumenti didattici, con un’adeguata offerta di scuola pubblica. Passando forse anche da Twitter e Facebook.

«Voi non siete speciali» Ai ragazzi si insegna così

Diventa un libro il discorso del professore di inglese David McCullough ai diplomati del suo liceo di Boston visualizzato due milioni di volte e che ha sbancato Facebook

«Voi non siete speciali. Vi hanno viziati, coccolati, idolatrati. Ma diversamente da quanto suggeriscono il trofeo che avete vinto a calcio o la vostra splendida pagella, non lo siete. Anche se ci fosse un diplomato su un milione, sareste comunque settemila sulla terra: se tutti siete speciali, non lo è nessuno». Il discorso del professore d’inglese David McCullough ai diplomati del suo liceo di Boston finì su YouTube appena concluso, il 7 giugno 2012. La sera stessa era stato visualizzato 2 milioni di volte e condiviso su centinaia di migliaia di bacheche Facebook. E in pochi mesi è diventato un libro, uscito ora anche in Italia: Ragazzi, non siete speciali! E altre verità che non sappiamo più dire ai nostri figli (Garzanti, 252 pagg., € 15, traduzione di Roberto Merlini). «Ricevetti tonnellate di email, la gente mi fermava per strada, le tv mi invitavano. La mia era una critica da insegnante: negli ultimi anni i miei allievi, spronati da genitori che per la loro formazione investono molto, hanno sempre più difficoltà a valutare i propri talenti, pensano che un master darà loro lavoro e diventano narcisisti, incapaci di gestire l’insuccesso. Ma nessuno si è offeso. Anzi, ho capito che il messaggio ‘‘non siete speciali’‘ generava in tutti un certo sollievo». 

Già, sollievo. Perché «per i ragazzi di oggi essere speciali è una condanna», spiega lo scrittore Francesco Pacifico. «Non c’è scelta: i loro padri l’avevano, tra un percorso sicuro ma poco eccitante e carriere ambiziose ma più precarie. Loro no: anche per fare l’insegnante oggi servono dieci anni di tribolazioni. Così ci si butta, finanziati da genitori ansiosi, su ambizioni spesso fuori misura: regista, diplomatico, fisico nucleare». Al tema Pacifico ha dedicato un romanzo, Class – vite infelici di romani mantenuti a New York (Mondadori, 189 pagg., € 19). Che inizia così: «La realizzazione personale di un giovane borghese non vale il denaro che costa». E racconta le storie (infelici, appunto) di un giovane regista e della moglie, le cui carriere creative sono finanziate da famiglie non miliardarie fino a tardissima età. 
«Credendo di aiutarli, i genitori li caricano di aspettative. E ritardano domande fondamentali: ‘‘ho talento o no? Quello per cui sto studiando mi piace o no?’‘». Non a caso, il manuale Ragazzi, non siete speciali! è dedicato «agli adolescenti, ma soprattutto a mamma e papà. È da loro che nascono moltissime delle ambizioni sbagliate dei ragazzi, e delle loro frustrazioni», spiega McCullough. 

Isabella Milani, docente di italiano, è autrice di un blog per insegnanti: uno dei momenti più rischiosi per gli adolescenti è la scelta delle scuole superiori

E se il docente americano descrive genitori «ossessionati dai voti, pronti a telefonare a casa dell’insegnante per fargli cancellare un’insufficienza per timore che macchi il curriculum del ragazzo», i colleghi italiani raccontano di «mamme che fanno i compiti al posto dei figli, e se chiedo loro perché mi rispondono: era stanco. Se do un sei, mi chiedono perché non sette, in fondo il ragazzo è portato. E così via». A parlare è Isabella Milani, professoressa di italiano in una scuola media e autrice di un fortunato blog per insegnanti (http://bit.ly/milani_scuola). «Ma il momento peggiore è la scelta delle superiori: noi insegnanti diamo consigli, ma in pochi ci ascoltano. Preferiscono mandarli al liceo, a costo che sputino sangue, e protestare anche lì se i voti non sono buoni, piuttosto che scegliere un buon istituto tecnico o professionale dove potrebbero fare, e stare, meglio».

Un errore e che molti pagano con la dispersione o l’abbandono scolastico. «Il 74% delle richieste di consulenza arrivate tra il 2010 e il 2012 sono di studenti liceali che vogliono cambiare percorso», commenta Francesco Dell’Oro, per anni responsabile del Servizio orientamento scolastico al Comune di Milano e autore di vari saggi sul tema. «Molto spesso non hanno scelto loro di andare al classico o allo scientifico. Ma i genitori, che hanno una fede incrollabile nell’iter liceo – università ‘‘concreta’‘ come Economia o Ingegneria – laurea a pieni voti, come carta vincente per trovare lavoro. E sbagliano». Mostra i risultati 2013 dell’indagine Excelsior di Unioncamere, secondo cui le capacità più richieste per un neolaureato sono «lavorare in gruppo» e «attitudini comunicative»: «capacità che un ragazzo sviluppa se studia con piacere e curiosità, non con l’acqua alla gola in un corso scelto ‘‘perché dà lavoro’‘. Magari uno sarebbe un buon chef, e invece passa anni di fatica a studiare da medico». 
O, come i velleitari protagonisti del romanzo di Pacifico, anni di scuole di cinema per poi scoprirsi senza talento. Anche questo è un rischio. «Ma almeno sta seguendo la sua strada», chiosa McCullough. «L’importante è che si trovi un piano B, un’attività con cui mantenere il sogno e che non gli dispiaccia. Se no non diventa adulto». Figlio di uno storico affermato (il premio Pulitzer David McCullough Sr.), da giovane aveva i mezzi economici e il desiderio di fare lo scrittore. Tre romanzi impubblicati – «e impubblicabili, lo ammetto» – più tardi ripiega, senza voglia, sull’insegnamento. «Un lavoro ordinario. Che però mi piacque moltissimo. E non solo: mi ha poi consentito di scrivere un libro, proprio sull’insegnamento. Realizzando, alla fine, il mio sogno da ragazzo». 

Giovani e famiglia secondo un’indagine

Il 60% dei giovani italiani, anche nell’attuale situazione di crisi, “punta sulla famiglia”, pensa che essa “tiene, non rinuncia a pensare di poter formare una propria famiglia”, e la vede costituita mediamente da due figli o più. Solo il 9,2% dei ragazzi e il 6,2% delle ragazze pensa di non avere figli. Questa, in sintesi, la fotografia che emerge dai primi risultati della ricerca “Giovani e famiglia”, avviata dall’Istituto Giuseppe Toniolo di studi superiori e da un team di docenti dell’Università Cattolica avvalendosi di Ipsos per la raccolta dei dati. L’indagine, resa nota oggi mentre è in corso il VII Incontro mondiale delle famiglie, ha riguardato un universo di 9 mila giovani tra i 18 e i 29 anni. 

Forte “desiderio” di famiglia. I risultati diffusi in data odierna si riferiscono al primo “sottocampione” di 2.400 interviste. Con riferimento ai dati sul “desiderio di famiglia e di figli”, i ricercatori osservano: “Se questi giovani fossero semplicemente aiutati a realizzare i propri progetti di vita, la denatalità italiana diventerebbe un problema superato”. Lo conferma la percentuale di coloro che sostengono che “in assenza di impedimenti e costrizioni” vorrebbero avere “tre o più figli” (più del 40%). Per oltre il 60% degli intervistati “la famiglia è la cellula fondamentale della nostra società e si fonda sul matrimonio”; solo l’11.6% è in disaccordo con questa tesi, si legge nell’indagine. Le relazioni tra genitori e figli “sono sempre molto forti nel nostro Paese”, e “non solo per motivazioni di natura economica”. La famiglia, oltre al sostegno materiale, “fornisce anche supporto emotivo” e costituisce “un punto di riferimento stabile e affidabile”. Di fronte a un futuro incerto la famiglia d’origine rappresenta una “fondamentale certezza”.

Il più a lungo possibile. Ampiamente riconosciuto il ruolo della famiglia nel raggiungimento di importanti traguardi esistenziali. Oltre l’80% degli intervistati afferma che la propria esperienza familiare gli è stata di aiuto “nel coltivare le sue passioni e nell’affermarsi nella vita”; oltre l’85% rivela che la famiglia rappresenta un sostegno nel perseguire i propri obiettivi. In Italia inoltre, a differenza che nella maggior parte dei Paesi europei, il 61,95% dei giovani considera “un fatto normale” continuare a vivere con i propri genitori anche dopo i 25 anni; il 27,38% lo definisce “un piacere”. Solo il 6% lo mette in relazione a “problemi economici”. La maggioranza degli intervistati pensa di poter contare su un aiuto concreto anche dopo avere lasciato la casa d’origine. Oltre il 90% ritiene che verrà aiutato nell’accudimento di eventuali figli; oltre l’80% per l’acquisto della casa. Il 54,51% pensa di poter contare anche su una “integrazione regolare del reddito”. Per i ricercatori, “questa disponibilità all’aiuto da un lato è senz’altro positiva, dall’altro può produrre effetti ambivalenti sul giovane e sulla sua responsabilizzazione nelle scelte di vita”.

Processi di compensazione più che di trasformazione. La famiglia d’origine viene intesa dai giovani come “luogo in cui ciascuno può esprimere se stesso” (d’accordo con questa affermazione il 39,7%; abbastanza d’accordo il 47,3%). Due intervistati su tre la ritengono un “luogo di apprendimento primario” sia delle modalità di relazione con il contesto sociale, sia dal punto di vista normativo, cioè delle “regole da rispettare”. Per oltre la metà la famiglia si configura come “rifugio dal mondo”. “Questi dati – commenta Alessandro Rosina (Università Cattolica) – sono di estremo interesse e ci mostrano come le generazioni adulte si muovano con modalità molto diverse all’interno della famiglia e della società: nella famiglia danno vita a un luogo dove ciascuno può dire come la pensa e aprirsi agli altri, nella società danno vita a luoghi di sfiducia per fuggire dai quali i giovani vanno a ‘rifugiarsi’ in famiglia”. Per Rosina, quindi, “la dinamica di scambio tra famiglia e società” si conferma basata su “processi di scissione e compensazione anziché su processi di trasformazione”. “Prolungando gli aspetti protettivi”, conclude, i genitori “compensano l’ingiustizia del sociale che inconsapevolmente contribuiscono a produrre”.

da: SIR 31/05/12

Giovani in ricerca

«Giovani in ricerca», è il titolo della conferenza di apertura del prof. Tonelli alla XX Settimana di studi teologici, che è stata realizzata a Braga (Portogallo) dal 15 al 17 febbraio, sul tema «La pastorale giovanile in una Chiesa giovane».

Il prof. Riccardo Tonelli, noto pastoralista della Università Pontificia Salesiana di Roma, ha rimarcato il fatto che una Pastorale giovanile che voglia essere incisiva nell’attuale contesto culturale deve preoccuparsi di far crescere in ogni giovane “le ragioni per vivere e sperare”, puntando sulla forza trasformante del Vangelo e su un accompagnamento di qualità.

Leggendo quindi la realtà in quello sguardo penetrante che sa cogliere ciò che inquieta e ciò che spalanca verso il futuro, il documento va alle cause e spalanca l’attenzione sui possibili esiti. Soprattutto coglie e valuta l’esistente a partire da un atto di fiducia sull’uomo, sulla storia, sul mistero di un progetto di speranza che è più forte delle delusioni e delle degenerazioni. Produce esiti di speranza anche quando deve constatare i segni di disperazione e si lascia inquietare dalla vita di ogni persona, come la cosa che conta di più.

In questa opera di discernimento viene lanciata la sfida: l’emergenza educativa.

“Noi accogliamo abitualmente le ragioni di senso e di speranza, le prospettive di futuro e gli inviti alla responsabilità nel presente, attraverso quella relazione che mette in accoglienza reciproca le persone, soprattutto assicura il dialogo dei giovani con le generazioni che li hanno preceduti (genitori, anziani, educatori).Interpretando, con amore lucido, il vissuto giovanile attuale, affermo la presenza di una diffusa domanda di senso: quello che tutti i giovani cercano, anche nelle espressioni più disturbate, riguarda il senso e la speranza, ragioni di vita e di futuro e la rassicurazione che conforta ogni piccola quotidiana conquista. Constato però che questa ricerca di senso è affannosa e spesso disturbata. Significa che non corrisponde ai nostri parametri spontanei ed esige, almeno in molti casi, una coraggiosa scommessa educativa per definirla in questo modo.Questo è consolante e impegnativo. La diffusa crisi attuale e la inquieta domanda giovanile interpellano noi adulti e soprattutto noi educatori della fede a quel livello di profondità competente ed esigente, in cui possiamo radicare veramente la riconquista di una relazione perduta.
Stimo urgente sollecitare ad una presa di responsabilità, soprattutto per noi adulti educatori, fondata e sollecitata dall’interpretazione del grido dei giovani.
Si tratta di un “grido”, forte, verso noi adulti: un dono che non ci lascia tranquilli e che ci carica violentemente delle responsabilità che non possiamo certamente scaricare su altri e che, nello stesso tempo, ci fa scoprire che è tempo di camminare coraggiosamente assieme, condividendo gioie e inquietudini.
I vecchi modelli non funzionano più. Ripercorrono le strade superate e aumentano il disagio dell’orfanità. Qualcuno stenta a capirlo. I giovani ci chiedono invece di essere adulti nuovi, capaci di camminare con loro e di condividere la ricerca e l’esperienza del senso e della speranza. In fondo… ci fanno un dono impensabile: ci chiamano a diventare sempre più padri e madri, sapendo generare al senso e alla speranza”.

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Prospettive Pastorali e suggerimenti operativi

“La strada del crescere insieme è l’unica strada percorribile per rispondere al comandamento dell’amore consegnatoci da Gesù e per condurre un’esistenza autenticamente umana. Il cammino della comunione è il cammino della chiesa; la chiesa è un mistero di comunione. Gesù ha pregato il Padre per la comunione, perché “siano una cosa sola”. La comunione, l’amore, l’unità sono la meta non solo della chiesa ma di tutta la società e l’umanità. Per crescere insieme è necessario un clima di simpatia e di fiducia; ogni cristiano e tutta la comunità cristiana deve guardare il mondo ed ogni uomo e donna con simpatia. Lo stile di comunione deve essere vissuto sia all’interno della comunità cristiana sia negli ambienti di vita; a scuola, all’università, sul posto di lavoro, nell’impegno politico i cristiani sono chiamati a dare testimonianza d’amore e di unità».

Con queste riflessioni inizia il documento elaborato dalla CEI sulla base delle considerazioni emerse nel Convegno nazionale di Pastorale Giovanile (10-13 novembre 2011), focalizzato sugli orientamenti presenti nel documento della Conferenza episcopale italiana dedicato a “Educare alla vita buona del Vangelo”, che costituisce il grande tema dei prossimi dieci anni.

Alleghiamo il documento originale: Prospettive Pastorali e Suggerimenti operativi

“Giovani aperti alla vita”

Messaggio per la 34ª Giornata Nazionale per la vita – 5 febbraio 2012

La vera giovinezza risiede e fiorisce in chi non si chiude alla vita. Essa è testimoniata da chi non rifiuta il suo dono – a volte misterioso e delicato – e da chi si dispone a esserne servitore e non padrone in se stesso e negli altri. Del resto, nel Vangelo, Cristo stesso si presenta come “servo” (cfr Lc 22,27), secondo la profezia dell’Antico Testamento. Chi vuol farsi padrone della vita, invecchia il mondo.

Educare i giovani a cercare la vera giovinezza, a compierne i desideri, i sogni, le esigenze in modo profondo, è una sfida oggi centrale.

Se non si educano i giovani al senso e dunque al rispetto e alla valorizzazione della vita, si finisce per impoverire l’esistenza di tutti, si espone alla deriva la convivenza sociale e si facilita l’emarginazione di chi fa più fatica. L’aborto e l’eutanasia sono le conseguenze estreme e tremende di una mentalità che, svilendo la vita, finisce per farli apparire come il male minore: in realtà, la vita è un bene non negoziabile, perché qualsiasi compromesso apre la strada alla prevaricazione su chi è debole e indifeso. 
In questi anni non solo gli indici demografici ma anche ripetute drammatiche notizie sul rifiuto di vivere da parte di tanti ragazzi hanno angustiato l’animo di quanti provano rispetto e ammirazione per il dono dell’esistenza. 
Sono molte le situazioni e i problemi sociali a causa dei quali questo dono è vilipeso, avvilito, caricato di fardelli spesso duri da sopportare. Educare i giovani alla vita significa offrire esempi, testimonianze e cultura che diano sostegno al desiderio di impegno che in tanti di loro si accende appena trovano adulti disposti a condividerlo. 
Per educare i giovani alla vita occorrono adulti contenti del dono dell’esistenza, nei quali non prevalga il cinismo, il calcolo o la ricerca del potere, della carriera o del divertimento fine a se stesso. 

I giovani di oggi sono spesso in balia di strumenti – creati e manovrati da adulti e fonte di lauti guadagni – che tendono a soffocare l’impegno nella realtà e la dedizione all’esistenza. Eppure quegli stessi strumenti possono essere usati proficuamente per testimoniare una cultura della vita. 
Molti giovani, in ogni genere di situazione umana e sociale, non aspettano altro che un adulto carico di simpatia per la vita che proponga loro senza facili moralismi e senza ipocrisie una strada per sperimentare l’affascinante avventura della vita. 
È una chiamata che la Chiesa sente da sempre e da cui oggi si lascia con forza interpellare e guidare. Per questo, la rilancia a tutti – adulti, istituzioni e corpi sociali –, perché chi ama la vita avverta la propria responsabilità verso il futuro.

Molte e ammirevoli sono le iniziative in difesa della vita, promosse da singoli, associazioni e movimenti. È un servizio spesso silenzioso e discreto, che però può ottenere risultati prodigiosi. È un esempio dell’Italia migliore, pronta ad aiutare chiunque versa in difficoltà. 
Gli anni recenti, segnati dalla crisi economica, hanno evidenziato come sia illusoria e fragile l’idea di un progresso illimitato e a basso costo, specialmente nei campi in cui entra più in gioco il valore della persona.

Ci sono curve della storia che incutono in tutti, ma soprattutto nei più giovani, un senso di inquietudine e di smarrimento. Chi ama la vita non nega le difficoltà: si impegna, piuttosto, a educare i giovani a scoprire che cosa rende più aperti al manifestarsi del suo senso, a quella trascendenza a cui tutti anelano, magari a tentoni. Nasce così un atteggiamento di servizio e di dedizione alla vita degli altri che non può non commuovere e stimolare anche gli adulti. 

La vera giovinezza si misura nella accoglienza al dono della vita, in qualunque modo essa si presenti con il sigillo misterioso di Dio.


Memoria di San Carlo Borromeo

Messaggio Giornata vita 2012 (pdf)

Laboratorio: “Giovani, arte ed educazione alla fede”

Roma – Domus Mariae, 24-25 febbraio 2012

Il laboratorio “Giovani, arte ed educazione alla Fede” è rivolto ai giovani e le persone che nelle Diocesi e nelle aggregazioni laicali si occupano o svolgono attività nelle varie discipline artistiche: arti figurative, teatro, musica, letteratura, architettura, beni culturali in genere.
Sono invitati in particolare i partecipanti al Concorso artistico per la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid 2011 e quanti hanno preparato i Festival della Gioventù
Per iscriverti compila la scheda online, scarica la Coverfax e inviala con la ricevuta del pagamento.

C’è tempo fino al 16 febbraio 2012!

Programma laboratorio