un libro in cui Franco Cardini affronta il tema del rapporto tra cristianesimo e violenza subita e inflitta (Salerno, pp. 186, €12,50).
Non facile il compito che si è dato Franco Cardini nel suo recente Cristiani perseguitati e persecutori (Salerno, pp. 186, €12,50): affrontare il tema del rapporto tra cristianesimo e violenza subita e inflitta non attraverso una «conta» delle vittime di persecuzioni religiose nei duemila anni di cristianesimo, né con una contrapposizione del numero di uccisi o dell’efferatezza dei crimini compiuti da parte di opposti schieramenti, ma piuttosto attraverso una ben più approfondita disamina di un nodo e un’epoca cruciali: come e perché tra il I e il VI secolo d.C. i cristiani da perseguitati diventano anche persecutori. Un lavoro accurato da storico onesto e documentato, quale è Cardini, svolto «non al fine di giudicare e tanto meno di condannare, ma, semplicemente, per comprendere».
Lo spunto è fornito dall’amara realtà che si è venuta affermando in questi ultimi trent’anni: la rinascita di «appelli a guerre sante», l’apparire di «nuovi carnefici e nuove vittime tali anche e magari soprattutto nel nome di Dio».
Ma l’analisi di quanto accaduto – dalle violenti persecuzioni contro i cristiani nei primi quattro secoli dell’era volgare fino all’affermarsi nei due secoli successivi di una società cristiana anche attraverso l’imposizione di «una fede di pace e d’amore con strumenti che furono … anche quelli dell’intimidazione … e della vera e propria violenza» – porta a un’amara constatazione: «le persecuzioni condotte e i massacri perpetrati nel nome della croce non sono stati né eccezioni confermanti la regola, né fatali ma casuali incidenti di percorso». Sarebbe piuttosto l’inevitabile conseguenza di una fondamentale impossibilità a vivere il Vangelo come cristianità: «il Vangelo non solo non è stato attuato nel cristianesimo, ma questo non si esaurisce affatto in quello».
L’equilibrio di giudizio di Cardini, docente di Storia medievale, riesce a svelenire la polemica senza tacere fatti e misfatti e fornisce chiavi di interpretazione solo apparentemente paradossali, come quando ricorda che la società cristiana che si afferma dal IV secolo in poi «è composta per la stragrande maggioranza di figli e di nipoti non già dei perseguitati, bensì dei persecutori».
Certo, il quadro che emerge ha toni amari, ma in questa luce cupa che ferisce la «buona notizia» portata da Gesù di Nazaret assumono un significato ancor più pregnante quei discepoli di Cristo restati «costantemente fedeli alla consegna di pace affidata dal maestro tanto da rinunziare perfino a difendersi». Non si tratta di evocarli quasi a coprire o sminuire i misfatti di altri, servono invece a ricordare che vivere da cristiani non è impresa sovrumana ma umanissima, che nulla e nessuno può impedire a un discepolo di seguire fino in fondo il suo Signore e restare fedele al Vangelo.
È quanto due celebrazioni chiave del Giubileo del 2000 mai troppo ricordate: la giornata del perdono e la commemorazione ecumenica dei martiri del XX secolo – hanno idealmente accostato: solo quando la chiesa riconosce i peccati commessi nel nome del cristianesimo può anche gloriarsi della luminosa testimonianza di tanti suoi figli che – con semplicità e risolutezza, con fierezza e senza arroganza alcuna hanno affermato con la loro vita e la loro morte che sì, il Vangelo è vivibile fino in fondo anche quando ogni cosa attorno, perfino in ambito cristiano, sembra spingere a un
compromesso con le forze del male.
di Enzo Bianchi
in “La Stampa” del 21 maggio 2011
Dal prologo:
La ricerca storica e magari le ragioni della discussione e perfino della polemica, ispirate talvolta anche da convinzioni o da propensioni anticlericali ma sostenute sovente anche dal ridimensionamento di certi eventi e dall’approfondimento di certe ricerche, ci avevano indotti a ritenere che non sempre i “martiri della fede” fossero stati tanto frequenti e numerosi quanto in passato era stato sostenuto. Gli eventi dell’ultimo trentennio circa hanno presentato invece l’allarmante ritorno di un incubo che credevamo dissolto: nuovi appelli a “guerre sante”, nuovi carnefici e nuove vittime tali anche e magari soprattutto nel nome di Dio. Come dice Pascal, sembra proprio che l’uomo non sia mai tanto capace di fare del male come quando lo commette nel nome di una fede religiosa: una sentenza che mantiene la sua verità anche da quando, cioè dal tardo Settecento in poi, sono sorte le “religioni laiche”.
Vero è altresí che, a partire dall’ultimo quarto circa del XX secolo, abbiamo assistito a una sorta di “ritorno selvaggio di Dio” e a un riaffermarsi di nuove forme di “guerra santa”. Da molti ambienti dell’immenso mondo musulmano alle regioni induiste del subcontinente indiano alla Cina, all’Africa, all’America latina, molti religiosi e anche semplici credenti laici sono stati uccisi: e, sempre piú spesso, si è trattato non solo di cristiani vittime della violenza, ma di vittime della violenza tali proprio in quanto cristiani. In effetti – a parte casi molto particolari e specifici, per esempio in Irlanda o in Libano o in Rwanda – in linea di massima i cristiani hanno rivestito il ruolo, nelle tristi effemeridi degli ultimi anni, mai di carnefici e persecutori bensí sempre di vittime e perseguitati. (…)
Ma, al di là delle forzature e delle vere e proprie calunnie, secondo le idées reçues che al riguardo circolano ordinariamente, episodi come i massacri dei sassoni pagani in età carolingia, le violenze compiute durante le crociate in Terrasanta o la Reconquista iberica, la repressione inquisitoriale, la liquidazione del catarismo nella Linguadoca duecentesca, le campagne dei Cavalieri Teutonici nel Nordest europeo, le stragi di native Americans che accompagnarono la conquista spagnola e portoghese dell’America centrale e meridionale o quella francese, inglese e olandese di quella settentrionale e infine la Riforma e le “guerre di religione” cinque-seicentesche con relative mattanze di “eretici”, cacce alle streghe e “Notti di San Bartolomeo”, altro non furono se non eccezioni confermanti una regola di pietà e di misericordia: incidenti di percorso d’una fede d’amore che di quando in quando ha tuttavia potuto venir meno a se stessa (e ciò varrebbe soprattutto per la Chiesa cattolica) e i cui fedeli hanno agito in contraddizione con la natura della loro religione e con le loro stesse convinzioni. (…)
Le pagine che seguono non intendono affatto costituire un j’accuse non diciamo contro il cristianesimo in quanto tale, ma neppure contro le società che nei secoli si sono dette cristiane o contro le Chiese e le confessioni cristiane storiche. Non si proporranno dunque piú o meno grandguignoleschi cataloghi di errori e di orrori, non si allineeranno argomenti “scandalosi” e recriminatorii, non si procederà ad alcuna macabra e ripugnante computisteria funebre. Ci si limiterà a richiamare i caratteri fondamentali delle persecuzioni delle quali i cristiani furono vittime tra I e IV secolo per mostrare come, nei due secoli successivi, la società divenuta a sua volta cristiana – e composta, non dimentichiamolo, per la stragrande maggioranza di figli e di nipoti non già dei perseguitati, bensí dei persecutori – si sia affermata a sua volta proponendo, ma anche imponendo, una fede di pace e d’amore con strumenti che furono non certo soltanto, ma tuttavia anche quelli dell’intimidazione, della costrizione legale, della seduzione e perfino della corruzione morale, della legislazione restrittiva o addirittura inibitrice della libertà di coscienza, dell’esibizione della forza militare e della vera e propria violenza. Ne sarebbe derivata una storia lunga secoli, che dall’alto Medioevo all’età coloniale andò di pari passo con l’impegno missionario: senza nulla togliere, beninteso, ai meriti di tanti missionari che anche in tempi recenti e recentissimi si sono sacrificati per amore dei poveri e degli ultimi.
Quel che intendiamo qui ricordare è che, all’origine delle pagine piú nere e sconcertanti non già del cristianesimo – che a sua volta non consiste tuttavia semplicemente ed esclusivamente nel rispetto dei valori evangelici –, ma della storia della società cristiana e delle Chiese storiche, non stanno momentanee fasi di obnubilamento bensí lo sviluppo e la conseguenza di premesse intrinseche non ai loro princípi, ma senza dubbio alla loro natura e alla dinamica secondo la quale esse si sono affermate nel mondo.