vedi anche: 50° del Concilio Vaticano II: il grande annuncio in Frontiera del 2-2-12
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La storia gira le sue pagine inesorabile e lenta. Ieri la storia di Firenze e della Chiesa italiana ne ha girata un’altra: s’è chiusa la vita terrena di don Enzo Mazzi. Uno spirito indomito e contestatario che lo portò a più riprese ad entrare in antagonismo con i suoi arcivescovi. Un nome che fa tutt’uno con «l’Isolotto», in una vicenda che il semplicismo ideologico – subito o prodotto – chiamerà «dissenso».
Quello che accade attorno a un parroco (nominato nel 1954, a 27 anni) e alla sua parrocchia prima del 1968 è qualcosa di ben più complesso ed emblematico. L’Isolotto diventa il mito di un cattolicesimo ribelle perché lì è cresciuta prima una esperienza di comunione, un segno di fraternità popolare che testimonia della fecondità del Vangelo nel tempo. Era questo che La Pira, inascoltato mediatore nel momento topico del conflitto voleva forse salvare, senza riuscire, in mesi — quelli fra il ’68 e il ’69 — nei quali la prepotente vitalità della primissima ricezione del Valicano II in Italia vira. Perché anche in Italia, come in tutto il mondo, il post-Concilio rafforza l’idea che si possa e si debba anticipare il tempo che verrà: e che dunque sia necessario trascinare nell’oggi, con la distruzione dei sistemi di potere, un domani quasi escatologico. Ma, a differenza di altri Paesi, in Italia il post- Concilio naufraga sulla politicizzazione della fede (politicizzata da sinistra, anziché dal collateralismo), come se solo l’organizzazione di un contropotere potesse «inverare» la fraternità attesa.
Di questo percorso don Enzo Mazzi è un protagonista che trova nella rigidità del cardinale Florit più d’una occasione di scontro. Dapprima insieme ad altri preti nella solidarietà con i ragazzi della Cattolica sgombrati dalla polizia dalla cattedrale di Parma, che avevano occupato per protesta contro i doni della banca locale per le nuove chiese. Poi nel momento in cui Florit – lo aveva già fatto per le elezioni del 1966 – lancia quell’ultimatum all’Isolotto che fa assurgere il caso alla ribalta nazionale.
Infine, subita la condanna della rimozione comminata nel dicembre 1968 e perfino un processo penale, nel superamento della forma parrocchiale e nella nascita della comunità di base.
Una comunità che alla fin fine — al netto di un linguaggio autocelebrativo e di un lessico politico patinato dal tempo – ha fatto della polemica con l’autorità la propria cifra. Con don Mazzi se ne va un pezzo di quella Firenze di cui egli interpretava un’anima più protestataria e che era stata per quindici anni il chiostro, per usare una espressione russa, dei «folli Dio»: una Firenze che aveva saputo dare al Paese il senso che ad alcuni, governati col solo sguardo dall’austero prestigio di Dalla Costa, premeva solo la fede. Cosette: di cui forse ci sarebbe bisogno anche oggi, se Firenze volesse averle.
di Alberto Melloni
in “Corriere Fiorentino” del 23 ottobre 2011
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La controversia sull’interpretazione del Concilio Vaticano II e sui cambiamenti nel magistero della Chiesa ha registrato in queste settimane nuovi sviluppi, anche ad alto livello.
Il primo è il “Preambolo dottrinale” che la congregazione per la dottrina della fede ha consegnato lo scorso 14 settembre ai lefebvriani della scismatica Fraternità Sacerdotale San Pio X, come base per una rappacificazione.
Il testo del “Preambolo” è segreto. Ma è stato descritto così nel comunicato ufficiale che ha accompagnato la sua consegna:
“Tale Preambolo enuncia alcuni principi dottrinali e criteri di interpretazione della dottrina cattolica, necessari per garantire la fedeltà al magistero della Chiesa e il ‘sentire cum Ecclesia’, lasciando nel medesimo tempo alla legittima discussione lo studio e la spiegazione teologica di singole espressioni o formulazioni presenti nei documenti del Concilio Vaticano II e del magistero successivo”.
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Un secondo sviluppo è l’intervento del cardinale Georges Cottier (nella foto) nella discussione in corso da alcuni mesi su www.chiesa e su “Settimo cielo”.
Cottier, 89 anni, svizzero, appartenente all’ordine dei domenicani, è teologo emerito della casa pontificia. Ha pubblicato il suo intervento sull’ultimo numero della rivista internazionale “30 Giorni”.
In esso, egli replica alla tesi sostenuta in www.chiesa dallo storico Enrico Morini, secondo cui con il Concilio Vaticano II la Chiesa ha voluto riallacciarsi alla tradizione del primo millennio.
Il cardinale Cottier mette in guardia dal pensare che il secondo millennio sia stato per la Chiesa un periodo di decadenza e di allontanamento dal Vangelo.
Nello stesso tempo, però, riconosce che il Vaticano II ha fatto bene a ridare forza alla visione di Chiesa che fu particolarmente viva nel primo millennio: non come soggetto a sé stante, ma come riflesso della luce di Cristo. E tratteggia le conseguenze concrete che derivano da tale corretta visione.
Il testo del cardinale Cottier è riprodotto integralmente in questa pagina, più sotto.
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Un terzo sviluppo della discussione riguarda una tesi del Vaticano II particolarmente contestata dai tradizionalisti: quella della libertà religiosa.
In effetti, c’è un’indubbia rottura tra le affermazioni in proposito del Vaticano II e le precedenti condanne del liberalismo fatte dai papi dell’Ottocento.
Ma “dietro quelle condanne c’era in realtà uno specifico liberalismo, quello statalista continentale, con le sue pretese di sovranità monista e assoluta che veniva avvertito come limitativo dell’indipendenza necessaria alla missione della Chiesa”.
Mentre invece “la riconciliazione pratica, portata a compimento dal Vaticano II, avviene attraverso il pluralismo di un altro modello liberale, quello anglosassone, che relativizza radicalmente le pretese dello Stato fino a farne non il monopolista del bene comune, ma una limitata realtà di pubblici uffici al servizio della comunità. Allo scontro tra due esclusivismi seguiva l’incontro nel segno del pluralismo”.
Le citazioni ora riportate sono tratte da un saggio che il professor Stefano Ceccanti, docente di diritto pubblico all’Università di Roma “La Sapienza” e senatore del Partito democratico, si appresta a pubblicare sulla rivista “Quaderni Costituzionali”:
> Benedetto XVI a Westminster Hall e al Bundestag: l’elogio del costituzionalismo
Nel saggio, Ceccanti analizza i due importanti discorsi pronunciati da Benedetto XVI lo scorso 22 settembre al Bundestag di Berlino e il 17 settembre del 2010 a Westminster Hall, per mostrare come entrambi i discorsi “sono in stretta continuità con quella riconciliazione operata dal Concilio”.
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Un quarto sviluppo è l’uscita in Italia di questo libro:
Pietro Cantoni, “Riforma nella continuità. Riflessioni sul Vaticano II e l’anticonciliarismo”, Sugarco Edizioni, Milano, 2011.
Il libro passa in rassegna i testi più controversi del Concilio Vaticano II, per mostrare che anche in essi tutto è leggibile e spiegabile alla luce della tradizione e della grande teologia della Chiesa, san Tommaso incluso.
L’autore, il sacerdote Pietro Cantoni – dopo aver passato alcuni anni giovanili in Svizzera nella comunità lefebvriana di Ecône ed esserne uscito – si formò a Roma alla scuola di uno dei maggiori maestri della teologia tomista, monsignor Brunero Gherardini.
Ma proprio contro il suo maestro si appuntano le critiche di questo suo libro. È Gherardini uno degli “anticonciliari” più presi di mira.
In effetti, monsignor Gherardini, nei suoi ultimi volumi, ha avanzato serie riserve sulla fedeltà alla Tradizione di alcune affermazioni del Concilio Vaticano II: nella costituzione dogmatica “Dei Verbum” circa le fonti della fede, nel decreto “Unitatis redintegratio” circa l’ecumenismo, nella dichiarazione “Dignitatis humanae” circa la libertà religiosa.
“La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma stampata con il previo controllo della segreteria di Stato vaticana, nel recensire in settembre un suo libro ha riconosciuto all’anziano e autorevole teologo un “sincero attaccamento alla Chiesa”.
Ma questo non impedisce a Gherardini di appuntare le sue critiche graffianti sullo stesso Benedetto XVI, colpevole, a suo dire, di una esaltazione del Concilio che “tarpa le ali dell’analisi critica” e “impedisce di guardare al Vaticano II con occhio più penetrante e meno abbacinato”.
Da due anni Gherardini aspetta invano dal papa ciò che gli ha chiesto in una “supplica” pubblica: sottoporre a riesame i documenti del Concilio e chiarire in forma definitoria e definitiva “se, in che senso e fino a che punto” il Vaticano II fosse o no in continuità con il precedente magistero della Chiesa.
Nel marzo del 2012 ha annunciato l’uscita di un suo nuovo libro sul Concilio Vaticano II, che si prevede ancor più critico dei precedenti.
Quanto al libro di Pietro Cantoni, un suo commento ad opera di Francesco Arzillo è più sotto in questa pagina, dopo l’articolo del cardinale Cottier.
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Un’altra novità è il premio Acqui Storia che sarà assegnato il prossimo 22 ottobre a Roberto de Mattei per il volume “Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta”, edito da Lindau e di cui www.chiesa ha riferito a suo tempo.
Il premio Acqui è uno dei più prestigiosi, nel campo degli studi storici. La giuria che ha deciso di conferirlo a de Mattei è composta da studiosi di vario orientamento, cattolici e non cattolici.
Il loro presidente, però, il professor Guido Pescosolido dell’Università di Roma “La Sapienza”, si è dimesso dalla carica proprio per dissociarsi da questa decisione.
A giudizio del professor Pescosolido, il libro di de Mattei sarebbe viziato da uno spirito militante anticonciliare, incompatibile con i canoni della storiografia scientifica.
A sostegno del professor Pescosolido si è schierata con un comunicato la SISSCO, Società per lo Studio della Storia Contemporanea, presieduta dal professor Agostino Giovagnoli, esponente di spicco della comunità di Sant’Egidio, e con nel direttivo un altro esponente della stessa comunità, il professor Adriano Roccucci.
E sul “Corriere della Sera” il professor Alberto Melloni – coautore di un’altra famosa storia del Vaticano II anch’essa sicuramente “militante” ma su sponda progressista, quella prodotta dalla “scuola di Bologna” di don Giuseppe Dossetti e Giuseppe Alberigo e tradotta in più lingue – ha addirittura svilanneggiato de Mattei. Pur riconoscendogli di aver arricchito la ricostruzione della storia del Concilio con documenti inediti, ha equiparato il suo libro a “tanto opuscolame anticonciliare” immeritevole di considerazione.
Al confronto, la pacatezza con cui il professor de Mattei ha sopportato simili affronti è stata per tutti una lezione di stile.
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Infine, sempre nella linea interpretativa di monsignor Gherardini e del professor de Mattei, è uscito il 7 ottobre in Italia un altro libro che individua già nel Concilio Vaticano II i guasti venuti alla luce nel dopoconcilio:
Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro, “La Bella addormentata. Perché col Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà”, Vallecchi, Firenze, 2011.
I due autori non sono né storici né teologi, ma sostengono la loro tesi con competenza e con efficacia comunicativa, per una platea di lettori più vasta di quella raggiunta dagli specialisti.
Su sponda opposta rispetto a quella tradizionalista, anche il teologo Carlo Molari ha ampliato l’attenzione alla disputa, in una serie di articoli sulla rivista “La Rocca” della Pro Civitate Christiana di Assisi, nei quali ha ripreso e discusso gli interventi apparsi su www.chiesa e su “Settimo cielo”.
Anche grazie a loro, è quindi prevedibile che la controversia sul Vaticano II si allarghi a un maggior pubblico. Proprio alla vigilia dei cinquant’anni dall’apertura della grande assise, nel 2012.
Per l’occasione, dal 3 al 6 ottobre dell’anno prossimo il Pontificio Comitato di Scienze Storiche ha in cantiere un convegno di studio su come i vescovi che parteciparono al Concilio lo descrissero nel loro diari e archivi personali.
E l’11 ottobre 2012, giorno anniversario dell’apertura del Concilio ma anche ventesimo compleanno del Catechismo della Chiesa cattolica, inizierà uno speciale “anno della fede”, che terminerà il 24 novembre dell’anno successivo, solennità di Cristo Re dell’Universo. Benedetto XVI ne ha dato l’annuncio il 16 ottobre, nell’omelia della messa da lui celebrata nella basilica di San Pietro con migliaia di annunciatori pronti ad operare per la “nuova evangelizzazione”, e l’ha indetto con questo motu proprio:
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QUELLA PERCEZIONE DELLA CHIESA COME “LUCE RIFLESSA” CHE UNISCE I PADRI DEL PRIMO MILLENNIO E IL CONCILIO VATICANO II
di Georges Cottier
Nell’ormai prossimo 2012 cadranno i cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II. A mezzo secolo di distanza, quello che è stato un avvenimento maggiore della vita della Chiesa continua a suscitare dibattiti – che probabilmente si intensificheranno nei prossimi mesi – su quale sia l’interpretazione più adeguata di quella assemblea conciliare.
Le dispute di carattere ermeneutico, certo importanti, rischiano però di diventare controversie per addetti ai lavori. Mentre può interessare a tutti, soprattutto nel momento presente, riscoprire quale sia stata la sorgente ispiratrice che ha animato il Concilio Vaticano II.
La risposta più comune riconosce che quell’evento era mosso dal desiderio di rinnovare la vita interiore della Chiesa e adattare anche la sua disciplina alle nuove esigenze per riproporre con nuovo vigore la sua missione nel mondo attuale, attenta nella fede ai “segni dei tempi”. Ma per andare più alla radice, occorre cogliere quale era il volto più intimo della Chiesa che il Concilio si proponeva di riconoscere e ripresentare al mondo, nel suo intento di aggiornamento.
Il titolo e le prime righe della costituzione dogmatica conciliare “Lumen gentium”, dedicata alla Chiesa, sono in questo senso illuminanti nella loro chiarezza e semplicità: “Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura, illuminare tutti gli uomini con la luce di Cristo che risplende sul volto della Chiesa”. Nell’incipit del suo documento più importante, l’ultimo Concilio riconosce che il punto sorgivo della Chiesa non è la Chiesa stessa, ma la presenza viva di Cristo che edifica personalmente la Chiesa. La luce che è Cristo si riflette come in uno specchio nella Chiesa.
La coscienza di questo dato elementare (la Chiesa è il riflesso nel mondo della presenza e dell’agire di Cristo) illumina tutto ciò che l’ultimo Concilio ha detto sulla Chiesa. Il teologo belga Gérard Philips, che della costituzione “Lumen gentium” fu il principale redattore, mise in evidenza proprio questo dato all’inizio del suo monumentale commento al testo conciliare.
Secondo lui, “la costituzione sulla Chiesa adotta sin dall’inizio la prospettiva cristocentrica, prospettiva che si affermerà istantaneamente nel corso di tutta l’esposizione. La Chiesa ne è profondamente convinta: la luce delle genti si irradia non da essa, ma dal suo divino Fondatore: pure, la Chiesa sa bene che, riflettendosi sul suo volto, questo irradiamento raggiunge l’umanità intera”. Una prospettiva di sguardo ripresa fin nelle ultime righe dello stesso commento, nelle quali Philips ripeteva che “non sta a noi profetare sul futuro della Chiesa, sui suoi insuccessi e sviluppi. Il futuro di questa Chiesa, di cui Dio ha voluto fare il riflesso di Cristo, Luce dei Popoli, sta nelle Sue mani”.
La percezione della Chiesa come riflesso della luce di Cristo accomuna il Concilio Vaticano II ai Padri della Chiesa, che fin dai primi secoli ricorrevano all’immagine del “mysterium lunae”, il mistero della luna, per suggerire quale fosse la natura della Chiesa e l’agire che le conviene. Come la luna, “la Chiesa splende non di luce propria, ma di quella di Cristo” (“fulget Ecclesia non suo sed Christi lumine”), dice sant’Ambrogio. Mentre per Cirillo d’Alessandria “la Chiesa è circonfusa dalla luce divina di Cristo, che è l’unica luce nel regno delle anime. C’è dunque una sola luce: in quest’unica luce splende tuttavia anche la Chiesa, che non è però Cristo stesso”.
In questo senso, merita attenzione la valutazione offerta di recente dallo storico Enrico Morini in un intervento ospitato sul sito www.chiesa.espressonline.it curato da Sandro Magister.
Secondo Morini – che è professore di storia del cristianesimo e delle Chiese presso l’Università di Bologna – il Concilio Vaticano II si è posto “nella prospettiva della più assoluta continuità con la tradizione del primo millennio, secondo una periodizzazione non puramente matematica ma essenziale, essendo il primo millennio di storia della Chiesa quello della Chiesa dei sette Concili, ancora indivisa […]. Promuovendo il rinnovamento della Chiesa il Concilio non ha inteso introdurre qualcosa di nuovo – come rispettivamente desiderano e temono progressisti e conservatori – ma ritornare a ciò che si era perduto”.
L’osservazione può creare equivoci, se viene confusa con il mito storiografico che vede la vicenda storica della Chiesa come una progressiva decadenza e un allontanamento crescente da Cristo e dal Vangelo. Né si possono accreditare contrapposizioni artificiose per le quali lo sviluppo dogmatico del secondo millennio non sarebbe conforme alla Tradizione condivisa durante il primo millennio dalla Chiesa indivisa. Come ha evidenziato il cardinale Charles Journet, rifacendosi anche al beato John Henry Newman e al suo saggio sullo sviluppo del dogma, il “depositum” che abbiamo ricevuto non è un deposito morto, ma un deposito vivente. E tutto ciò che è vivente si mantiene in vita sviluppandosi.
Allo stesso tempo, va colta come un dato oggettivo la corrispondenza tra la percezione della Chiesa espressa nella “Lumen gentium” e quella già condivisa nei primi secoli del cristianesimo. La Chiesa non viene cioè presupposta come un soggetto a sé stante, prestabilito. La Chiesa rimane al dato che la sua presenza nel mondo fiorisce e permane come riconoscimento della presenza e dell’azione di Cristo.
A volte, anche nella nostra più recente attualità ecclesiale, questa percezione del punto sorgivo della Chiesa sembra per molti cristiani offuscarsi, e sembra avvenire una sorta di rovesciamento: da riflesso della presenza di Cristo (che con il dono del Suo Spirito edifica la Chiesa) si passa a percepire la Chiesa come una realtà materialmente e idealmente impegnata ad attestare e realizzare da sé la propria presenza nella storia.
Da questo secondo modello di percezione della natura della Chiesa, che non è conforme alla fede, discendono conseguenze concrete.
Se, come si deve, la Chiesa si percepisce nel mondo come riflesso della presenza di Cristo, l’annuncio del Vangelo non può che avvenire nel dialogo e nella libertà, rinunciando a ogni mezzo di coercizione sia materiale che spirituale. È la strada indicata da Paolo VI nella sua prima enciclica “Ecclesiam suam”, pubblicata nel 1964, che esprime perfettamente lo sguardo sulla Chiesa proprio del Concilio.
Anche lo sguardo che il Concilio ha rivolto sulle divisioni tra i cristiani e poi sui credenti delle altre religioni, rifletteva la stessa percezione della Chiesa. Così anche la richiesta di perdono per le colpe dei cristiani, che ha stupito e fatto discutere in seno al corpo ecclesiale quando fu presentata da Giovanni Paolo II, è perfettamente consonante con la coscienza di Chiesa fin qui descritta. La Chiesa chiede perdono non per seguire logiche di onorabilità mondana, ma perché riconosce che i peccati dei suoi figli offuscano la luce di Cristo che essa è chiamata a lasciar riflettere sul suo volto. Tutti i suoi figli sono peccatori chiamati per l’azione della grazia alla santità. Una santificazione che è sempre dono della misericordia di Dio, il quale desidera che nessun peccatore – per quanto orribile sia il suo peccato – venga ghermito dal maligno nella via della perdizione. Così si comprende la formula del cardinal Journet: la Chiesa è senza peccato, ma non senza peccatori.
Il riferimento alla vera natura della Chiesa come riflesso della luce di Cristo ha anche immediate implicazioni pastorali. Purtroppo, nell’attuale contesto, si registra la tendenza di vescovi a esercitare il proprio magistero attraverso pronunciamenti per via mediatica, in cui spesso si forniscono prescrizioni, istruzioni e indicazioni su cosa devono o non devono fare i cristiani. Come se la presenza dei cristiani nel mondo fosse il prodotto di strategie e prescrizioni e non sorgesse dalla fede, cioè dal riconoscimento della presenza di Cristo e del suo messaggio.
Forse, nel mondo attuale, sarebbe più semplice e confortante per tutti poter ascoltare pastori che parlano a tutti senza dare per presupposta la fede. Come ha riconosciuto Benedetto XVI durante la sua omelia a Lisbona il 12 maggio 2010: “Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, e ciò, purtroppo, è sempre meno realista”.
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UN BUON LIBRO E DUE CATECHISMI DA CONFRONTARE
di Francesco Arzillo
L’uscita del libro di Pietro Cantoni “Riforma nella continuità. Riflessioni sul Vaticano II e l’anticonciliarismo” è un evento che merita di essere segnalato con favore. Si tratta, infatti, di un esempio di rigoroso esercizio di un’ermeneutica continuistica: ottima medicina per la malattia rappresentata dalla polarizzazione in atto nell’opinione pubblica ecclesiale, quale risulta soprattutto dai dibattiti mediatici alimentati da minoranze “impegnate” ma assai poco presenti nella vita dei cattolici parrocchiali medi, ossia della larga maggioranza dei fedeli.
Il lettore non teologo viene guidato da Cantoni nella lettura di alcuni dei più celebri tra i passi controversi dei testi del Concilio, per scoprire infine che in essi non vi è nulla che non sia leggibile e spiegabile alla luce della Tradizione e della grande teologia della Chiesa, san Tommaso incluso.
Dispiace rilevare che questo atteggiamento possa essere interpretato – da alcuni – come una sorta di aprioristica difesa del Vaticano II, la quale pregiudicherebbe il giusto impegno contro le esasperazioni e i guasti di una parte della teologia e delle prassi postconciliari.
Ma poi, come potrebbe un cattolico non difendere un Concilio ecumenico? Su quale fonte teologica o magisteriale potrebbe appoggiarsi un simile atteggiamento? Potrebbe un cattolico selezionare gli insegnamenti dei pastori scegliendo fior da fiore in ragione della propria sensibilità e delle proprie tendenze culturali o religiose?
La grande portata del Concilio Vaticano II attende ancora di essere esplorata a fondo nella sua ricchezza pluriforme, che pone certo dei problemi interpretativi, ma suscita anche speranze e stimoli verso una sempre migliore comprensione del mistero della fede cristiana.
Ma qual è il ruolo del semplice fedele in tutto questo? Certamente non si può pretendere che egli si iscriva a uno dei partiti teologico-liturgico-ecclesiali presenti sulla piazza, condividendone le idiosincrasie e i presupposti spesso unilaterali e aprioristici.
Né si può ragionevolmente auspicare che il semplice fedele sia condotto, ad esempio, a sottostimare la Messa di Paolo VI rispetto alla Messa di san Pio V o viceversa; o a sottostimare santa Edith Stein rispetto a santa Teresa d’Avila o viceversa. Ciò significherebbe privare la Chiesa della dimensione distesa nei secoli della cattolicità e assecondare la concezione cripto-apocalittica della “rottura” che si sarebbe verificata nell’età moderna (quali che siano la datazione e la lettura, positiva o negativa, che si vogliano dare di tale rottura).
Soprattutto il mondo tradizionalista pare non rendersi conto del fatto che l’adesione – anche se nella forma del contrasto – alla concezione della modernità come rottura rappresenta una evidente forma di subordinazione ideologica all’avversario, del quale si finisce con l’accettare il presupposto di partenza.
Viene voglia di suggerire, in proposito, un esercizio anche più semplice di quello riservato ai teologi. Suggeriamo di leggere, ad esempio, almeno qualche parte del Catechismo di san Pio X in parallelo con il “Compendio” di Benedetto XVI.
Una simile lettura porta a scoperte entusiasmanti. Fa veder bene non solo come tra i due catechismi non c’è contraddizione alcuna, ma come i rispettivi dati si illuminino a vicenda in un arricchimento circolare ma non autoreferenziale, perché orientato al referente ultimo, che è il Mistero Santo nella sua oggettiva e trascendente realtà.
Questo non significa, ovviamente, non vedere i problemi – anche gravi – del tempo presente, tra i quali anche il problema delle carenze epistemologiche e contenutistiche delle teologie più diffuse (argomento, questo, che sarà oggetto di un’approfondita indagine in un libro del filosofo don Antonio Livi, di prossima pubblicazione).
Significa però vedere tali problemi nella giusta luce, ossia, in ultima analisi, vederli nello Spirito che anima la Chiesa madre e maestra e che non ha smesso di sostenerla anche nell’epoca contemporanea: lo Spirito di Gesù Cristo, il quale è con noi “tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).
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La rivista che ha pubblicato l’intervento del cardinale Cottier:
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Un commento di Brunero Gherardini alle critiche di Pietro Cantoni:
> Risposta a don Cantoni: fra teologia e amarezza
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Un’intervista a Gnocchi e Palmaro sul loro nuovo libro:
> Concilio Vaticano II: il mito di un “superdogma” da cui uscire
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Il discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 che ha acceso la discussione sull’ermeneutica del Concilio:
Un ampio dibattito sulla corretta interpretazione dei documenti del Concilio Vaticano II ha coinvolto, in questi ultimi tempi, personalità significative, dell’area conservatrice e di quella progressista, del mondo cattolico.
Le critiche di alcuni tradizionalisti si concentrano in particolare su come Benedetto XVI interpreta il Concilio Vaticano II e il postconcilio. Il papa sbaglia – a loro giudizio – quando limita la sua critica alle degenerazioni del postconcilio. Il Vaticano II, infatti – sempre a loro giudizio –, non è stato solo male interpretato e applicato: fu esso stesso portatore di errori, il primo dei quali fu la rinuncia delle autorità della Chiesa ad esercitare, quando necessario, un magistero di definizione e di condanna; la rinuncia, cioè, all’anatema, a vantaggio del dialogo.
La stessa giornata di “riflessione, dialogo e preghiera” assieme a cristiani di altre confessioni, a esponenti di altre religioni e a “uomini di buona volontà” che Benedetto XVI presiederà ad Assisi il prossimo 27 ottobre dovrebbe segnare una svolta e ripulire da ogni ombra di assimilazione della Chiesa cattolica alle altre fedi.
Un aspetto di quella più generale confusione che ha avuto origine dal Concilio Vaticano II e sta disgregando, secondo alcuni, la dottrina cattolica.
Possiamo citare a questo proposito il volume recentemente pubblicato dal professor Roberto de Mattei: “Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta”. Sul piano teologico, invece, il volume “Concilio Vaticano II. Un discorso da fare”, di Brunero Gherardini, professore emerito della Pontificia Università Lateranense e direttore della rivista di teologia tomista “Divinitas”. Di Gherardini è uscito ora un nuovo libro intitolato: “Concilio Vaticano II. Il discorso mancato”. A questi testi possiamo aggiungere il saggio “Ingresso alla bellezza” del 2007, di Enrico Maria Radaelli, filosofo e teologo, discepolo del maggior pensatore tradizionalista del secolo XX, Romano Amerio. Di Radaelli è uscito in questi giorni l’edizione di un secondo saggio altrettanto rimarchevole, dal titolo: “La bellezza che ci salva”.
Per tutti loto fonte di confuzione è la convocazione dell’incontro interreligioso ad Assisi e l’aver dato vita al “Cortile dei gentili”. La colpa maggiore addebitata a papa Ratzinger è quella di essersi “reso drammaticamente disponibile a essere anche criticato, non pretendendo alcuna infallibilità”, come ha scritto lui stesso nella prefazione ai suoi libri su Gesù. Errore, questo, capitale del Concilio Vaticano II: la rinuncia alle definizioni dogmatiche, a vantaggio di un linguaggio “pastorale” e quindi inevitabilmente equivoco. A queste voci si uniscono anche quelli di auterevoli presuli quali quelle del Cardinale, Albert Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo, di Mario Olivieri vescovo di Albenga-Imperia
Lo scorso dicembre si è tenuto a Roma un convegno, “per una giusta ermeneutica del Concilio alla luce della Tradizione della Chiesa” in cui sono intervenuti tra gli altri De Mattei, Gherardini, Radaelli ed hanno tenuto relazioni anche il cardinale Velasio de Paolis, il vescovo di San Marino e Montefeltro Luigi Negri e monsignor Florian Kolfhaus della segreteria di stato vaticana. E un altro vescovo molto stimato, l’ausiliare di Astana nel Kazakistan, Athanasius Schneider, ha concluso il suo intervento con la proposta al papa di emanare un “Syllabus” contro gli errori dottrinali di interpretazione del Concilio Vaticano II.
Il vescovo Schneider, però, come quasi tutti i partecipanti al convegno non ritiene che vi siano nei documenti del Vaticano II effettivi punti di rottura con la grande tradizione della Chiesa. L’ermeneutica con la quale egli interpreta i documenti del Concilio è quella definita da Benedetto XVI nel suo memorabile discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005: “l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa”. È un’ermeneutica sicuramente compatibile con l’attaccamento alla tradizione della Chiesa. Ed è anche l’unica capace di vincere la contrarietà di alcuni tradizionalisti riguardo alle “novità” del Concilio Vaticano II.
Riportiamo di seguito una significativa documentazione del dibattito intercorso:
Nella disputa sul Concilio Vaticano II interviene il teologo benedettino Basile Valuet. Contro i tradizionalisti Gherardini e de Mattei. Ma anche contro il “ratzingeriano” Rhonheimer. Che in un Post Scriptum replica. E replicano anche Cavalcoli, Introvigne… Con la controreplica di Valuet
Introvigne replica a de Mattei, capofila degli anticonciliaristi. E il professor Rhonheimer torna a spiegare come e perché il Vaticano II va capito e accettato. Nel modo indicato dal papa
E ha commesso errori, sostiene lo storico tradizionalista Roberto de Mattei. Continua la disputa pro e contro i papi che hanno guidato il Concilio e mettono in pratica le sue innovazioni
Si infiamma la discussione su come interpretare le novità del Concilio Vaticano II, soprattutto sulla libertà di religione. I tradizionalisti contro Benedetto XVI. Un saggio del filosofo Martin Rhonheimer a sostegno del papa.
Inos Biffi e Agostino Marchetto replicano su “L’Osservatore Romano” ai tradizionalisti Brunero Gherardini e Roberto de Mattei, che rimproverano all’attuale papa di non aver corretto gli “errori” del Concilio Vaticano II.
Sono alcuni dei maggiori pensatori tradizionalisti. Avevano scommesso su di lui e ora si sentono traditi. Ultime delusioni: il Cortile dei gentili e l’incontro di Assisi. L’accusa che fanno a Ratzinger è la stessa che fanno al Concilio: aver sostituito la condanna col dialogo