La “Carta dei doveri dei bambini e degli adolescenti”,

Bambini e adolescenti soggetti di diritti, ma anche di doveri

 

È stata presentata presso la Regione Calabria la “Carta dei doveri dei bambini e degli adolescenti”, nata da un protocollo di intesa fra Regione, Ufficio scolastico regionale e Osservatorio sui Diritti dei Minori.

L’iniziativa, che pone la Calabria all’avanguardia in tema di tutela dei minori, evidenzia la necessità di riequilibrare diritti e doveri dei cittadini, a prescindere dall’età e senza venir meno al dovere della tutela del minore. Tuttavia, è necessario che i più giovani divengano consapevoli che non si possono rivendicare i diritti senza rispettare i doveri.

L’Assessore Regionale alla Cultura Mario Caligiuri nel presentare la Carta ha precisato che “si tratta di un’iniziativa rivoluzio­na­ria sul piano culturale, che pone l’accento sul terreno della responsabilità, non solo verso i minori, che hanno anch’essi delle responsabilità sociali, ma anche verso i genitori e gli educatori, dando priorità alla sfera dei doveri. Responsabilizzare bambini e adolescenti sui doveri verso la società significa stimolare la capacità di rivendicazione consapevole dei propri diritti e, dunque, del rispetto della legalità”.

La Carta vuole mettere in evidenza come anche per i più giovani si debba e si possa parlare di doveri come quello di studiare, e non solo rivendicare il diritto allo studio, o di corrispondere ai propri doveri nei confronti della famiglia.

La Carta dei doveri, nata in Calabria, rappresenta tuttavia un’idea che vuole porsi come un ausilio educativo fondamentale per genitori e docenti.

Fra le iniziative idonee a farla conoscere si vuole –  ha dichiarato Francesco Mercurio, direttore dell’Ufficio scolastico regionale per la Calabria – avviare un’attività di formazione del personale docente individuando le azioni concrete da mettere in atto per il raggiungimento degli obiettivi dell’iniziativa che abbiamo concordato con la Regione e l’Osservatorio sui diritti dei minori anche per introdurre un nuovo modo per educare i bambini alla legalità”.

 




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tuttoscuola.com

Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

si celebra in questo mese la giornata dell’UNICEF per orientare la propria azione con  la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rigths of the Child), approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989.

Costruita armonizzando differenti esperienze culturali e giuridiche, la Convenzione enuncia per la prima volta, in forma coerente, i diritti fondamentali che devono essere riconosciuti e garantiti a tutti i bambini e a tutte le bambine del mondo.

Essa prevede anche un meccanismo di controllo sull’operato degli Stati, che devono presentare a un Comitato indipendente un rapporto periodico sull’attuazione dei diritti dei bambini sul proprio territorio.

 

La Convenzione è rapidamente divenuta il trattato in materia di diritti umani con il maggior numero di ratifiche da parte degli Stati. Ad oggi sono ben 193 gli Stati parti della Convenzione

La Convenzione è composta da 54 articoli e da due Protocolli opzionali (sui bambini in guerra e sullo sfruttamento sessuale).

Sono quattro i suoi principi fondamentali:

a)         Non discriminazione (art. 2): i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a tutti i minori, senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinione del bambino/adolescente o dei genitori.

b)         Superiore interesse (art. 3): in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l’interesse del bambino/adolescente deve avere la priorità.

c)         Diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo del bambino (art. 6): gli Stati decono impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita e il sano sviluppo dei bambini, anche tramite la cooperazione tra Stati.

d)        Ascolto delle opinioni del minore (art. 12): prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano, e il corrispondente dovere, per gli adulti, di tenerne in adeguata considerazione le opinioni.

 

L’Italia ha ratificato la Convenzione con Legge n. 176 del 27 maggio 1991 e ha fino ad oggi presentato al  Comitato sui Diritti dell’Infanzia quattro Rapporti.

Più che presentare le solite tiritere( inascoltate e non lette) , vi proponiamo quello che dice Oscar Brenifier, il filosofo dei bambini (e dei loro genitori)

Parlare di filosofia con i bambini: impresa impossibile?

No, al contrario. I più piccoli sono naturalmente predisposti a porsi le domande sul senso della vita, un’abitudine che, anzi, si perde man mano ci si avvicina all’età adulta..

Oscar Brenifier(presente a più incontri in Italia), che attività proporrà ai ragazzi durante l’atelier?
Un atelier di filosofia è un luogo di riflessione. Non si tratta né di esprimersi né di ostentare le proprie conoscenze, ma di realizzare delle esperienze di pensiero. Fare delle ipotesi, esaminarle insieme in modo critico, scoprire le assurdità nelle nostre abitudini menatali e pensare l’impensabile.

Quali tematiche tratterà?
I temi non sono così importanti. Possiamo utilizzare i miei libri di filosofia per i bambini sulle grandi questioni, o  sull’amore e l’amicizia, o anche le domande che proporranno i bambini stessi. Ma quello che importa è soprattutto vedere come noi pensiamo e pensare ai nostri stessi pensieri.

Qual è il segreto per attirare l’attenzione dei bambini?
I bambini amano le domande, ce le pongono e noi le poniamo a loro. Si tratta di far scoprire loro il piacere di pensare, di mettere in scena il pensiero, di scoprire o svegliare il piacere del pensiero. Devono imparare che pensare non è necessariamente un dovere scolastico o morale, una sorta di punizione.

Come ha scoperto che sa comunicare così facilmente con i bambini in tema di filosofia?
E’ come per la ginnastica o la pittura. Certe persone hanno delle attitudini innate, che sono più vive, più coscienti, più precoci: è la loro maniera di essere, sono sempre state così. Altre sono più lente, o risentono di un certo timore: con queste si tratta di essere più pazienti.

Che cosa possono imparare gli adulti dalla filosofia dei bambini?
Non c’è una filosofia dei bambini, c’è semplicemente la filosofia: l’arte di pensare. Ma questa pratica fa spesso paura agli adulti, per timore della verità e della coscienza. Fare filosofia con i bambini è dunque una possibilità: quella di prendersi il tempo di pensare alle questioni importanti dell’esistenza, un’igiene benefica e necessaria un po’ a tutti.

Da dove deriva l’idea che sta alla base dei libri?
Come accade per la maggior parte dei libri che scrivo, derivano dalla pratica, dai lavori che faccio con adulti e bambini. Ormai da tanti anni lavoro sul concetto di filosofia pratica, con l’idea di introdurre il grande pubblico alla filosofia, intesa non come un’attività accademica, ma come un modo di affrontare la nostra vita, ciò in cui crediamo, quello che facciamo. Ciò ricorda il modo che si aveva di fare filosofia nell’antichità, o in Oriente, invece di considerarla solo come una materia scolastica. La filosofia prende quindi la forma di un dialogo, più che del solito monologo del professore.

Secondo lei come mai la divulgazione della filosofia è cresciuta negli ultimi anni?
E’ vero, l’interesse per la filosofia è cresciuto presso il grande pubblico negli ultimi tempi: io stesso lo vedo dal successo dei miei libri, tradotti in trenta lingue, e dalla richiesta di filosofia pratica che arriva da persone di estrazione diversa. Credo che questo fenomeno sia in qualche modo una risposta alle decostruzione dei valori tradizionali, un risultato del postmoderno. La gente ora cerca valori, cerca il significato della vita, si pone domande sulla sua esistenza e sui principi sociali, ma molti non hanno intenzione di tornare ai tradizionali dogmi politici, morali o religiosi.

Cos’è l’Istituto di Pratica Filosofica, da lei fondato?
Ho fondato l’Institut de Pratiques Philosophiques quindici anni fa, insieme a mia moglie Isabelle Millon, che è anche una mia collaboratrice; l’idea era quella di promuovere la filosofia come pratica a tutti i livelli sociali. Abbiamo iniziato a proporre dei workshop filosofici o dei “Cafè-philosophique” alle biblioteche comunali, ottenendo un buon successo. Adesso teniamo queste attività in prigioni, centri sociali, scuole, uffici, eccetera. Ho anche sviluppato il concetto di “consulto filosofico”, dove le persone vengono da me singolarmente per discutere su argomenti per loro importanti. Adesso formiamo molti insegnanti e chiunque voglia imparare questa attività per trarne giovamento nella propria vita o per applicarla sul luogo di lavoro. Abbiamo tenuti seminari del genere in quaranta Paesi, Italia compresa.

 

Chi é

Oscar Brenifier è il filosofo dei bambini (e dei loro genitori).  E’ uno specialista di filosofia per l’infanzia, direttore dell’Institut de Pratiques Philosophiques, autore di numerosi libri di filosofia per bambini, lavora da anni sul concetto di filosofia pratica, con l’idea di introdurre il grande pubblico alla filosofia. Durante l’Atelier di filosofia l’autore inviterà  genitori e bambini a dialogare intorno a diversi temi e idee proposte per esaminarle in modo attento e ciascuno scoprirà che i differenti problemi parlano a ognuno diversamente e che è piacevole e arricchente discuterne insieme. Obiettivo di questa esperienza quale che sia l’età dei partecipanti è capire nuove idee, approfondirle, problematizzarle fra domande e obiezioni, chiarirle mettendone a fuoco i concetti fondamentali. Obbiettivo è fare filosofia, renderla pratica e praticarla, inserendola nella dimensione dell’ascolto, del sentire e del sentirsi. Obbiettivo è imparare a pensare e fornire anche ai bambini gli strumenti del pensiero filosofico.

 

PERCHE’ FARE FILOSOFIA CON I BAMBINI?

I bambini si fanno domande che gli adulti hanno perso l’abitudine di farsi o non osano più porsi. I bambini sanno meravigliarsi, le cose evidenti e quotidiane provocano in loro domande, la loro immaginazione li autorizza a pensare l’impensabile. Tuttavia questo fermento si perde abbastanza rapidamente se non nutrito, se ignorato o percepito dall’ambiente circostante come semplice fantasia. D’altra parte il bambino non è cosciente delle implicazioni delle sue intuizioni, delle conseguenze sull’esistenza e sui pensieri. È qui che il dialogo dei bambini con gli adulti si rende utile e necessario per gli uni come per gli altri. Avere il tempo di esaminare le grandi domande, prendere in considerazione in modo critico le diverse ipotesi per approfondirle, imparare a pensare insieme, ecco in cosa consiste l’arte di fare filosofia. Alcuni adulti non vedono l’interesse di fare filosofia con i bambini, pensano che siano troppo piccoli o non si ritengono in grado di gestire tali discussioni. E’ per questi motivi che Oscar Brenifier ha pubblicato diversi libri di filosofia per i bambini, che possono essere usati a casa e a scuola. Gli adulti scopriranno che si può riflettere su temi importanti in modo semplice e ludico.

 

I SUOI LIBRI IN ITALIA


Oscar Brenifier insieme con l’illustratore Jacques Despres ha pubblicato per Isbn Edizioni Il libro dei grandi contrari filosofici, Il libro dell’amore e dell’amicizia, Il senso della vita, Il bene e il male e Il concetto di Dio. Ha lavorato in diversi paesi per promuovere corsi di filosofia. Per l’Unesco ha scritto il rapporto La philosophie non académique dans le monde.
Anche  nell’ultimo libro, “IL CONCETTO DI DIO” Brenifier e Després(suo collaboratore) puntano sempre più in alto. Si interrogano su Dio, con uno stile originale e fantastiche tavole tridimensionali. Cos’è Dio? La domanda è evocativa, affascinante e dà spazio alle più svariate interpretazioni. Ma Oscar Brenifier e Jacques Després non hanno paura di confrontarsi con un’impresa così difficile, e in questo nuovo libro illustrato provano a dare delle risposte, affinando ulteriormente la «pratica filosofica per bambini» sviluppata nei precedenti volumi. Dopo le coppie di contrari filosofici, l’amore e l’amicizia, il senso della vita e il bene e il male, i due affrontano una tematica ancora più elevata. Rivolgendosi ai più piccoli, ma anche ai grandi. Dio esiste? È una semplice superstizione o il mistero alla base dell’origine del mondo? Decide della nostra vita – e della nostra morte – o non ha nessun potere sulle nostre esistenze? Attraverso magnifiche illustrazioni in 3D e brevi frasi che colpiscono nel segno, le riflessioni contenute in questo libro regalano particolari suggestioni e punti di vista sorprendenti. E, pagina dopo pagina, sia i figli che i genitori si ritroveranno a emozionarsi, interrogarsi e crescere insieme.

Dopo il filosofo, secondo i dati  riportati da molti istituti di ricerca sull’infanzia non c’è da stare allegri, ma è bene conoscerli.

Giornata Infanzia: peggiorano le condizioni di vita dei bambini in Italia, e i minori pagano il prezzo più alto della crisi. 1.876.000 vivono in povertà, il 18,6% in condizione di deprivazione materiale. Si allarga la forbice tra Sud e Centro Nord . Sono 10 milioni 229 mila i minori in Italia, pari al 16,9% del totale della popolazione: di essi 1.876.000 vivono in povertà e il 18,6% in condizione di deprivazione materiale. Un pianeta infanzia che in una Italia che invecchia si riduce sempre di più. Napoli, Caserta, Barletta – Andria – Trani sono infatti le uniche province “verdi” italiane in cui la percentuale dei giovani fino ai 15 anni rimane maggioritaria sugli over 65.
La crisi economica rischia di pesare soprattutto sui bambini e sugli adolescenti, in assenza di misure specifiche di tutela. Del resto, dal 2008 ad oggi, sono proprio le famiglie con minori ad aver pagato il prezzo più alto della grande recessione mondiale: negli ultimi anni la percentuale delle famiglie a basso reddito con 1 minore è aumentata dell’1,8%, e tre volte tanto (5,7%) quella di chi ha 2 o più figli. Questo rileva il secondo Atlante dell’Infanzia (a rischio), diffuso da Save the Children che restituiscono moltissime informazioni sulla condizione di bambini e adolescenti del nostro paese: dalle città e territori in cui vivono, alla povertà minorile, dagli spazi di verde e di gioco disponibili, all’inquinamento urbano, dalla dispersione scolastica alla spesa sociale e servizi per l’infanzia. Quest’anno l’Atlante, in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dall’unità d’Italia, include anche un approfondimento sui quasi cento ragazzi garibaldini che parteciparono alla spedizione dei mille, un modo anche per confrontare la “giovane Italia” di allora con quella attuale.
“La qualità della vita dei nostri bambini e ragazzi è mediamente incomparabile con quella del secolo scorso”commenta Valerio Neri, Direttore Generale Save the Children Italia. “Tuttavia,se non è più la tubercolosi a uccidere, o la guerra, oggi i nostri minori fanno i conti con la povertà, la scarsità di servizi per l’infanzia, le città inquinate, stili di vita insani che conducono all’obesità. Problemi che l’attuale crisi economica rischia di amplificare se non c’è un’inversione di rotta immediata e si pone la tutela dell’infanzia e adolescenza come una priorità delle scelte politiche-economiche di un paese che finora ha sempre investito molto nelle pensioni e molto meno di quanto avviene altrove per aiutare i minori, i giovani e le famiglie con figli.”
La distribuzione della popolazione minorile: dalle città all’hinterland cittadino
Rispetto al 1861 – all’Italia appena unificata – il numero di minori si è mantenuto costante ma è nettamente cambiata la loro incidenza pari, allora, al 39% contro il 16,9% dell’attuale. Il risultato è che l’Italia è diventato il primo paese al mondo in cui gli anziani sono maggioranza e le città sono affollate di over 65 rispetto agli under 18, con le poche eccezioni delle province di Napoli, Caserta, Barletta – Andria – Trani . Al polo opposto, come città più vecchie, Trieste e Savona . La tendenza tuttavia emergente analizzando la distribuzione della popolazione minorile nei capoluoghi di provincia e nei principali comuni italiani, è il graduale esodo dei minori dai centri storici delle aree metropolitane verso le periferie o i comuni limitrofi, città satellite, hinterland di recente costituzione. E’ il caso di Giugliano in Campania cresciuta esponenzialmente e in gran parte abusivamente negli ultimi vent’anni ai margini di Napoli: qui un abitante su quattro – pari al 25,8% – ha meno di 18 anni, una quota assai maggiore di quella che si registra nel capoluogo limitrofo (21,2%). Ma il discorso vale anche per esempio per Monza e Milano (16,5% di minori contro 14,8%), Prato e Firenze, Modena e Bologna. Il fenomeno è in gran parte dovuto al disagio abitativo delle famiglie giovani con figli, sempre più esposte davanti a un mercato immobiliare bloccato, segnato dall’aumento fuori controllo del prezzo degli affitti, dalla mancanza di un deciso intervento pubblico nel settore abitativo, dalla rinuncia alla pianificazione del territorio. Il paradosso in questo caso è rappresentato dal fatto che un numero sempre maggiore di bambini e di adolescenti finisce per crescere in territori spesso caratterizzati da una riduzione degli standard (urbanistici, ambientali, sociali) e dalla mancanza di servizi per l’infanzia.

I minori di origine straniera


Un gruppo sempre più rilevante ma ancora non adeguatamente tutelato – rileva l’Atlante dell’Infanzia di Save the Children – è quello dei minori di origine straniera: quasi 1 milione di cui 572 mila sono bambini e ragazzi nati in Italia, le cosiddette seconde generazioni. L’Emilia Romagna la regione con la percentuale maggiore di nati da genitori stranieri (23%). Sono di fatto nuovi italiani, ai quali tuttavia una legge molto restrittiva riconosce la cittadinanza e il pieno riconoscimento dei diritti civili solo al compimento del diciottesimo anno (3). Ma è la gestione dell’universo minorile di origine straniera nel suo complesso a destare preoccupazione: un giacimento prezioso che costituisce, sotto vari aspetti, una delle categorie più esposte e meno tutelate. Basti pensare che 1 minore su 2 con il capo famiglia straniero vive oggi in famiglie a basso reddito (4) e che il tasso di bocciati nella scuola secondaria di secondo grado fra gli alunni con cittadinanza non italiana è circa il doppio di quello registrato fra gli studenti italiani.

La povertà e la deprivazione fra i minori


In Italia – sottolinea la sezione dell’Atlante dedicata alle “isole dell’infanzia a rischio” – ben il 24,4% dei minori è a rischio povertà . E sono 1.876.000 i bambini e ragazzi in povertà relativa, cioè che vivono in famiglie che hanno una capacità di spesa per consumi sotto la media. Sono poi 653 mila i bambini e ragazzi in povertà assoluta (privi dei beni essenziali per il conseguimento di uno standard di vita minimamente accettabile). 2 minori su 3 in povertà relativa, e più di 1 minore su 2 in povertà assoluta, vivono nel Mezzogiorno. In particolare è la Sicilia ad avere la quota più elevata di minori poveri (il 44,2% dei minori), seguita dalla Campania (31,9%) e Basilicata (31,1%) mentre la Lombardia (7,3%), Emilia Romagna (7,5%) e Veneto (8,6%) sono le regioni con la percentuale inferiore di minori in povertà relativa. Per quanto riguarda i bambini in povertà assoluta anch’essi si concentrano nel Sud Italia dove rappresentano il 9,3% di tutta la popolazione minorile. Inoltre il 18,6% di minori italiani versa in condizione di deprivazione materiale : nel Nord Est ben il 7% delle famiglie con minori dichiara di aver difficoltà a fare un pasto adeguato almeno ogni 2 giorni e al Sud il 14,7% di famiglie con minori non ha avuto soldi per cure mediche almeno una volta negli ultimi 12 mesi .

Città non a misura di bambini


Le città italiane sono sempre meno a misura di bambino. Il tasso di motorizzazione è altissimo dappertutto e fa segnare una media di 3/4 macchine ogni minorenne: a Roma si contano circa 450 mila minori e 1 milione 890 mila macchine, per un tasso di 4,2 macchine per bambino. In cima alla classifica delle città con il tasso di motorizzazione più alto, Aosta (13,5), Cagliari (5,4), Ferrara (5,1), l’Aquila (4,8)
Inoltre procede senza sosta la cementificazione e impermealizzazione del territorio: si stima che ogni giorno venga cementificata una superfice di circa 130 ettari. In testa alla classifica per cementificazione i comuni di Roma e Venezia, seguite da Napoli e Milano (dove la superficie edificata ha già inglobato i due terzi del territorio comunale).
E rilevante in molte città italiane è l’inquinamento dell’aria: Ancona (140 giornate), Torino (131) e Siracusa (116) spiccano per il maggior numero di giorni di superamento del valore limite di particolato (PM10), polveri sospese nell’aria che penetrano nelle vie respiratorie causando problemi cardio-polmonari e asma. Matera e Nuoro invece le più virtuose con 1 solo giorno di sforamento del limite.
E varia è la disponibilità di luoghi – giardini pubblici, campi, prati, strade – dove i bambini possano giocare: nel Nord e al Centro più di 2 bambini su 3 giocano nei giardini pubblici. Al Sud, dove l’offerta di verde attrezzato è sensibilmente ridotta, la fruizione dei giardini pubblici scende al 16% e una quota maggiore di bambini gioca sulla strada (il 12,2%). Da segnalare il “caso” Campania dove appena 1 bambino su 100 gioca nei prati (in Veneto il 20%) e meno di 3 ogni 100 sulle strade.
Accanto a questi luoghi deputati naturalmente allo svago e al divertimento, aumenta la frequenza da parte dei ragazzi fra gli 11 e i 17 anni dei centri commerciali: 1 ragazzo su 5 dichiara di andarvi almeno una volta a settimana.

In aumento l’obesità infantile


L’Atlante si sofferma anche sulle condizioni di salute e sugli stili di vita dei minori italiani rilevando come – grazie a un’alimentazione abbondante e a stili di vita diversi – rachitismo e gracilità siano problemi ormai relegati ai libri di storia ma, in compenso, ha fatto la sua comparsa l’obesità: si stimano in 1 milione e 100.000 i bambini sovrappeso, di cui quasi 400 mila obesi. In base a una ricerca di CCM- Istituto Superiore di Sanità del 2010, è la Campania la regione con la più alta percentuale di bambini obesi (20,6% nella fascia di età della terza elementare), seguita da Calabria (15,4%) e Puglia (13,6%) a fronte del 9,2% della media nazionale.

La dispersione scolastica


E un altro indicatore importante della condizione dell’infanzia nel nostro paese è quello relativo alla frequenza e dispersione scolastica. Colpisce, a riguardo, il dato relativo ai cosiddetti early school leavers, giovani tra i 16 e i 24 anni che hanno conseguito soltanto l’attestato di scuola secondaria di I grado e che non prendono parte ad alcuna attività di formazione: si stima che siano 1 milione. In termini percentuali si va dal 12,1% del Friuli Venezia Giulia alla percentuale più alta della Sicilia (26%), seguita da Sardegna (23,9%), Puglia (23,4%), Campania (23%) e da alcune regioni del Nord come la Provincia di Bolzano (22,5%) e la Valle D’Aosta (21,2%).
E tra i fenomeni di dispersione si segnala la fuoriuscita dal percorso scolastico degli iscritti al primo anno delle scuole secondarie di II grado (licei, tecnici, professionali, eccetera): il 12,3%, più di 1 su 10 degli studenti, interrompe la frequenza e non si iscrive all’anno successivo. I territori in cui il rapporto tra esclusione sociale e fallimento formativo emerge in maniera più drammatica sembrano essere quelli delle aree metropolitane del Sud: le zone di Napoli, Caserta, Palermo, Bari, Taranto, Cagliari, Reggio Calabria, Catania registrano abbandono scolastico in età molto precoce e percentuali di mancata iscrizione e marcata dispersione molto elevate negli istituti professionali e tecnici. Da questo punto di vista, la scuola italiana non appare in grado da sola di promuovere la mobilità sociale e l’emancipazione dei ragazzi appartenenti alle fasce più deboli della popolazione.

 

Risorse e servizi per l’infanzia – per esempio asili nido – tra tagli e differenze territoriali

“Il quadro dell’infanzia che emerge dall’Atlante e dalle sue numerose mappe, non può non preoccuparci soprattutto laddove si vanno ad analizzare le risorse e le misure messe in campo a tutti i livelli in favore dei bambini e degli adolescenti presenti sul suolo italiano”, prosegue il Direttore Generale Save the Children Italia.
Per quanto riguarda per esempio i finanziamenti e le risorse economiche il futuro non appare confortante: L’analisi territoriale degli interventi e delle risorse poste in essere dalle amministrazioni pubbliche, nazionali, regionali e comunali, rivela un vero e proprio puzzle, un quadro di interventi frammentato e lacunoso, segnato dalla totale di assenza di indirizzi e pratiche comuni, destinato a peggiorare drammaticamente in un prossimo futuro se si considera, ad esempio, che il Fondo sociale nazionale pari a 1 miliardo di euro nel 2007 sarà ridotto a 45 milioni nel 2013. Rispetto poi ai servizi, posti in essere, emergono grandi differenze da regione a regione. Basta guardare per esempio agli asili nido: in cima alla classifica l’ Emilia Romagna dei cui nidi usufruiscono il 29,5% dei bimbi tra 0 e 2 anni, l’Umbria (27,7%), Valle D’Aosta (25,4%) a cui fanno da contraltare la Campania – in fondo alla lista con il 2,7% dei bambini presi in carico dai nidi pubblici, o la Calabria, con il 3,5%.
“L’Italia della spesa e dei servizi per l’infanzia colpisce per le differenze fra regione e regione e anche i tanti sprechi e inefficienze. Un dato per tutti è quello dei fondi europei che rischiamo di rimandare indietro a Bruxelles. Con un calcolo un po’ grossolano, abbiamo stimato che basterebbe il 7% dei 29 miliardi di euro ancora non impegnati per creare 100.000 nuovi posti in asilo nido o strutture educative per l’infanzia nel Sud”, commenta ancora Valerio Neri. “In questo quadro la crisi economica non può essere addotta come giustificazione ma anzi deve essere un incentivo a investire sull’infanzia una volta per tutte se vogliamo che oltre la crisi ci sia un futuro per il nostro paese, cioè per le giovani generazioni. Questo significa una serie di misure e provvedimenti urgenti e fondamentali.  
Quella che registriamo è piuttosto una rimozione della questione infanzia e adolescenza in Italia. A dimostrazione il fatto che non abbiamo allo stato alcun provvedimento organico in atto per fare fronte alla questione della povertà minorile, per combattere la dispersione scolastica, per un intervento forte a favore dei minori che crescono al Sud, per costruire una rete nazionale di servizi per la prima infanzia. C’è, è vero, un nuovo Piano infanzia varato nel 2010, con contenuti importanti. Ma è solo sulla carta: privo com’è di risorse finanziarie, di obiettivi di avanzamento e di sistemi di monitoraggio. Un’ulteriore questione”, prosegue Neri, “è la mancanza di dati e conoscenze aggiornate su una serie di problematiche rilevanti relative all’infanzia in Italia, come per esempio l’abuso, le violenze”. Temi che vengono in rilievo da una delle mappe dell’Atlante realizzata in collaborazione con l’Ansa che riporta le parole/notizie più ricorrenti nei notiziari dell’agenzia con riferimento all’infanzia e ai minori.
“L’Italia è ricca di esperienze di eccellenza per la promozione dei diritti dei minori”, commenta Raffaela Milano, Responsabile Programmi Italia – Europa Save the Children. “Oggi queste esperienze vivono una condizione di estrema difficoltà e solitudine, dal momento che la questione infanzia è sostanzialmente scomparsa dall’agenda istituzionale. Il compito di Save the Children, con il suo programma Italia, è dare voce anche a questa Italia, valorizzando e mettendo in rete queste competenze che rappresentano un patrimonio che l’Italia non può lasciare morire. L’Atlante sarà la nostra agenda di lavoro”.

Notizie utili


E’ possibile scaricare la versione integrale dell’Atlante al seguente link: http://risorse.savethechildren.it/files/comunicazione/Ufficio%20Stampa/SAVE%20-%20AtlanteInfanziaNov11BDopPag.pdf
Le principali mappe e la copertina dell’Atlante sono scaricabili da qui:
http://risorse.savethechildren.it/files/comunicazione/Ufficio%20Stampa/Mappe%20per%20media%20e%20cover.zip

Per ulteriori informazioni:
Ufficio Stampa Save the Children Italia
tel. 06.48070023-071-001
press@savethechildren.it, www.savethechildren.it

Il Programma Italia e i suoi partner

Nel 2011 Save the Children ha attivato un ambizioso programma di cinque anni dedicato ai bambini e agli adolescenti in Italia, proponendosi di rafforzare stabilmente le infrastrutture sociali e di cura per i minori, con particolare attenzione alle aree più deprivate. Gli ambiti principali di intervento sono la lotta alla povertà minorile, la protezione dei minori a rischio di sfruttamento (come i minori stranieri non accompagnati), l’educazione e la scuola, l’uso delle nuove tecnologie, la tutela dei minori nelle emergenze. Una particolare attenzione è dedicata ai minori che vivono nel sud Italia, con l’attivazione di un programma specifico di intervento, “Crescere al Sud”. Tutte le attività promosse da Save the Children prevedono la partecipazione attiva dei bambini e dei ragazzi.
Per la definizione di strategie e la realizzazione dei programmi sul campo, Save the Children nel 2011 ha coinvolto un’ampia rete di organizzazioni partner, nazionali, internazionali e locali, tra le quali: UNHCR, OIM, UNICEF, ANPAS, CISMAI, UISP, CSI, Libera, Caritas, Rete G2 – seconde generazioni, AIMMF, SIP, Consorzio Nova, EIP Italia, Vides Main, CAF, Il Melograno, Pontedincontro, L’Orsa Maggiore, L’Altranapoli, Dedalus, Civitas Solis, Cooperativa ISKRA, Radio Kreattiva, Inventare Insieme.  
Save the Children è inoltre capofila di un network (gruppo CRC) composto da 86 organizzazioni e associazioni impegnate nel monitoraggio dell’attuazione, in Italia, della convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

 

Maria de falco Marotta & Team

Scialla!

 

Il film d’esordio di Francesco Bruni, già vincitore del veneziano “Controcampo italiano”, punta su un cinema di scrittura. Una commedia in bilico tra romanzo di formazione e riflessione satirica che celebra l’incontro fra generazioni e culture

«Li osservo questi uomini, educati ad altra vita che la mia: frutti d’una storia tanto diversa, e ritrovati, quasi fratelli, qui, nell’ultima forma storica di Roma». Ve li sareste mai immaginati i versi di Pasolini in bocca a un boss della malavita (Vinicio Marchioni) che infligge ai suoi sottoposti i 400 colpi di Truffaut e i quadri di Schnabel perché da ragazzo, all’istituto tecnico, ha avuto un professore che gli ha insegnato l’amore per l’arte?

È quel che accade in Scialla!, film esordio di Francesco Bruni, storico sceneggiatore di Virzì (tutti i film), Calopresti, Ficarra e Picone, già vincitore del veneziano “Controcampo italiano”. E non è l’unica bella sorpresa. Costantemente in bilico tra romanzo di formazione e commedia satirica, Scialla! celebra un incontro fra generazioni e culture, dall’evidente valore simbolico. Un padre e un figlio che i casi della vita hanno separato per quindici anni e che improvvisamente devono fare i conti ognuno con l’esistenza dell’altro.

Bruno (Fabrizio Bentivoglio), una sorta di Big Lebowski all’italiana, è un professore disilluso imbevuto di spleen che si è messo a scrivere biografie di calciatori e porno-star e Luca (Filippo Scicchitano) un ragazzino irruento, ignorante e distratto ma pieno di spudorato ottimismo e a suo modo vitale e irriverente. La convivenza forzata, inizialmente problematica e conflittuale renderà migliori entrambi.

I padri, dice Francesco Bruni dovrebbero superare la paura di rappresentare «il limite, il principio di autorità, l’esempio, l’insegnamento». Bruni gioca col gergo adolescenziale e gli immaginari della cronaca con tocco lieve e maturo puntando su un cinema di scrittura che dosa i suoi ingredienti con semplicità. “Scialla” non è solo un titolo ma anche un manifesto programmatico: «in fondo volevo fare una commedia “scialla”, cioè semplice, rilassata», ci spiega il regista.

Nel film si ride molto ma capita anche di emozionarsi, come quando Luca si carica sulle spalle Bruno, ovvero il figlio si prende cura del padre. È l’immagine di Enea che presta soccorso al vecchio padre Anchise che il ragazzo, non cogliendo l’affettuosa metafora, continua a chiamare Ascanio ma è anche l’immagine di un rinnovamento sociale in cui i giovani tornano ad essere una risorsa e i vecchi guariscono dalla sindrome di Peter Pan ammettendo le loro debolezze.

di Stefania Pala
stefania.pala@gmail.com

 

Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia

 

VIII convegno nazionale delle associazioni locali Scienza&Vita

 

Pubblichiamo stralci della lectio magistralis del cardinale arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana che il 18 novembre scorso ha aperto a Roma “Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia”, VIII convegno nazionale delle associazioni locali Scienza&Vita. Alla tavola rotonda, moderata dal direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio, hanno partecipato gli onorevoli Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani, Pier Ferdinando Casini, Roberto Maroni

 

Nella gabbia invisibile del narcisismo

“Siamo tutti consapevoli della delicatezza dell’argomento in gioco, così come delle visioni diverse che spesso si confrontano, tanto da essere considerata – la vita umana – uno di quegli argomenti “divisivi” di cui è meglio non parlare, come se l’ordine sociale, basato sulla giustizia, potesse reggersi sull’ingiustizia che deriva dal non affrontare ciò che fondamentale, consapevoli che, storicamente, “se non abbiamo fatto abbastanza nel mondo, non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza” (Cei, La Chiesa Italiana e le prospettive del Paese, 1981, n. 13).
Tutti ci rendiamo conto che siamo dentro ad una crisi internazionale che non risparmia nessuno, e che nessuno, nel mondo, può atteggiarsi da supponente maestro degli altri. I grandi problemi dell’economia e della finanza, del lavoro e della solidarietà, della pace e dell’uso sostenibile della natura, attanagliano pesantemente persone, famiglie e collettività, specialmente i giovani. Su questi versanti, che declinano la cosiddetta “etica sociale”, la sensibilità e la presenza della Chiesa sono da sempre sotto gli occhi di tutti. Fanno parte del messaggio cristiano come inderogabile conseguenza: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Giovanni, 4, 20). ? una rete che si avvale di risorse provvidenziali e di quell’amore gratuito che nessuna legge può garantire poiché l’amore viene dal cuore e dall’Alto.
Ma oggi dobbiamo puntare la nostra attenzione sulla vita umana nella sua nudità: è evidente che gli aspetti citati fanno parte dell’esistenza concreta di ogni persona, ma essi non devono oscurare la vita nei momenti della sua maggiore fragilità e quindi di più pericolosa esposizione. Per questo credo sia inevitabile allargare, seppur brevemente, l’orizzonte per poter meglio affrontare il tema della vita umana nella sua assoluta indisponibilità o, se si vuole, sacralità. Per poter parlare di qualcosa, infatti, bisogna innanzitutto chiederci se esiste qualcosa fuori di noi. E, se esiste, possiamo conoscerla? Oppure siamo dentro ad una realtà unicamente costruita dal soggetto pensante, siamo alle prese solo con le nostre opinioni individuali, senza una presa diretta sulla realtà oggettiva? È il problema antico ma non scontato della conoscenza. Come rispondere? Dando fiducia al mondo e all’uomo! La conoscenza, infatti, parte da un atto positivo, di fiducia: fa appello al senso comune, all’esperienza universale. È più naturale, logico, istintivo, porre questo atto di fiducia oppure sfiduciare l’universo? È dunque un atto di sintonia, di comunione preriflessa con il mondo il punto di partenza del nostro rapportarci con il mondo, non il rinchiuderci nel sospetto e nel dubbio metodico e universale che – forse con aria di profonda intelligenza – accusa di fanatismo chi affermi che la verità esiste ed è conoscibile. La storia umana della conoscenza – nonostante grovigli a volte sofferti – corre sostanzialmente su questo filo e testimonia che, ogni qualvolta lo scetticismo si è imposto, gli esiti personali e sociali non sono stati più felici.
Il figlio di questo atteggiamento è lo scetticismo che genera inevitabilmente quel nulla di significato e di valore, quello svuotamento della vita e del mondo che già Nietzsche aveva annunciato. In realtà egli lo fa derivare dalla dichiarata “morte di Dio”, ma quando la ragione viene cancellata dall’orizzonte, anche la fede si indebolisce: “Cerco Dio! cerco Dio! Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?” (Nietzsche, La gaia scienza, Mondadori 1971, pagg. 125-126). Il nichilismo di senso e di valori nasce da una visione materialista dell’uomo e del mondo, e si alimenta allo spettro ridente del consumismo che porta a concepire l’esistenza come una spasmodica spremitura di soddisfazioni e godimenti fino all’estremo. Ma ben presto – lo vediamo nella cronaca – ne deriva una immane svalutazione della vita. Essa non è più custodita dal sigillo della sacralità e così quando non è più gradita o risulta faticosa la si vorrebbe eliminare.
Oggi si tende a pensare che, sul piano dell’etica, ognuno è costruttore di ciò che per lui, soggettivamente, ha importanza e significato; che il nostro compito è quello di comporre i diversi, a volte opposti, valori; che l’importante – quando va bene – è disturbare gli altri il meno possibile. Ma non esiste qualcosa a cui l’uomo possa rifarsi nella sua conoscenza e quindi adeguarsi raggiungendo così la verità? È fuori dubbio che non pochi di quelli che chiamiamo valori appartengono alla sfera della soggettività individuale e sociale. Ma è tutto solo così? Non esiste nulla di oggettivo in grado di essere metro della verità morale, che possa regolare, normare i miei comportamenti? Di solito, fino ad un certo punto di questo ragionare tutti si è concordi, ma quando entra in gioco la questione del “valido per tutti”, allora si accende una spia e sorge in noi una trincea difensiva quasi si sentisse in pericolo la propria libertà individuale, nervo sensibile dell’anima moderna.
Se l’uomo si realizza attraverso l’esercizio della propria libertà (in actu exercito), bisogna chiederci se qualunque forma di esercizio realizza la persona oppure no. A ben vedere, come qualunque agire non si qualifica da sé ma è qualificato da ciò verso cui tende – camminare per fare una passeggiata non è lo stesso che camminare per andare a fare una rapina – così la libertà, se per un verso è valore in se stesso in quanto è condizione di responsabilità, per altro verso non è la sorgente della bontà morale. Il fatto che un atto sia una mia scelta non qualifica l’agire come buono, vero, giusto.
Inoltre, non bisogna dimenticare che la bontà e il male morale non sono astrazioni lontane alle quali sacrificare gli uomini nei loro desideri individuali; il bene è tale perché mi fa crescere come persona mentre il male mi diminuisce nella mia umanità. Oggi la tendenza diffusa è rendere la libertà individuale un valore assoluto, sciolto non solo da vincoli e norme ma anche indipendente dalla verità di ciò che sceglie; in tale modo però essa si rivolta contro l’uomo e perde se stessa, diventa prigioniera di se stessa come ogni personalità narcisista. Ecco perché il Signore Gesù ricorda che la verità libera la libertà e rende libero l’uomo. Oggi vi è una certa allergia per ciò che si presenta come assoluto, cioè oggettivo, universale e definitivo: sembra di sentirsi come in una gabbia insopportabile. Ma, dobbiamo chiederci, qual è la vera prigione: l’assolutismo di una libertà individualista o l’assolutezza della verità?”.

(©L’Osservatore Romano 20 novembre 2011)

 

 

Il Card. Bagnasco a “Scienza & Vita”
Se la vita rimane miracolo indisponibile

“Dalla responsabilità e dai modi di affronto della vita nei suoi vari momenti si ha una prima e decisiva misura del livello umano della convivenza”. La Lectio Magistralis del Card. Angelo Bagnasco ha aperto venerdì 18 novembre a Roma l’ottavo Convegno nazionale dell’Associazione Scienza & Vita.
Punto cruciale, ha ricordato il Presidente della CEI, è “se la libertà individuale abbia o non abbia qualcosa di più alto a cui riferirsi e a cui obbedire” e che ne fonda l’assoluta indisponibilità.

file attached 2011.11.18 Relazione Scienza e Vita.doc

 


“Anno della Fede”

 

ottobre 2012 – novembre 2012 sarà l'”Anno della Fede”

 

Limpide e semplici, come sempre, le parole di Benedetto XVI durante l’omelia della Messa di oggi, celebrata insieme ai partecipanti al convegno sulla Nuova Evangelizzazione:
“La missione della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita.
Proprio per dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori dal deserto in cui spesso si trovano verso il luogo della vita, l’amicizia con Cristo che ci dona la vita in pienezza, vorrei annunciare in questa Celebrazione eucaristica che ho deciso di indire un “Anno della Fede”, che avrò modo di illustrare con un’apposita Lettera apostolica. Esso inizierà l’11 ottobre 2012, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Sarà un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede in Lui e per annunciarLo con gioia all’uomo del nostro tempo.

 

La Chiesa non è una associazione religiosa o culturale, nè un’associzione di volontariato, e nemmeno una fornitrice di servizi preziosi per la società, come i richiami alla morale. No! La Chiesa è il Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito Santo: inviata da Dio a proseguire l’opera inaugurata dall’Incarnazione, Morte e Risurrezione del Signore Gesù. L’annuncio della Fede in Cristo è il primo e l’ultimo dei pensieri e delle preoccupazioni della Chiesa. Semplice e cristallino: C’è un solo Dio e Gesù Cristo, suo Figlio, è il suo Profeta. “Andate e ditelo a tutti”. Il Papa si è accorto da tempo, come era chiaro dai discorsi tenuti in Germania, che l’emergenza per la Chiesa non è l’emergenza morale dei fedeli, il distacco dalla Tradizione e la ricerca di spiritualità alternative, e nemmeno la pedofilia del Clero: sono tutti sintomi di una malattia più profonda e radicale. La mancanza di Fede, l’eliminazione dell’orizzonte ultimo di Dio in Cristo, questo è il colpo mortale alla Chiesa. Questo fa crollare ogni altra struttura, perchè è il fondamento perenne e insostituibile.
Benedetto XVI sta facendo il suo lavoro. Nei momenti di emergenza lo Spirito Santo attiva il Papa perché faccia l’unica cosa che Cristo gli ha domandato: “Tu…conferma nella fede i tuoi fratelli” (cf Lc 22,32).
Quella del Papa è una “chiamata alle armi”, non per una crociata contro l’Islam o un nemico esterno alla Cristianità, ma per combattere il virus che ha destrutturato la vita di fede di milioni di credenti.
Ciò che il Santo Padre sta dicendo è che il dramma della nostra epoca, per parafrasare Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, non è la frattura o il distacco tra fede e vita, è proprio il distacco o l’eliminazione della fede stessa.
Una fede a cui serve non solo l’anima, che è il credere e aderire interiormente a Dio, ma anche un “corpo culturale”, e questa è la religione: senza espressione esterna, pubblica e comunitaria, la fede non può essere comunicata da uomo a uomo e da una generazione all’altra e, in definitiva, perde rilevanza e capacità di guidare le scelte, i comportamenti e le azioni degli uomini. Non è più il tempo di una “fede nascosta”, che non vuol dire cadere nella “fede spettacolo”. Il Papa chiama al “mostrare”, senza timore e con orgoglio, la propria fede in Cristo, creduta e vissuta, conosciuta e sperimentata. L’invisibile di Dio può e deve rendersi ancora e sempre visibile e operante in questo mondo attraverso la Chiesa. L’annuncio è la pietra fondamentale: la fede non può nascere se non c’è l’ascolto e l’ascolto non può darsi senza qualcuno che parli. Non di sé stesso, solo di Gesù.

Testo preso da: Benedetto XVI indice l’anno della Fede. Una scossa alla missione della Chiesa http://www.cantualeantonianum.com/2011/10/benedetto-xvi-indice-lanno-della-fede.html#ixzz1bEppQZEn
http://www.cantualeantonianum.com

 

ARTICOLI E COMMENTI

Benedetto XVI: un anno alla riscoperta della fede (Cardinale)
Mons. Bruno Forte sull’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI: chi si estrania dalla storia non è un vero cristiano (Radio Vaticana)

L’anno della fede secondo Papa Ratzinger (Lucetta Scaraffia)

Motu proprio del Papa: c’è l’esigenza di riscoprire la fede (Chirri)

La lettera apostolica di Benedetto XVI. Noi come Lidia, apriamo la nostra casa alla fede (Sequeri)

Il Papa indice l’Anno della Fede (Rome Reports)

Benedetto XVI è troppo cattolico? (Jean-Marie Guénois)

Nel motu proprio Benedetto XVI rafforza la necessità della riscoperta della fede collegandola alle celebrazioni per l’anniversario del Concilio (Magistrelli)

La porta della fede è sempre aperta: pubblicato il Motu proprio che indice l’ Anno della Fede (Angela Ambrogetti)

Domenica mattina la Messa nella Basilica Vaticana. Benedetto XVI ha annunciato un Anno della fede «per dare rinnovato impulso alla missione della Chiesa» (O.R.)

Motu proprio “Porta fidei”, il Papa: tutti i vescovi si uniscano a me per celebrare l’Anno della Fede. La Chiesa non deve temere la scienza. La fede resta aperta, ma gli uomini di oggi pensano ad altro. Non diventare pigri nella fede, riscoprire il Vaticano II (Izzo)

Motu proprio sull’Anno della Fede, il Papa: serve testimonianza pubblica. Riscoprire il Catechismo. Alla Lettera Apostolica seguirà una nota della CDF (Izzo)

Benedetto XVI rilancia l’evangelizzazione (Guénois)

Nuova Evangelizzazione, la Santa Messa e l’Angelus nei servizi di Rome Reports

Anno della fede. Un cammino che dura tutta la vita (Vian)

Il Papa annuncia l’anno della fede (Gaeta)

L’Anno della Fede e il martirio di p. Fausto Tentorio. Il commento di Bernardo Cervellera

Il Papa: «Nessuno diventi pigro nella fede» (Vatican Insider)

Il Papa annuncia l’anno della fede (Gaeta)

L’Anno della Fede e il martirio di p. Fausto Tentorio. Il commento di Bernardo Cervellera

Il Papa: «Nessuno diventi pigro nella fede» (Vatican Insider)

Il Papa abbraccia Suor Veronica Berzosa, fondatrice di Iesu Communio (Rome Reports)

L’Anno della fede (Aurelio Molé)

Pubblicata la Lettera apostolica di Benedetto XVI per l’indizione dell’Anno della fede: credere in Gesù è la via per giungere alla salvezza (Radio Vaticana)

Il Papa indice l’Anno della Fede (Asca)

Attraversare la porta. Dall’11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013 l’Anno della Fede (Sir)

Il credo, la Verità e la ragionevolezza. Quell’Araldo e l’annuncio dei primi Cristiani (Messori)

Il Papa annuncia l’Anno della Fede (Vecchi)

Il Papa: dall’11 ottobre 2012 comincerà l’«Anno della fede» (Ugolotti)

Un “Anno della Fede” per proporre agli uomini del nostro tempo “uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero, pacifico” (Izzo)

L’Anno della Fede partirà l’11 ottobre 2012. 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II

Santa Messa ed Angelus: servizio di Lucio Brunelli

Un anno della fede per rievangelizzare il mondo (Angela Ambrogetti)

Presentato il nuovo sito “www.aleteia.org”, on line dal 19 ottobre, aperto a tutti i cercatori della verità (R.V.)

La via della verità. Le parole alla messa per i “nuovi evangelizzatori” e all’Angelus (Sir)

Anno della fede 2012-2013 (Galeazzi)

Suor Veronica, la fondatrice di Jesu Communio, stringe il Papa in un lungo abbraccio (Vidal)

Il Papa: Anno della Fede per affermarne la centralità a 50 anni dal Concilio. Dare a Cesare ma anche a Dio. Cristo è stato ridotto a semplice personaggio storico (Izzo)

“Il 2012 sarà l’Anno della Fede” (Vatican Insider)

Benedetto XVI indice l’anno della Fede. Una scossa alla missione della Chiesa (Cantuale Antonianum)

Papa Ratzinger vuole dare una scrollata ad un certo torpore. La Chiesa si rimette in marcia (Giansoldati)

Missionari generosi e audaci per i nostri tempi: così il Papa all’Angelus (Radio Vaticana)

Il Papa: Ritengo che, trascorso mezzo secolo dall’apertura del Concilio, sia opportuno richiamare la bellezza e la centralità della fede

Criminali a Roma, Santa Sede: “Ferma condanna”. “Offesa la sensibilità dei credenti”

Il Papa annuncia “l’Anno della Fede”. Benedetto XVI: gli uomini di oggi hanno bisogno di Dio e di pace. La certezza della fede non è dato soggettivo ma fatto concreto (Izzo)

Il Papa: 2012 anno della fede (Tg1)

Il Papa indice un “Anno della Fede” per la Nuova Evangelizzazione e la missione ad gentes (AsiaNews)

Il Papa: paesi di antica tradizione cristiana che sembrano diventati indifferenti, se non addirittura ostili alla parola di Dio

Individuati sette ambiti per la nuova evangelizzazione. Lanciato il sito “Aleteia” (Izzo)

Parola sempre viva. I “nuovi evangelizzatori” con il Papa (Sir)

Il Papa ai nuovi evangelizzatori: “Comunicate a tutti la gioia della fede” (Andrea Gagliarducci)

Il Papa: gli uomini di oggi spesso confusi, preferiscono l’effimero alla fede. Mi rallegra vedere tanti mobilitati per la rievangelizzazione (Izzo)

Il Papa e la Nuova Evangelizzazione: La Parola di Dio continua a crescere e a diffondersi (AsiaNews)

Il Papa ai nuovi evangelizzatori: i cristiani siano segni di speranza, testimoni della vera felicità che porta Cristo (Radio Vaticana)

Il Papa: “Mobilitazione straordinaria per la nuova evangelizzazione” (Rolandi)

Aperto in Vaticano il primo incontro internazionale dei responsabili della nuova evangelizzazione (Biccini)

 

don Michele Do: “qui è nato un uomo”

don Michele Do

 

 

 

«Quando in un branco un compagno dà una zampata,

l’immediato istinto dell’animale è la ritorsione.

La prima volta che un animale trattiene la zampata,

avverte l’orrore del sangue e non reagisce alla violenza:

qui è nato un uomo».

 

Di lui mi avevano spesso parlato amici comuni, ma anche laici e sacerdoti che accorrevano lassù nel paesino della Val d’Aosta ove aveva trascorso la maggior parte della sua vita, nella purezza assoluta della natura e della sua meditazione e testimonianza. Sto parlando di don Michele Do (1918-2005) e oggi lo rievoco attraverso queste sue righe che vogliono rappresentare simbolicamente quando si compie la vera ominizzazione.

Noi passiamo dallo stato bestiale a quello umano nel momento in cui il nostro pugno lascia cadere a terra il sasso di Caino o la spada della vendetta o la zampata dell’assalto, e proviamo nausea e orrore della violenza.
Questo è, certo, il primo grande passo verso la nascita dell’uomo, ossia la scoperta del perdono e dell’amore. Ma don Michele va oltre e continua così, prospettando un’altra tappa fondamentale:

 

«Quando uno degli animali che procede nel branco,

alza gli occhi e vede le stelle,

quando ne avverte per la prima volta lo stupore, la meraviglia, il mistero,

quando – come dice Fogazzaro – sente su di sé, sul proprio cuore,

il peso delle stelle: qui è nato l’uomo».

 

La nostra realtà è, infatti, bidimensionale. Noi non guardiamo solo orizzontalmente, incontrando con gli occhi le altre
creature; noi abbiamo un altro sguardo che sale verticalmente, verso l’infinito e il Creatore. È questa l’estrema avventura dell’uomo e della donna, affacciarsi sulle immensità del mistero e cercare di raggiungerle. Siamo un microcosmo che può contenere il cosmo e persino l’infinito, come suggeriva Pascal.

 

di Gianfranco Ravasi
in “Avvenire” del 19 maggio 2011

 

 

 

Don Michele Do
di Carlo Carozzo
in “Il Gallo” del maggio 2011

 

Fra le persone che hanno influito sulla mia formazione spirituale di adulto c’è sicuramente Michele Do, un prete che aveva scelto di vivere in montagna a St. Jacques, un paesino della Valle D’Aosta per ripensare nel silenzio e nella solitudine la sua formazione appassionandosi alla lettura, tra l’altro, dei teologi francesi e di alcuni autori del modernismo. Dopo non molto tempo la sua solitudine prese a essere molto frequentata da cristiani in ricerca e da studiosi di spicco come padre Turoldo e Panikkar che salivano fino alla rettoria per scambiare con lui e attingere alla sua sapienza.

 

Uomo dell’amicizia

Personalmente lo conobbi al Gallo verso il 1964 quando, come ogni anno, passava a salutare e conversare con la

nostra Katy Canevaro. Era l’uomo dell’amicizia considerata da lui «sacramento dell’amore di Dio», fedelissimo agli amici che trovavano sempre in lui accoglienza, comprensione delle loro traversie e dei loro dubbi. Dal 1979 ogni anno salivamo in gruppo da lui come discepoli a un discepolo perché, come diceva lui, non c’è altro maestro oltre Gesù. Noi ci attendevamo che ci parlasse di Dio, come poi accadeva, ma prima ci spiazzava con domande rivolte a noi per stimolare la nostra responsabilità e partecipazione alla conversazione.
Non amava scrivere se non qualche lettera agli amici, era l’uomo della parola appassionata, lucida, serena, mentre la voce si incrinava talvolta quando parlava del mistero del male, suo grande tormento.
Ci voleva allora la pazienza e l’amore di due suoi grandi amici, Piero Racca e Silvana Molina, per sbobinare, ordinare e raccogliere in un libro dal titolo Per un’immagine creativa del cristianesimo le sue relazioni in gruppi, omelie, appunti con lunghe prefazioni di Piero e Silvana, un intervento di Giancarlo Bruni e preziose note di Clara Gennaro. Don Michele aveva affrontato e lungamente macinato i grandi interrogativi dell’esistenza, il male, Dio, il senso della vita, l’uomo che considerava abitato da una legge profonda, «una legge ascensionale, di ascensione in ascensione» (p. 157).

 

Un cammino e una fatica che
non possono essere annullati né abbreviati, neppure da Dio. La pienezza divina, l’interiorizzazione di Dio, il diventare uno con Dio, è come il pane che deve essere guadagnato con il sudore della nostra fronte. Leonardo diceva: «Dio cede tutti i suoi beni a prezzo di fatica e il sommo bene, che è Dio, a prezzo di somma fatica». Non si salta a piedi giunti nel regno di Dio e neanche a colpi di miracoli e di sacramenti, neanche con quello del battesimo (p. 224).

La meta, che è diventare, come in Gesú, «uno con Dio» è dunque senza fine, giorno per giorno, età per età, una fatica sfibrante, si potrebbe dire, ma non è cosí perché Dio attrae nell’intimo e ci dona la forza dello Spirito senza di cui si rimane immobili, ripetitivi, vecchi anche a vent’anni. Questo perché Dio, è Dio, l’inesauribile:

Siccome Dio è l’inesauribile, l’uomo non esaurirà mai il suo cammino ascensionale verso la pienezza. Un traguardo appena raggiunto diventa inizio per un nuovo cammino. Questa è la visione cristiana della vita. Dio è nel cuore dell’uomo, è immanente, ma anche trascendente. Gesú ci dice: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli». L’uomo è, dunque, una realtà che deve essere continuamente trascesa e superata. È una gioiosa trascendenza che fa ascendere, trasfigura e veste l’uomo di grazia e di verità fino al suo compimento, quando Dio sarà tutto in tutte le cose e quindi Dio sarà tutto in tutto l’uomo (pp. 155-156).

 

Due letture del cristianesimo

C’è da un lato la lettura tradizionale. La creazione, e quindi l’uomo, nascono perfetti, poi subentra il peccato di Adamo ed è lí la sorgente del male che intacca la natura e l’uomo in profondità al punto che occorrerà il sacrificio espiatorio di Gesú in cui il Verbo si è incarnato, per placare la collera del Padre, è la Redenzione; in questa logica Cristo fonda la chiesa la quale applica a tutti noi con i sacramenti, in particolare con il battesimo, i meriti, la salvezza e la giustificazione ottenuti da Cristo sulla croce. Ma c’è tuttavia anche una seconda lettura:

Dio non crea il mondo e l’uomo nella sua divina pienezza, lo crea come il fiore del campo che nasce dalla povertà originaria della zolla (…) All’inizio del Genesi si dice: «Dio creò il cielo e la terra, ma la terra era vacua, informe, tenebrosa» (Gn 1, 2). In questa lettura non c’è un peccato originale ed originario, c’è una povertà originaria.
E su questa terra povera, vacua, informe e tenebrosa aleggia lo Spirito. E, a mano a mano che la terra si apre e lo Spirito la penetra e la intride, lí incomincia il cammino ascensionale: dal caos originario, alla bellezza e al miracolo del cosmo
(pp. 219-220).

 

Purtroppo nella sua vicenda storica, senza escludere l’oggi, nella pratica e nella riflessione cristiana ha prevalso il giuridismo stretto alleato del moralismo che non solo hanno impoverito il mistero cristiano, ma anche, se non soprattutto, lo hanno alterato facendo di Dio un grande Faraone dispotico e dell’uomo una creatura infima, pressoché impotente e tenebrosa:

Ricordate il prologo di Giovanni: «E la luce venne e le tenebre non l’hanno accolta … ma a coloro che l’hanno accolta, ha dato il potere di diventare figli di Dio». Ecco il miracolo: compiere questo cammino ed essendo figli di Dio poter fare cose che Dio solo sa fare; questo è il potere che ci è stato dato, non il potere che noi abbiamo impoverito interpretandolo carnalmente. Perdonare i nemici, trasfigurare il dolore, immedesimarsi nel prossimo, queste sono cose divine: qui c’è, infatti, un salto oltre il biologico, oltre l’umano (p. 220).

L’essenziale della fede non è soltanto rispettare la morale nei comportamenti, ma prima di tutto lasciarsi guidare dallo Spirito per giungere a «interiorizzare Dio e fare le cose di Dio: questa è la salvezza» (p. 220), siamo quindi lontanissimi, a tutt’altro livello da quello etico e giuridistico!
L’azione liberatrice della creatura costitutivamente imperfetta è quindi una realtà molto profonda perché essa

è qualcosa in via di creazione, in divenire; è, direi, una realtà in cammino, siamo tutti in itinere, siamo degli itineranti, non dei passanti. Nella visione nichilista, invece, noi siamo dei passanti; veniamo da un nulla e torniamo nel nulla, fuochi fatui nella notte, momenti effimeri dell’effimero, siamo pura inconsistenza. Nella visione religiosa cristiana, veniamo, sí, dal nulla, ma siamo pellegrini verso una patria e verso una pienezza. Homo viator, spe herectus, noi siamo ontologicamente tensione verso Dio, in cammino verso Dio. (…)

Il vero grande esodo, è l’esodo dal nulla alla divina pienezza, e, in fondo, alla radice di ogni religiosità, c’è la grande preghiera indú: «guidami, luce benigna, dall’irreale (dal nulla originario) al reale, dalla tenebra alla luce» (pp. 222-223).
Questi itineranti che noi siamo camminano guidati dallo Spirito verso una divina pienezza, una ascesa che non è indolore, né facile, incontra difficoltà, tentazioni, e conosce anche la croce, nessuno può essere sottratto alla  condizione umana, tanto meno i seguaci di un Crocifisso:

Questo cammino ascensionale dal vacuum, dal caos che è in noi si compie nella lotta, nella fatica, nel dolore e nel travaglio. (…) Non c’è strada di circonvallazione che possa evitare la strada che porta al calvario. Il caos, l’inanis, il
vacuum è legge strutturale (pp. 224-226).

A differenza del Dio di Gesú annunciato forse per secoli, questa immagine delineata, annunciata, vissuta da don Michele non desta paura, ma suscita gioia e una grande serenità, quella che egli ha sperimentato durante una gravissima crisi cardiaca nella quale aveva rischiato di morire:

Il volto di Dio, infatti, è infinitamente piú grande e del cuore e del sogno dell’uomo, ma non contro, né il mio cuore, né il mio sogno. Per questa immagine di Dio allora, amici, lietamente do la vita. Cerco in questa direzione. Cerco perché, in fondo, è una ricerca: non ho soluzioni. Di cominciamento in cominciamento, di ripresa in ripresa, di cominciamenti e riprese senza fine (p. 232).

 

Il male e Dio


Nell’età della cristianità durata per secoli la presenza di Dio era quasi un’evidenza, la società e la cultura erano come impastate con le religioni che in qualche modo spiegavano pressoché tutto. Pure per il Dio di Gesú è stato abbastanza cosí, anche se non solo per il popolo, la sua immagine era spesso perversa, era il Dio che premiava i buoni (non sempre però!) e castigava i cattivi, addirittura la peste veniva da Lui. Oggi nel nostro mondo secolarizzato per lo piú non è cosí. Tutt’altro! Oggi si cercano spiegazioni immanenti per tutto, talvolta pure per i miracoli, riconosciuti dalla chiesa dopo
un lungo processo di ricerca, molti pensano che non esistono perché è quello che la scienza non ha ancora spiegato, ma lo farà in futuro. Quindi credere è diventato molto piú difficile, e in particolare per la presenza del male non sempre spiegabile con le negatività dell’uomo e della natura. Il male, infatti, è l’opposto di Dio, se per troppa buona sorte non esistesse

Dio rientrerebbe nel novero di quelle verità che non si rifiutano se non per difetto di intelletto (…) Ma il male c’è, il male esiste. Ed è l’ostacolo: ostacolo non solo che nasconde o muro che impedisce, ma scandalo che piú radicalmente dice non Dio, dice negazione di Dio. Il male non è solo il silenzio, è assenza di Dio (p. 198).

Talvolta pensiamo che per i santi non sia cosí perché hanno uno sguardo piú profondo e, soprattutto, piú libero e fiducioso in Dio. Eppure santa Teresina di Lisieux, oggi dichiarata dal magistero dottore della chiesa, parlava di un buco nero in cui non si vede piú niente ed era il luogo dove lei stava con il corpo e con lo spirito. E inoltre diceva: «Quando io canto la bellezza, la pienezza e la gioia del regno, voi pensate che il velo per me si sia squarciato; ma non è un velo, è un muro che dalla terra si alza fino al cielo. Io canto quello in cui voglio credere» (p. 206).
La constatazione della presenza del male e dei disastri che provoca è dunque una potenza negativa cosí forte e intensa da non sfuggire a una santa dottore della chiesa. Non è incomprensibile perché le devastazioni che produce hanno interrogato l’uomo di tutti i tempi e ogni cultura ha cercato di rispondere all’unde malum di Agostino elaborando le ipotesi e talora anche le spiegazioni piú diverse. Quella cristiana è stata per secoli ed è tuttora, tranne eccezioni di qualche teologo, il peccato di Adamo che ha prodotto una caduta ontologica della creazione a cominciare dall’essere
umano. Don Michele definisce «follia» (p. 231) questa spiegazione se anche salva l’innocenza di Dio. Da dove dunque il male? Ecco che cosa scrive:


La radice del male originario non è una radice morale, il peccato dell’uomo o il peccato di Dio, ma una radice metafisica. La creazione non è segnata dalla colpa né dell’uomo né di Dio; è segnata ontologicamente dal suo nulla originario. Questa, mi pare, è la radice del male che è nella creazione e che è presente anche nell’uomo» (p. 222).

Al punto che
la vita è ancora, per tanta parte, vacua, inanis et tenebrosa. Simone Weil vede una «dura legge della necessità», che domina, nella vita domina la negatività, e dunque il non-Dio. Ma siamo in cammino (p. 225).

Appunto, questa è la risorsa per non cadere nel nichilismo e attingere la speranza:
…Occorre salire. L’ascensione è legge fondamentale dell’essere, costitutiva dell’essere: salendo conosco, salendo capisco, ma se non salgo non capisco e non conosco, (…) ma questo cammino, amici, è fatica nostra, è conquista nostra, certo in sinergia con la luce» (p. 226).

Dunque salire. È la «legge ascensionale» di cui tante volte ci ha parlato don Michele. Una legge di vita. Una legge di speranza. Nessun automatismo. È una conquista e, insieme, da lasciar essere in noi. Scavando con intelligenza e cautela per scartare tutto ciò che in noi la impaccia. E allora si sprigiona la vita.

 

Vita  Pastorale n. 2 febbraio 2009 - Home Page

In ricordo del grande sacerdote proveniente dalla diocesi di Alba e vissuto in Valle d’Aosta, è statopubblicato il volume Per un’immagine creativa del cristianesimo, curato dai suoi amici.

 

Come insegnare ai ragazzi il desiderio di nuovi mondi

Il lavoro degli insegnanti è diventato oggi un lavoro di frontiera: supplire a famiglie inesistenti o angosciate, rompere la tendenza all’isolamento e all’adattamento inebetito di molti giovani, contrastare il mondo morto degli oggetti tecnologici e il potere seduttivo della televisione, riabilitare l’importanza della cultura relegata al rango di pura comparsa sulla scena del mondo, riattivare le dimensioni dell’ascolto e della parola che sembrano totalmente inesistenti, rianimare desideri, progetti, slanci, visioni in una generazione cresciuta attraverso modelli identificatori iperedonisti, conformistici o apaticamente pragmatici. Gli insegnanti consapevoli ce lo dicono in tutti i modi: “Non ascoltano più!”, “Non parlano più!”, “Non studiano più!”, “Non desiderano più!”. Cosa può dunque tenere ancora vivo il motore del desiderio? Non è forse questa la missione che unisce tutte le figure (a partire dai genitori) impegnate nel discorso educativo? Mestiere impossibile decretava Freud. Aggiungendo però a questa profezia pessimistica una buona notizia: i migliori sono quelli che sono consapevoli di questa impossibilità, quelli che non si prendono per davvero come padri o insegnanti educatori. I migliori sono quelli che hanno contattato la loro insufficienza. Sono quelli che hanno preso coscienza dell’impossibilità e del danno che provocherebbe porsi come gli educatori migliori.
Proviamo ora a fare un esperimento mentale: chi sono gli insegnanti che non abbiamo mai dimenticato? Sono quelli che hanno saputo incarnare un sapere, sono quelli che ricordiamo non tanto per ciò che ci hanno insegnato ma per come ce lo hanno insegnato. Ciò che conta nella formazione di un bambino o di un giovane non è tanto il contenuto del sapere, ma la trasmissione
dell’amore per il sapere. Gli insegnanti che non abbiamo dimenticato sono quelli che ci hanno insegnato che non si può sapere senza amore per il sapere. Sono quelli che sono stati per noi uno “stile”. I bravi insegnanti sono quelli che hanno saputo fare esistere dei mondi nuovi con il loro stile. Sono quelli che non ci hanno riempito le teste con un sapere già morto, ma quelli che vi hanno fatto dei buchi. Sono quelli che hanno fatto nascere domande senza offrire risposte già fatte. Il bravo insegnante non è solo colui che sa ma colui che, per usare una bella immagine del padre sopravvissuto celebrato da Cormac McCarthy ne La strada, “sa portare il fuoco”. Portare il fuoco significa che un insegnante non è qualcuno che istruisce, che riempie le teste di contenuti, ma innanzitutto colui che sa portare e dare la parola, sa coltivare la possibilità di stare insieme, sa fare esistere la cultura come possibilità della comunità, sa valorizzare le differenze, la singolarità, animando la curiosità di ciascuno senza però inseguire alcuna immagine di “allievo ideale”, ma
esaltando piuttosto i difetti, persino i sintomi, di ciascuno dei suoi allievi, uno per uno. È, insomma, come scrisse un grande pedagogista italiano quale fu Riccardo Massa, qualcuno che “sa amare chi impara”. Tutti ne abbiamo conosciuto almeno uno. Questa è la vera prevenzione primaria che servirebbe ai nostri figli: incontrarne almeno uno così. Dobbiamo, invece che ironici, essere riconoscenti all’esercito civile di chi ha scelto di vivere nella Scuola, a coloro che hanno autenticamente e appassionatamente scelto di amare chi impara.
Mi è capitato di voler continuare ad insegnare mentre venivo interrotto in aula dagli studenti che protestavano per la Legge Gelmini. Avevano ragione, ma ho insistito nel difendere le mie ragioni.
La democrazia è fatta di queste divergenze, di questi conflitti tra prese di posizione diverse che possono convivere mantenendosi tali. Volevo proseguire nella lezione perché un’ora di lezione non è un automatismo svuotato di senso, non è routine senza desiderio come invece sembrava pensassero i miei interlocutori. Certo questo è il morbo della Scuola, è la patologia propria del discorso dell’Università che ricicla un sapere che tende anonimamente alla ripetizione annullando la sorpresa, l’imprevisto, il non ancora sentito e il non ancora conosciuto. Il vero nemico
dell’insegnante è la tendenza al riciclo e alla riproduzione di un sapere sempre uguale a se stesso. È lo spettro che sovrasta e può condizionare mortalmente questo mestiere: adagiarsi sul già fatto, sul già detto, sul già visto. Ridurre l’amore per il sapere a pura routine. A quel punto non c’è più trasmissione di una conoscenza viva ma burocrazia intellettuale, parassitismo, noia, plagio, conformismo. Un sapere di questo genere non può essere assimilato senza generare un effetto di soffocamento, una vera e propria anoressia intellettuale. Eppure la Scuola continua ad essere fatta di ore di lezione che possono essere avventure, esperienze intellettuali ed emotive profonde. Di fronte ai giovani che protestavano ho voluto continuare ad insegnare e l’ho fatto per tutti i maestri che mi hanno insegnato che un’ora di lezione può sempre aprire un mondo.
Il nostro tempo segnala una crisi senza precedenti del discorso educativo. Le famiglie appaiono come turaccioli sulle onde di una società che ha smarrito il significato virtuoso e paziente della formazione rimpiazzandolo con l’illusione di carriere prive di sacrificio, rapide e, soprattutto, economicamente gratificanti. Come può una famiglia dare senso alla rinuncia se tutto fuori dai suoi confini sospinge verso il rifiuto di ogni forma di rinuncia? Per questa ragione di fondo la Scuola viene invocata dalle famiglie come un’istituzione “paterna” che può separare i nostri figli dall’ipnosi telematica o televisiva in cui sono immersi, dal torpore di un godimento “incestuoso”, per risvegliarli al mondo. Ma anche come una istituzione capace di preservare l’importanza dei libri come oggetti irriducibili alle merci, come oggetti capaci di fare esistere nuovi mondi. Capissero almeno questo i suoi censori implacabili. Capissero che sono innanzitutto i libri – i mondi che essi ci aprono – ad ostacolare la via di quel godimento mortale che sospinge i nostri giovani verso la
dissipazione della vita (tossicomania, bulimia, anoressia, depressione, violenza, alcoolismo, ecc).
Lo sapeva bene Freud quando riteneva che solo la cultura poteva difendere la Civiltà dalla spinta alla distruzione. La Scuola contribuisce a fare esistere il mondo perché un insegnamento, in particolare quello che accompagna la crescita (la cosiddetta scuola dell’obbligo), non si misura certo dalla somma nozionistica delle informazioni che dispensa, ma dalla sua capacità di rendere disponibile la cultura come un nuovo mondo, come un altro mondo rispetto a quello di cui si nutre il legame familiare. Quando questo mondo, il nuovo mondo della cultura, non esiste o il suo accesso viene sbarrato, come faceva notare il Pasolini luterano, c’è solo cultura senza mondo, dunque cultura di morte, cultura della droga. Se tutto sospinge i nostri giovani verso l’assenza di mondo, verso il ritiro autistico, verso la coltivazione di mondi isolati (tecnologici, virtuali, sintomatici), la Scuola è ancora ciò che salvaguarda l’umano, l’incontro, le relazioni, gli scambi, le amicizie, le scoperte intellettuali. Un bravo insegnante non è forse quello che sa fare esistere nuovi mondi?

(L’autore ha scritto “Cosa resta del padre?” per Raffaello Cortina)

in “la Repubblica” del 29 aprile 2011

 

I nuovi padri: intervista a Massimo Recalcati

Massimo Recalcati, Cosa resta del padre?,  Cortina Editore, pag. 190, euro 14.


“Papi”: è così che gli adolescenti di oggi chiamano il proprio genitore, con un nomignolo che suona come un sinonimo dello svuotamento di autorità della figura paterna. Per dirla meglio, con Massimo Recalcati: «La figura del padre ridotta a “papi”, invece di sostenere il valore virtuoso del limite, ne autorizza la sua più totale dissoluzione. E riflette la tendenza di fondo della famiglia ipermoderna: entrambi i genitori sono più preoccupati di farsi amare dai loro figli che di educarli. Più ansiosi di proteggerli dai fallimenti che di sopportarne il conflitto, e dunque meno capaci di rappresentare ancora la differenza generazionale». Recalcati è uno psicoanalista, e lacaniano per giunta, eppure il suo Uomo senza inconscio ha venduto più di diecimila copie. Un successo dovuto alla capacità di raccontare i disagi della nostra civiltà senza un eccesso di tecnicismi scolastici.
Oggi esce il suo nuovo libro sulla paternità nell’epoca ipermoderna, sull’evaporazione del padre, secondo l’espressione coniata da Lacan già alla fine degli anni Sessanta. È un tema che incide sui cambiamenti della cultura occidentale, venendo a mancare il principio fondativo della famiglia e del corpo sociale – oltre a investire profondamente la condizione esistenziale di ciascuno. Già l’interrogativo del titolo allude a un vuoto difficilmente colmabile: Cosa resta del padre? (Cortina, pagg. 190, euro 14).

Cosa resta dell’uomo che assicurava l’ordine del mondo e della vita dei suoi figli?
«Certamente non l’ideale del Padre, il pater familias, il padre come erede in terra della potenza trascendente di Dio, e nemmeno il padre edipico celebrato da Freud come perno della realtà psichica. Non possiamo più ricorrere all’autorità simbolica del padre, che ormai si è dissolta: lo dicono gli psicoanalisti, i sociologi, i filosofi della politica… Si tratta allora di pensare al padre come “resto”, non più Ideale normativo ma atto singolare e irripetibile, antagonista all’insegnamento esemplare, all’intenzione pedagogica. Quel che resta del padre ha la dimensione di una testimonianza etica, è l’incarnazione della possibilità di vivere ancora animati da passioni, vocazioni, progetti creativi. Seppure senza il ricorso alla fede nella parola dogmatica o attraverso sermoni morali».

 

Il padre è un uomo che sa ancora trasmettere il sentimento della speranza?
«È un uomo che dice “sì!” a ciò che esiste, senza sprofondare nell’abisso di un puro godimento distruttivo, senza rendere la vita equivalente alla volontà di morire o impazzire. La verità che può trasmettere è necessariamente indebolita, perché non vanta modelli esemplari o universali: la sua testimonianza infatti buca ogni esemplarità e ogni universalità, risultando eccentrica e anarchica nei confronti di qualunque retorica educativa. Quel che conta – e resta a un figlio – è come, nella buia notte di un mondo senza Dio, un padre mantenga acceso il fuoco della vita, non la manifestazione di una pura negazione repressiva, ma piuttosto la donazione della fiducia nell’avvenire».

 

In un rapporto che rimane del tutto asimmetrico?
«Assolutamente. Le farò un esempio molto semplice: l’insulto di un padre rivolto a un figlio può avere un effetto indelebile che il contrario non comporta in alcun modo… Quando Freud gli attribuiva il saper “tenere gli occhi chiusi”, intendeva sottolineare il carattere “umanizzato” della Legge che rappresenta. Non ascoltare una parola insolente o non vedere un gesto osceno, a volte può essere la condizione per proseguire la partita… È il doppio compito della funzione paterna: introdurre un “no!” che sia davvero un “no!”, e al tempo stesso saper incarnare un desiderio vitale e capace di realizzazione».

 

Famiglie monoparentali, ultracinquantenni che diventano mamme senza un compagno, coppie gay con figli, single con diritto all’adozione… C’era una volta lo schema edipico – sintetizzando: il padre “interdice” il godimento incestuoso e “separa” la madre dal figlio. Ma il mondo non sarà davvero “nuovo” e certi modelli ormai inservibili?
«Lo schema edipico continua ad avere il suo valore, se però si abbandona il teatrino familiare.
Intesa come legame “naturale”, la famiglia composta da una coppia eterosessuale e dai loro figli non è più il nucleo immobile dei legami sociali. Esistono organizzazioni sociali e culturali sempre più complesse, l’importante è che non venga meno la funzione educativa del legame familiare che vuol dire umanizzare la vita, iscriverla in un’appartenenza, farla partecipare a una cultura di gruppo, darle una casa e cioè una radice, una disponibilità alla cura e alla presenza… Se non si può più trasmettere il vero senso della vita, è però ancora possibile mostrare di dare un senso alla vita».

 

Oltre a Freud e soprattutto Lacan, lei ricorre alla letteratura con Philip Roth (Patrimonio) e Cormac McCharty (La strada). E poi a quel cinema di Clint Eastwood che rompe appunto “l’ordine del sangue”. Prendiamo Million Dollar Baby…
«Intanto ogni paternità, come amava ripetere Françoise Dolto, è sempre adottiva, è sempre un’adozione simbolica che trascende il sangue e la biologia… “Io voglio lei!”. “Sarò il tuo allenatore!”: Frankie riconosce il desiderio di Maggie di diventare un pugile professionista, di avere lui e non altri come allenatore, risponde alla sua domanda facendo  eccezione alla propria etica (“Io non alleno ragazze!”) e al funzionamento della sua palestra, frequentata solo da uomini. In questo modo l’atto della paternità si produce come rottura di un ordine universale: l’ordine della morale normativa, del sangue e della genealogia, l’ordine dei dogmi. Frankie accoglie Maggie, non l’abbandona come “una causa persa”, alla fine sarà il suo infermiere, la sua luce, il suo padre amato».

Ma a cosa è legata oggi la funzione del padre?
«Se non può più essere legata al sangue, al sesso, alla biologia, alla discendenza genealogica, allora aveva forse ragione papa Luciani a sconvolgere secoli di teologia dicendo che Dio è anche madre».

 

in “la Repubblica” del 9 marzo 2011