Nella prossima Giornata Mondiale della Gioventù il papa amministra il sacramento del perdono.

 

La Giornata Mondiale della Gioventù, si sa, non è un’invenzione di Benedetto XVI, ma del suo predecessore. Papa Joseph Ratzinger, però, vi ha introdotto due novità di rilievo.

La prima a Colonia, nell’estate del 2005. Al culmine della veglia notturna papa Benedetto si inginocchiò davanti all’ostia consacrata. A lungo e in silenzio. Con centinaia di migliaia di giovani toccati da quel gesto adorante.

Da allora, con papa Benedetto, l’adorazione eucaristica silenziosa è divenuta una costante non solo delle Giornate Mondiali della Gioventù, ma anche di altri incontri di massa, ad esempio la veglia nell’Hyde Park di Londra, il 18 settembre del 2010.

La seconda novità entrerà in campo invece a Madrid, la mattina del prossimo 20 agosto, nei Jardines del Buen Retiro. Nella XXVI Giornata Mondiale della Gioventù che si terrà nella capitale della Spagna, il papa amministrerà in pubblico il sacramento della confessione, per un’ora, prima di celebrare la messa nella cattedrale.

Per l’esattezza, le confessioni fanno parte del programma delle Giornate Mondiali della Gioventù a partire dalla sua edizione di Roma del 2000, quando il Circo Massimo diventò per molte ore il più grande confessionale a cielo aperto che si ricordi.

Mai però finora il papa in persona ha confessato dei giovani durante una Giornata Mondiale della Gioventù.

Giovanni Paolo II usava scendere nel confessionale della basilica di San Pietro una volta all’anno, il mercoledì santo, per un paio d’ore.

Benedetto XVI ha compiuto questo gesto due sole volte, finora: in due celebrazioni penitenziali con i giovani della diocesi di Roma, nella basilica di San Pietro, il giovedì prima della Domenica delle Palme, il 29 marzo 2007 e il 13 marzo 2008.

Ma che il sacramento della confessione sia al centro della sua cura pastorale è fuori dubbio.

Ne ha parlato numerose volte. Soprattutto ai sacerdoti. Per l’Anno Sacerdotale da lui indetto tra il 2009 e il 2010 ha proposto come modello il Curato d’Ars, un santo che passava nel confessionale ogni giorno una decina di ore, con penitenti che accorrevano a lui, umile parroco di campagna, dall’intera Francia.

Per citare solo due suoi richiami, Benedetto XVI ha dedicato interamente al sacramento della confessione il discorso che ha rivolto l’11 marzo 2010 alla Penitenzeria Apostolica:

> “Cari amici…”

E da ultimo, ha cominciato proprio parlando del sacramento del perdono l’omelia della festa dei Santi Pietro e Paolo di quest’anno, che coincideva con il sessantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale:

“Cari fratelli e sorelle, ‘Non vi chiamo più servi ma amici’ (cfr. Gv 15, 15). A sessant’anni dal giorno della mia ordinazione sacerdotale sento ancora risuonare nel mio intimo queste parole di Gesù, che il nostro grande arcivescovo, il cardinale Faulhaber, con la voce ormai un po’ debole e tuttavia ferma, rivolse a noi sacerdoti novelli al termine della cerimonia di ordinazione. Secondo l’ordinamento liturgico di quel tempo, quest’acclamazione significava allora l’esplicito conferimento ai sacerdoti novelli del mandato di rimettere i peccati. ‘Non più servi ma amici’: io sapevo e avvertivo che, in quel momento, questa non era solo una parola cerimoniale, ed era anche più di una citazione della Sacra Scrittura. Ne ero consapevole: in questo momento, Egli stesso, il Signore, la dice a me in modo del tutto personale. Nel Battesimo e nella Cresima, Egli ci aveva già attirati verso di sé, ci aveva accolti nella famiglia di Dio. Tuttavia, ciò che avveniva in quel momento, era ancora qualcosa di più. Egli mi chiama amico. Mi accoglie nella cerchia di coloro ai quali si era rivolto nel Cenacolo. Nella cerchia di coloro che egli conosce in modo del tutto particolare e che così lo vengono a conoscere in modo particolare. Mi conferisce la facoltà, che quasi mette paura, di fare ciò che solo egli, il Figlio di Dio, può dire e fare legittimamente: Io ti perdono i tuoi peccati. Egli vuole che io – per suo mandato – possa pronunciare con il suo ‘Io’ una parola che non è soltanto parola bensì azione che produce un cambiamento nel più profondo dell’essere. So che dietro tale parola c’è la sua passione per causa nostra e per noi. So che il perdono ha il suo prezzo: nella sua passione, egli è disceso nel fondo buio e sporco del nostro peccato. È disceso nella notte della nostra colpa, e solo così essa può essere trasformata. E mediante il mandato di perdonare egli mi permette di gettare uno sguardo nell’abisso dell’uomo e nella grandezza del suo patire per noi uomini, che mi lascia intuire la grandezza del suo amore. Egli si confida con me: ‘Non più servi ma amici’. Egli mi affida le parole della consacrazione nell’Eucaristia. Egli mi ritiene capace di annunciare la sua Parola, di spiegarla in modo retto e di portarla agli uomini di oggi. Egli si affida a me. ‘Non siete più servi ma amici’: questa è un’affermazione che reca una grande gioia interiore e che, al contempo, nella sua grandezza, può far venire i brividi lungo i decenni, con tutte le esperienze della propria debolezza e della sua inesauribile bontà”. […]

All’intensità con cui Benedetto XVI promuove una rinascita della confessione non è finora corrisposta una sensibile messa in pratica dei suoi appelli, da parte di vescovi e sacerdoti.

Il tema è stato ampiamente trascurato anche dai media.

Il gesto pubblico che Benedetto XVI compirà a Madrid il prossimo 20 agosto, confessando durante la Giornata Mondiale della Gioventù, richiamerà l’attenzione su questo cruciale deficit della pratica cristiana d’oggi?

__________

Il testo integrale dell’omelia di Benedetto XVI del 29 giugno 2011, nella festa dei santi Pietro e Paolo:

> “Non vi chiamo più servi ma amici…”