Decalogo è un termine greco.
Vuol dire dieci (déka) parole (lógos).
In molti hanno scelto di tradurlo con «I Dieci Comandamenti», anche perché in ebraico «parola» (davar) è sinonimo di comandamento.
La Bibbia riporta due versioni, sostanzialmente omogenee, delle frasi che Mosè ascoltò sul Sinai e che furono incise sulle Tavole della Legge.
Si trovano in Esodo 20, 1-6 e in Deuteronomio 5, 6-10.
Nella tradizione cattolica — che si discosta da quella ebraica e, tra l’altro, anche dalla protestante, più aderenti al testo biblico — Agostino distinse i tre Comandamenti iniziali dai successivi sette, attribuendo ai primi i doveri verso Dio e agli altri quelli verso gli uomini.
Ma la codificazione del Decalogo dei catechismi cattolici venne formulata, dopo diverse proposte scolastiche (Pietro Lombardo, Tommaso d’Aquino eccetera), da Alfonso Maria de’ Liguori nel Settecento.
Il santo napoletano scelse i Comandamenti come sommario di tutta la teologia morale e cercò di riassumere in ogni proposizione un settore di vita.
Per esempio il sesto, «non commettere adulterio», non figura nella sua sistemazione ma viene allargato con il «non commettere atti impuri», comprendendo in tal modo tutta la morale sessuale.
Rileggere il Decalogo e interpretarlo nell’epoca che si sta vivendo, è stato un bisogno continuo dell’Occidente; era naturale che lo si dovesse fare anche nel nuovo millennio.
Per tal motivo il progetto de il Mulino, di rimeditare attraverso un duplice intervento i Comandamenti (compreso quello dell’amore per il prossimo, già enunciato in Levitico 19,18), merita la massima attenzione.
Il primo volume, dedicato a Io sono il Signore Dio tuo, frase che non può essere equiparata alle successive e introduce le Tavole della Legge, è firmato da Piero Coda e Massimo Cacciari.
Il percorso offerto dai due autori in queste pagine parte dalla semantica originaria del Nome per giungere alle riflessioni sul Deus-Trinitas.
Infinite le suggestioni e le riflessioni.
Se da un lato ci si deve confrontare con l’autopresentazione di Dio di Esodo 3,14 «Io sono colui che sono» (’ehjeh asher ’ehjeh), e che Piero Coda mostra in innumerevoli interpretazioni compresa quella che nacque dalla versione greca dei Settanta (ego eimi o on: si potrebbe rendere sino a «Io sono l’Essente»), dall’altro lato ci si chiede chi sia «l’Uno dell’Esodo».
E qui Massimo Cacciari sa dare il meglio di sé indicando le vie che consentono di avvicinarsi al «segreto del Nome divino», anche se resta «inafferrabile e ineffabile».
Sottolinea: «Non interessa tanto il Nome ma ciò che l’Essere di Dio può.
La sua natura è di essere, non di essere nominato, e di essere ponendo “fuori” di sé tutta la propria potenza».
Sulla frase «Non avere altri dei di fronte a me» (Esodo 20,3; Deuteronomio 5,7), il primo ordine di Dio del Decalogo, c’è una letteratura infinita.
Coda ricorda tra l’altro che Jhwh irrompe nella storia attraverso Israele e si propone come «l’imprescindibile garanzia della libertà dell’uomo»; Cacciari comincia il suo saggio chiarendo gli equivoci dei possibili politeismi e notando che anche quello pagano «ci appare ormai testimonianza di un passato irripetibile, capace al più di esercitare un fascino antiquario-letterario privo di qualsiasi valore religioso o filosofico».
C’è un’osservazione di Martin Buber che merita di essere ricordata: «La dottrina della unicità ha la sua ragione vitale non nel fatto che ci si formi un giudizio sul numero di dèi che ci sono e si cerchi magari di verificarlo, bensì nella esclusività che regge il rapporto di fede, come esso regge il vero amore tra uomo e uomo; più esattamente: nel valore e nella capacità totale insito nel carattere esclusivo…
L’unicità nel “monoteismo” non è, dunque, quella di un “esemplare”, ma è quella del partner nella relazione interpersonale, finché questa non viene rinnegata nell’insieme della vita vissuta» (Königtum Gottes, Opere II, München 1964).
Coda, inoltre, verifica la frase di apertura dei Comandamenti nel Nuovo Testamento; Cacciari dedica due attente riflessioni all’ Uno Essere e a L’Uno Signore dell’Essere utilizzando una notevole conoscenza dei testi filosofici e teologici.
Da Rosenzweig a Spinoza, da Nietzsche a Hegel, da Kant a Weber si muove indicando la lettura più vicina a noi.
Che aggiungere? Forse un’immagine che molti ricordano e che potrebbe essere una didascalia per questo primo volume.
Nel film hollywoodiano I dieci comandamenti del 1956, diretto da Cecil B.
De Mille, Ramesse (Yul Brynner) dice a Nefertari (Anne Baxter) al suo ritorno dal Mar Rosso, dopo aver inseguito gli ebrei e Mosè: «Il suo dio…
è Dio».
Coda e Cacciari ci aiutano a comprendere meglio queste parole.
in “Corriere della Sera” del 1° maggio 2010 Il progetto della casa editrice il Mulino dedicato a I Comandamenti sarà realizzato in 11 volumi.
Si tratta di una scelta che tiene conto anche dell’invito ad amare il prossimo, non presente nel Decalogo del Sinai ricevuto da Mosé, ma raccomandato già nel libro del Levitico (19,18) e ribadito con forza da Gesù nel Nuovo Testamento.
Oltre il libro che inaugura la serie di Massimo Cacciari e Piero Coda Io sono il Signore Dio tuo (pp.
164, € 12), che sarà in libreria il 6 maggio ed è presentato in questa pagina con un estratto dei due saggi (si intitolano rispettivamente Il pensiero più alto e Questo Dio per la libertà), sono previste le seguenti uscite: Non ti fari idolo né immagine con Salvatore Natoli e Pierangelo Sequeri, Non nominare il nome di Dio invano con Carlo Galli e Piero Stefani, Santificare la Festa con Massimo Donà e Stefano Levi della Torre, Onora il padre e la madre con Giuseppe Laras e Chiara Saraceno, Non uccidere con Adriana Cavarero e Angelo Scola, Non commettere adulterio con Eva Cantarella e Paolo Ricca, Non rubare con Paolo Prodi e Guido Rossi, Non dire falsa testimonianza con Tullio Padovani e Vincenzo Vitiello, Non desiderare la donna e la roba d’altri con Gianfranco Ravasi e Andrea Tagliapietra.
Chiuderà Ama il prossimo tuo con Enzo Bianchi e Massimo Cacciari.
Piero Coda: Il nome rivelato è come la sua firma Nella costruzione raddoppiata: «Io sono colui che Io sono», il predicato è identico al soggetto.
Essa può sottolineare un rafforzamento dell’ auto presentazione di Jhwh: «Io sono proprio chi Io sono».
Ma, più profondamente, insinua anche una riaffermazione della trascendenza e dell’incognito di Dio nel momento stesso del suo farsi presente: «Solo Io so chi Io sono».
È un invito a non fermarsi al Nome così come suona e che pure esprime quanto detto, ma a passarvi attraverso per lasciare che sia Dio a stabilire, mediante la memoria verbale del suo Nome, un rapporto vivo e personale di sé con noi.
Altrimenti si cade nella tentazione di volersi impadronire del Nome di Dio, e addirittura di farsene un idolo.
Per questo Jhwh comanda di non pronunciare invano il suo Nome e di non farsi di Lui immagine alcuna.
Dio si rivela – precisa Paul Beauchamp – mediante un significante che non fa parte dell’organizzazione interna al discorso, ma lo fonda come una firma.
«Io sono chi Io sono»: firma esterna al testo, dunque, benché ricorrente nel testo stesso.
Queste parole bucano la pagina, hanno cioè un risalto eccezionale.
Il Nome rivelato a Mosè mette così tutta la Bibbia sotto un’istanza alla prima persona, quella di Dio come soggetto libero e incatturabile che viene graziosamente incontro all’uomo chiedendogli a sua volta affidamento e fedeltà.
Massimo Cacciari: Non un precetto ma un’affermazione La prima Parola (il primo dei «deka logoi ») non si presenta nella forma di un precetto («miswa »), ma di un’affermazione, di una perentoria autoaffermazione: «Io sono Jhwh, tuo Elohim» (Esodo, 20,2).
Non si tratta di un comandamento, ma del necessario presupposto di tutta la Legge.
È infatti impossibile comandare di credere nell’esistenza di Jhwh.
E che senso avrebbe obbedire a ciò che venisse ritenuto un puro nome, cui nulla di reale corrisponde? Lo stesso Maimonide, che pure fonda sui principi dell’esistenza di Dio e della sua unità l’insieme della Legge, non li concepisce affatto come oggetto di fede, ma, anzi, come il risultato cui perviene la sana ragione, oggetto cioè di dimostrazione.
Questo «Io, proprio Io, Jhwh», creduto o riconosciuto che sia, non potrà mai essere il contenuto di un comando, e tuttavia la Legge, l’unica Legge (legge assolutamente universale, a tutti rivolta – tanto che l’antica tradizione rabbinica diceva essere stata dettata dal Signore in 76 lingue, così che ogni gente potesse comprenderla), divina tutta in quanto giusta in tutte le sue parti, nel suo stesso interno differenziarsi e articolarsi, la Legge che stabilisce le forme della relazione tra uomo e Dio, ne presuppone la Rivelazione.
Se la forza di quell’Io venisse meno, il Decalogo si ridurrebbe a «legge morale in noi», la Legge divina perderebbe il significato che deve assumere anche per la perfezione del vivere civile.
Le stesse norme che suonano semplicemente etiche o cultuali debbono sempre essere comprese alla luce della Rivelazione del Nome.
News
- Tomáš Halík, Il sogno di un nuovo mattino. Lettere al papa.
- XXXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
- padre Rinaldo Paganelli (1955-2024) Profilo bio-bibliografico
- Simposio Internazionale di Catechetica. La dimensione educativa della catechesi
- Global RE© September - October 2024
- Vademecum 2024-2025
- XXXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
- XXXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO
- 1° CORSO DI FORMAZIONE per Équipe, Operatori Pastorali ed Educatori
- “Abbiamo fatto una religione interculturale”: Riflessioni educative dopo un perc...