(ANS – Buenos Aires) – Siamo a Viedma, intorno al 1940. Da qualche anno il salesiano coadiutore Artemide Zatti è l’anima dell’ospedale “San José” che i salesiani gestiscono dalla fine del secolo XIX in questa città della Patagonia argentina. Un luogo dove la cura della vita non si limita alla salute fisica, ma è offerta alle persone in modo integrale… a tutte le persone.
Un povero mezzadro è ricoverato in ospedale da diversi mesi. Era grato per quanto Artemide Zatti aveva fatto per la sua salute e per tutta la sua persona – senza chiedergli nulla, poiché non era in grado di pagare. Vuole esprimergli la sua gratitudine. Non sapendo come fare, gli dice: “Grazie di tutto, sig. Zatti. La saluto e porgo tanti saluti anche a sua moglie, anche se non ho il piacere di conoscerla…”. “Neanch’io” rispose Zatti ridendo.
Nelle cose grandi si può fingere. Nelle piccole cose uno si mostra così com’è. E in questa risposta possiamo rintracciare qualcosa della vita e del cuore del sig. Zatti.
Vicino, fratello
Zatti ha dovuto vivere lo sradicamento, l’emigrazione, i limiti economici che lo costringono a smettere di studiare per lavorare, le difficoltà a farsi strada nella sua comunità. Tutti aspetti che sono sintomi di povertà… e questo, paradossalmente, lo aiuterà a capire i dolori e i bisogni dei poveri.
Vivere la sua vocazione salesiana di “coadiutore” o “fratello” salesiano facilita questa vicinanza. Don Bosco pensa ai Salesiani Coadiutori come ad una presenza educativa ravvicinata tra i giovani e nei settori popolari. Lo fa in un contesto sociale, quello dell’Italia all’inizio della Rivoluzione Industriale, in cui c’è una mancanza di empatia da parte del popolo verso tutto ciò che è “conventuale” o “claustrale”.
Questa semplicità e l’assenza di “forme” ecclesiastiche nei Salesiani Coadiutori – che non riguarda solo l’abito o i compiti che si svolgono, ma anche il modo di pensare, di guardare al mondo comprendendolo come un luogo in cui cresce e si sviluppa il Regno di Dio – permettono loro di essere vicini e di essere uno in più tra gli altri, e di raggiungere anche ambienti e persone che, altrimenti, sarebbero lontani dalla fede.
Quindi, questa vocazione del Salesiano Coadiutore non si riferirà tanto a ciò che si può o non si può fare, ma a come essere nel fare. Così, tante volte troviamo coadiutori che svolgono compiti o proposte non usuali nell’attività salesiana, come lo era per il sig. Zatti fare l’infermiere.
La vocazione di Zatti come salesiano coadiutore non è frutto di una mancanza, perché “non ha altra scelta”, dato che la tubercolosi che aveva sofferto quando era nel seminario salesiano di Bernal gli impedì di continuare il suo sogno di essere sacerdote salesiano. Piuttosto, in base a quella circostanza, egli trova un altro modo per sviluppare la sua vita e il suo desiderio di servire ed essere felice. Come spesso accade, dal dolore e dal limite possono emergere un surplus d’amore ed orizzonti molto più ampi del previsto.
Questa vicinanza del sig. Zatti si esprime anche in un altro dettaglio: lui continua a muoversi in bicicletta. Gli offrirono di comprargli un’auto, per muoversi “più velocemente” e “raggiungere più persone”, di essere più efficace… un’offerta che rifiutò sempre. Preferisce la bicicletta, che gli permette di fermarsi e trascorrere del tempo con le persone.
Con gioia
Il dottor Ecay, medico dell’ospedale, una volta gli chiese: “Sig. Zatti, come fa a stare sempre di buon umore?” Al che Zatti rispose: “È facile, dottore: ingoiare amaro e sputare dolce”.
Avere un viso allegro e rispondere con umorismo, anche nelle circostanze più difficili, nasce da un cuore che è in pace con Dio e si sente amato da Lui, che sa relativizzare le situazioni, individuando l’essenziale.
Forse il sig. Zatti avrebbe potuto rispondere con un argomento incentrato sulla teologia della vita religiosa a quella persona che mandava i suoi saluti alla moglie… ma la sua risposta è stata diversa. Comprendendo anche che la vocazione del salesiano coadiutore è un po’ più sconosciuta e fraintesa, a volte pure con una mancanza di riconoscimento sociale dato il valore che la società ha della figura del sacerdote. Ma questo non preoccupa, né rattrista Zatti. Capisce che l’essenziale continuano ad essere le “persone” – Da mihi animas, caetera tolle – e il loro benessere, e a loro si dedica.
Le infermiere che alle volte lo sorprendevano alle 5:30 del mattino, prima della preghiera con la comunità salesiana, prostrato nella cappella con il viso premuto a terra in profonda preghiera, sanno dove Zatti trovava la forza per continuare a percorrere il cammino, a volte accidentato e difficile, del servizio agli altri.
In comunità
All’ospedale c’è sempre stata un’ottima squadra, che don Zatti ha formato a sua immagine e somiglianza. Vi lavoravano altri Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, oltre a diversi medici e infermieri. In tutti, la motivazione iniziale è stata quella di poter aiutare i più bisognosi con professionalità e una visione integrale dell’essere umano. E, dal punto di vista di Zatti, aiutare coloro che lavoravano con lui a crescere nella fede.
Un medico, che aveva seri dubbi sulla sua fede, disse persino: “Di fronte a Zatti, la mia incredulità vacilla… se ci sono santi sulla terra, lui è uno di loro. Quando sto per prendere il bisturi in sala operatoria e lo vedo aiutare nelle operazioni, con la sua saggezza di infermiere e con il rosario in mano, l’atmosfera si riempie di qualcosa di soprannaturale…”.
La preghiera che invoca l’intercessione del sig. Zatti recita: “La gioia di vederlo risplendere nel Cielo dei tuoi santi ci aiuti a testimoniare la tua Luce”. Che la sua vita di seguace di Gesù nello stile di Don Bosco incoraggi tutti a saper riesaminare il nostro cammino e, nelle rispettive vocazioni e professioni, a lasciarsi plasmare da Dio nelle proprie azioni quotidiane.
Roberto Monarca