Dalla pastorale del “campanile” a quella del “campanello”

“Lettera aperta alla parrocchia” di monsignor Gualtiero Sigismondi*– Parrocchia carissima, traendo spunto da don Primo Mazzolari, che nella prima metà del Novecento ha avuto la felice intuizione di scrivere una “Lettera” su di te, ti invio queste righe, che giro per conoscenza a quanti, opportune et importune, parlano della tua missione pastorale.
– C’è chi ne parla con profonda gratitudine, convinto della tua dimensione popolare di vicinanza alle case della gente, di porta d’accesso alla fede cristiana e all’esperienza ecclesiale, ma non del tutto consapevole della tua vocazione missionaria.
– C’è, pure, chi ne parla senza uscire dalla sacrestia o senza allontanarsi dall’ombra del campanile, ignorando la tua dipendenza strutturale dalla Chiesa particolare, a cui è intimamente legata
la tua appartenenza vitale alla Chiesa universale.
– C’è, persino, chi ne parla per conferirti la medaglia d’oro al “valore pastorale”, nella consapevolezza che hai “combattuto la buona battaglia” della salus animarum e hai portato a termine la tua lunga “corsa”, conservando la fede della Chiesa.
– C’è, addirittura, chi ne parla con diffidenza, ritenendoti, se non proprio un “rottame pastorale”, un “pezzo d’antiquariato” o, comunque, un “oggetto da museo”, indicato da questa laconica didascalia: “fontana del villaggio ormai sigillata”.
– C’è, anche, chi ne parla con troppa sicurezza, smaniando di versare “vino nuovo in otri vecchi”, anziché “vino nuovo in otri nuovi” (cf Lc 5,37-39), magari con il lodevole proposito di rinnovarti, ma con il risultato di incrinarti e di spaccarti.
– C’è, infine, chi ne parla con entusiasmo sincero, volendo seguire l’esempio dello scriba di evangelica memoria il quale, divenuto “discepolo del Regno”, «è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52).
Come vedi, carissima parrocchia, sono in molti a tenere fisso lo sguardo su di te, forse con la nostalgia della simpatia, ma non sempre con la lungimiranza della profezia, che unisce alla pazienza dell’attesa l’intelligenza dei “segni dei tempi”.
Non temere né l’intraprendenza di chi ti ritiene inadeguata, né la reticenza di chi ti considera sorpassata e neppure la sufficienza di chi stenta a riconoscere la tua esperienza di lungo corso.
Non sostare nel vicolo cieco della “febbre degli eventi” o del “male della pietra” e non accontentarti di moltiplicare “iniziative prive di iniziativa”, che potrebbero dare l’impressione che tu sia un’azienda pastorale.
Non limitarti a presidiare i confini del tuo territorio, ma abbi l’audacia di presiederlo, riscoprendo la “grammatica di base” del “primo annuncio”. Ricordati che non è il territorio ad appartenere alla parrocchia, ma il contrario, nel duplice senso di farne parte e di prenderne le parti. Renditi conto che l’attenzione alla vita sociale non è separabile dall’impegno ecclesiale. Mi raccomando, prenditi cura dei poveri, “amici abituali della canonica”, e di coloro che si sono allontanati da te per “delusione d’innamorati”.
Parrocchia carissima, non dimenticare che la Parola convoca la comunità cristiana e l’eucaristia la fa essere un solo corpo. Tieni bene a mente che “la fede nasce dall’ascolto e si rafforza nell’annuncio”.
Esplora la “frontiera” della missione coltivando e dilatando gli strumenti e gli spazi della comunione, poiché “la concordia è il presupposto della Pentecoste”.
Valorizza gli organismi di partecipazione, ispirandoti non alla logica parlamentare della maggioranza bensì al criterio sinodale della convergenza. Riconosci la necessità e l’importanza delle unità o comunità pastorali, che non sono sovrastrutture amministrative, ma infrastrutture che contribuiscono a tradurre l’ecclesiologia di comunione del Vaticano II.
Non guardare con alterigia alla pietà popolare, autentico “sistema immunitario del corpo ecclesiale”, ma purificala da eventuali eccessi e rinnovala nei contenuti e nelle forme.
Affida all’oratorio il compito di rivelare il volto e la passione educativa della Chiesa per le nuove generazioni, coinvolgendo animatori, catechisti e genitori. Investi le migliori energie sulla famiglia, vera “miniatura” della Chiesa, altrimenti il tuo impegno pastorale sarà sempre una rincorsa affannosa.
Scommetti sull’Azione cattolica, riconoscendo il suo “carisma popolare” e la sua “passione formativa”, senza trascurare di accogliere il “genio missionario” delle nuove aggregazioni ecclesiali e degli istituti di vita consacrata, antichi e recenti, che assicurano un prezioso supporto di energie evangelizzatrici: guardati dalla tentazione di “spegnere lo Spirito”! (cf 1Ts 5,19).
Non rinunciare al suono delle campane, ma abbi il coraggio di passare dalla pastorale del “campanile” a quella del “campanello” – anche il tuo nome evoca l’idea di “vicinanza” (parà) riferita alla “casa” (oikìa) –, dalla pastorale “a pioggia” di mantenimento a quella “a goccia” di accompagnamento.
Parrocchia carissima, sei tanto venerabile quanto veneranda, e tuttavia tieni presente che “la bellezza di ogni creatura è nella sua capacità di rinnovarsi”.

*Vescovo di Orvieto-Todi e Assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica Italiana – articolo pubblicato sul mensile Vita pastorale (maggio/2020)