Prima lettura: 2Samuele 7,1-5.8-12.14.16
Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato ripo-so da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una ca-sa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e rende-rò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».
Il testo di 2 Sam 7,12-14 è il perno del messianismo dinastico. Quando Israele ha un re-gno e un re, i profeti ne prendono atto per dare una raffigurazione o configurazione con-creta all’idea della salvezza, cioè alle vaghe «promesse» che Abramo ha portato con sé par-tendo da Ur (cf. Gn 12,3).
La sensibilità religiosa di David esplode dopo la costruzione della sua reggia. Allora gli pare sconveniente che l’arca del Signore sia ancora custodita «sotto i teli di una tenda». An-che il profeta Natan sembra in un primo tempo confermarlo nel proposito di costruire un tempio a JHWH, ma nella notte l’uomo di Dio riceve un messaggio diverso. La casa per JHWH non è urgente mentre è del tutto opportuno pensare e provvedere al consolida-mento della «casa», ossia della dinastia davidica da poco affermatasi.
Dio ha scelto David; da umile pastorello l’ha costituito capo del suo popolo; l’ha accom-pagnato persino nelle sue guerre, ha combattuto per lui assicurandogli la vittoria sui ne-mici. Il discorso è arduo ad accettarsi ma le parole non vogliono dire altro che Dio ha avu-to una particolare attenzione alla persona di David per dei compiti riservati a un suo lon-tano discendente. Non è la persona del re l’oggetto delle preoccupazioni e predilezioni di-vine ma la sua dinastia, la «casa». Il patto stretto alle pendici del Sinai con l’intera nazione trova una sua speciale attuazione con la famiglia di David, alla quale Dio assicurerà una durata eterna (v. 16). È una promessa, una profezia che passa attraverso la dinastia davidi-ca, ma ne trascende i componenti.
Il titolo «figlio di David» diventerà sinonimo di re escatologico, di messia, di liberatore e restauratore delle sorti del popolo di Dio. La dinastia scomparirà con l’esilio e il popolo continuerà ad attendere il «figlio di David». Anche Gesù ne sentirà parlare e ne parlerà ma si tratta di un attributo messianico tradizionale più che di un collegamento storico-dinastico con l’antico casato regale. Gesù dimostra che può essere «figlio di David» anche uno che originariamente è il «figlio del falegname».
Seconda lettura: Romani 16,25-27
Fratelli, a colui che ha il potere di confermarvi nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, an-nunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen.
La Lettera ai romani ha due «conclusioni»: 11,33-36 e il presente brano. Nel primo caso Paolo esce in un inno di ringraziamento alla imperscrutabile sapienza divina per avere appunto intrecciato sia la missione che la defezione d’Israele con la conversione e salvezza dei gentili.
Ora con un nuovo inno ricapitola le tappe del disegno di Dio, il «mistero». Esso è rima-sto nascosto «per secoli eterni» nella sua mente; è stato poi fatto trapelare da lui stesso at-traverso i profeti, quindi le Scritture, e «ora» ne ha fatto la piena manifestazione in virtù dell’annunzio [kerygma] di Gesù Cristo di cui Paolo è il banditore (l’evangelista).
Cosicché anche i romani come tutti i gentili che sembravano esclusi dal piano della sal-vezza, almeno secondo un’ottica o una lettura accreditata presso le scuole giudaiche, vi fanno invece parte.
Il messaggio centrale del Vangelo è che Dio, secondo l’esperienza che ne ha fatto Gesù, è eguale con tutti i popoli, come con tutti gli uomini. Essi sono egualmente suoi figli, sia i discendenti di Abramo che di Israele, i giudei e i samaritani. È la buona notizia, il vangelo che egli comunicava ai suoi seguaci e agli uomini della sua generazione, ma i più non l’hanno capito e si sono ribellati alle sue aperture e l’hanno condannato. Ma altri l’hanno compreso e fatto proprio e tra questi ama annoverarsi Paolo, chiamato l’apostolo dei genti-li, scelto particolarmente da Dio a questo scopo.
Paolo sa di ripetere una testimonianza, un’esperienza che proviene da Gesù Cristo, ma osa dire che è il suo vangelo, il messaggio di consolazione che ora trasmette ai romani co-me ha già fatto ai gentili dell’Asia e della Grecia. «Suo» perché ormai è la sua prima, quasi ossessiva preoccupazione. «Guai a me se non evangelizzo», dirà anche in questo senso ai corinti (1Cor9,16).
Tutto è partito da Dio e tutto a lui deve far ritorno, cioè a lui deve ridondare la gloria che proviene dall’attuazione di questo spettacolare disegno di ampiezze universali, me-glio, indefinite, perché va oltre il tempo e oltre lo spazio. L’autore non può non chiudere quest’evocazione con un invito alla lode a colui che è all’origine del disegno e ne è stato l’esecutore. Almeno coloro che ne sono i beneficiari si ricordino di rivolgere uno sguardo riverente e grato a colui che li ha tanto amati.
Vangelo: Luca 1,26-38
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti co-prirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua paro-la». E l’angelo si allontanò da lei.
Esegesi
Luca apre il suo «racconto» dell’infanzia di Gesù con due quadri messi a fianco e a con-fronto in modo che al lettore o all’osservatore sia più facile rilevare le somiglianze e le dif-ferenze dei rispettivi protagonisti dell’uno e dell’altro dipinto. È il «dittico degli annunzi», a un sacerdote di Gerusalemme (1,5-25) e a una vergine di Nazaret (1,26-38). Il primo ri-guarda la concezione e nascita del precursore messianico, il secondo il messia stesso.
La «notizia» che l’evangelista deve comunicare è al di fuori di qualsiasi verifica, anzi al di sopra della stessa comune logica. Deve perciò essere messa bene in chiaro la fonte da cui proviene. L’«annunzio» pertanto appare un’esperienza straordinaria, ma è soprattutto un modulo, si potrebbe dire un genere letterario. Quello che l’evangelista sta per segnalare o proporre non proviene dalle riflessioni o dalla fantasia di qualche eminente pensatore (non è un dato filosofico o teologico) ma giunge direttamente da Dio. È una sua comunica-zione, un messaggio che gli ha fatto pervenire tramite i suoi particolari fiduciari (i profeti).
L’«angelo» è per sua definizione un «messo» del Signore, potrebbe essere anche una sua visibilizzazione. In tutti i modi sta sempre a indicare la provenienza delle informazioni ri-ferite e insieme ne ricorda il garante. Chi legge non può avere dubbi non tanto sulla realtà dell’apparizione, quanto sul messaggio trasmesso.
I contorni della raffigurazione sono anch’essi più funzionali che episodici; segnalano il teatro degli «avvenimenti», le condizioni dei protagonisti; in realtà mirano a far conoscere la trama e i presupposti della salvezza.
Maria, a differenza di Zaccaria, di stirpe sacerdotale, è una sconosciuta fanciulla di Na-zaret, un oscuro villaggio della semipagana Galilea. Una contrada da cui nessuno s’aspet-tava che potesse uscire qualcosa di buono (Gv 1,46). Il suo unico prestigio è che è «vergi-ne». Il termine sta indicare la sua giovane età, ma come apparirà nel resto del dialogo, in-dica anche una sua particolare scelta di vita. Anche il comportamento dell’angelo, ben di-verso da quello assunto con Zaccaria, è ordinato a mettere in rilievo la dignità di Maria. A lei l’angelo è inviato e verso di lei è ossequioso, accondiscendente, mentre con il suo pre-cedente interlocutore era stato categorico e imperioso.
L’«annunzio» è uno schema didattico, ma insieme anche una «scena». I personaggi sono in movimento, parlano tra di loro, si scambiano messaggi. Le prime parole dell’angelo so-no misteriose: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (1,28). L’originale greco chaire può esser tradotto con un comune «salve», «ave» (shalom), ma potrebbe anche equivalere a «esulta», «rallegrati». In quest’ultima supposizione il messo celeste non farebbe che ripe-tere l’invito che i profeti rivolgevano alla figlia di Sion a prepararsi alla venuta di JHWH in mezzo al suo popolo. «Esulta, rallegrati, ecco JHWH è in mezzo a te valoroso salvatore» (cf. Sof 3,14-15; Gioe 2.21 -22; Zc 2,14; 9,9). Se un analogo invito è rivolto a Maria vuol dire che in lei, attraverso qualche sua singolare prestazione, si realizzeranno le previsioni pro-fetiche. In lei si raccoglie simbolicamente il migliore Israele erede delle promesse di Dio al suo popolo. Se ciò è vero vuol dire che le antiche promesse stanno per avere la loro attua-zione.
La «pienezza di grazia» che l’angelo scopre in Maria indica la sua interiore santità, ma più probabilmente la missione che lei è chiamata a svolgere. «Hai trovato grazia», le viene ripetuto poco dopo (1,30) quasi a conferma e vien fatta un’allusione alla sua maternità. A tale scopo, per portare cioè a compimento un compito così grande. Dio stesso sarà con lei, come altre volte in passato si era trovata a fianco dei vari protagonisti della storia della salvezza. «Io sarò con te» è ormai la frase di prammatica nella tradizione profetica. Dio non lascia i suoi inviati allo sbaraglio, ma li assiste con tutti i suoi favori.
Le parole dell’angelo lasciano intuire un incarico, un’incombenza nel piano di Dio, ma non quale essa sia; per questo Maria invece di esultare rimane meditabonda. Dentro di sé si domanda che cosa potesse significare un tale saluto. L’angelo è in grado di comprendere le sue difficoltà senza che lei le manifesti e cerca di dissiparle prima che lei risponda. Ella pertanto darà alla luce un figlio che sarà egualmente «figlio dell’Altissimo», «re d’Israele», «Cristo», unto, cioè consacrato al Signore. In altre parole lei, l’anonima giovane nazareta-na, conseguirà la maternità più ambita da tutte le donne d’Israele.
Un messaggio del genere è sempre fonte di gioia, ma non sembra ne sia inondato l’ani-mo di Maria. Ella non ha nulla contro la proposta angelica, ma la trova irrealizzabile nella sua persona. La frase «non conosco uomo» nonostante che l’autore abbia sopra detto che «era promessa sposa di un uomo» (1,27), sta a indicare che ella si trova in uno stato in cui le è pre-cluso ogni rapporto maritale. Non solo non conosce un determinato uomo, ma alcun uo-mo, né ora, né in un immediato futuro. Solo in quest’ipotesi le sue parole hanno un senso. Nella sua vita avrà a fianco uno sposo, ma nessun marito. Da qui la richiesta all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?».
Le vie di Dio sono sempre senza numero, hanno ripetuto di sovente i profeti; è quanto riaffermerà tra breve l’angelo (1,37) ora invece fa appello alla sua «potenza» e alla «virtù del suo Spirito». Esse sono in grado di far sbocciare un nuovo germoglio di vita nel seno di una vergine senza alcun concorso umano. La spiegazione di Lc 1,34 («Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?») è Lc 1,35 («Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra»).
L’obiezione di Maria può dirsi risolta. Ella sarà madre nonostante la sua scelta verginale e il figlio che nascerà da lei sarà «santo» come chi è nato da Dio; sarà addirittura «figlio di Dio» riflettendo in tutto i suoi comportamenti di carità e di amore fino a perdonare gli stessi crocifissori, un grado di perfezione che solo Dio sa avere (cf. Mt 5,48).
Qualcosa di analogo si era verificato nell’anziana parente Elisabetta. Colei che era steri-le era diventata miracolosamente madre; Maria che è vergine, una cosa ben diversa ma molto affine alla sterilità, sarà ciononostante madre. Un evento illustra l’altro; anche se non lo spiega lo rende più facilmente accettabile.
Maria si trova nella piena possibilità di accettare coscientemente e liberamente la gran-de proposta; e il suo assenso è immediato, pieno, gioioso. Non è rassegnazione, accetta-zione supina, ma decisa, generosa. Il verbo «avvenga per me», in greco, è un ottativo; espri-me un desiderio, una precisa volontà, un auspicio. E il nome che ella si attribuisce «la serva del Signore» conferma questo suo stato d’animo e questa sua disposizione. Ella è lieta, qua-si ansiosa di compiere la volontà del Signore che l’ha chiamata a un compito così alto nell’attuazione dei suoi disegni.
L’«annunciazione» ossia il testo di Lc 1,26-38 oltre un «annunzio di nascita (della nascita del messia) è anche un «racconto di vocazione», della chiamata cioè di Maria alle sue pre-stazioni materne nell’opera della salvezza.
Meditazione
Lo sguardo pieno di speranza che ha nutrito la paziente attesa di Israele, e di ogni uo-mo, intravede all’orizzonte il compimento della promessa; Dio, canterà Maria nel suo inno di lode, «ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre» (Lc 1,54-55). Le letture di questa quarta domenica di Avvento, che ormai ci avvicina al mistero del Natale, ruotano attorno al compimento della promessa di un Dio che entra definitivamente nella sto-ria dell’umanità accogliendo il volto stesso dell’uomo (è il mistero della Incarnazione): Dio si rivela come l’Emmanuele, come il Dio che, nella fedeltà, continua a camminare assieme al suo popolo, ma in modo oramai totalmente nuovo e definitivo poiché «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14, versetto che risuonerà in tutto il tempo natalizio).
Nella prima lettura, tratta dal secondo libro di Samuele, la promessa a Davide di una discendenza e di un trono che dureranno per sempre trova misteriosamente il suo com-pimento in una umile casa della Galilea: a una giovane donna, Maria, viene annunciata la nascita di un bambino al quale «il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32-33). Ma come già il pro-feta Natan aveva preannunciato a Davide, Dio compie le sue promesse in modo parados-sale e inaudito. Alla pretesa ingenua di Davide di costruire una «casa» a Dio, il Signore ri-sponde con un dono inatteso: la sola «casa» veramente degna del Dio infinito, non costrui-ta da mani d’uomo, è Gesù, la cui carne viene misteriosamente intessuta nel seno di Maria. In Gesù Dio ormai dimora con l’uomo e ogni uomo può trovare in Lui la sua propria casa.
Ciò che i profeti avevano annunciato e ciò che Dio stesso aveva anticipato con molti se-gni nella storia di Israele, è come misteriosamente sintetizzato nel racconto della annun-ciazione: ve-ramente «il mistero avvolto nel silenzio per secoli eterni» ora è manifestato (cfr. Rm 16,25). L’evangelista Luca, l’unico che ci riporta il racconto della annunciazione della nascita di Gesù ci offre una narrazione coinvolgente ed essenziale allo stesso tempo, capace di condurci alla soglia del mistero che continuamente si affaccia in tutto il racconto e lo avvolge; di esso ci fa percepire contemporaneamente la vicinanza (soprattutto attra-verso il dinamismo delle reazioni di Maria alle parole dell’angelo) e l’insondabile profon-dità (nelle continue aperture verso l’infinito di Dio, soprattutto attraverso le parole dell’angelo). Nel racconto si intrecciano continuamente parole e testi della Scrittura, for-mando così un complesso sottofondo biblico che orienta alla comprensione di ciò che sta avvenendo, senza d’altra parte esaurirlo. E questo radicarsi nell’Antico Testamento offre al racconto della annunciazione una tonalità del tutto particolare; ciò che sta accadendo ora è in continuità con gli eventi del passato, indice della fedeltà salvifica di un Dio che non viene meno alla sua promessa, ma una continuità nel contempo trascesa a motivo della inaudita novità. Data la ricchezza degli spunti che questo testo offre, ci soffermiamo solo su due temi.
Anzitutto la gratuità di Dio. Uno sconosciuto villano della Gallica e un contesto quoti-diano fatto di gioie (una coppia di fidanzati, il desiderio di costruire una famiglia) e di po-vertà. Ecco ciò che attrae lo sguardo di Dio. È forte il contrasto con l’annuncio della nascita del Battista, nel quadro solenne del tempio. L’iniziativa di Dio appare in tutta la sua gra-tuità, come qualcosa di inatteso e che capovolge i criteri umani, fino a raggiungere l’umanamente assurdo: una vergine che non conosce uomo potrà concepire un figlio. Ve-ramente «nulla è impossibile a Dio» (v. 37). Ma questa gratuità si rivela soprattutto nel sa-luto dell’angelo Gabriele a Maria: «Rallegrati piena di grazia, il Signore e con te» (v. 20). In queste parole è racchiuso il mistero che abita Maria, diventando il sottofondo trasparente in cui si riflette l’amore di Dio per l’uomo. In questo saluto è impressa, quasi come un si-gillo, la vocazione di Maria, il suo nome segreto che solo Dio conosce. Nel cammino di Maria è racchiusa la gioia (in greco charà) di ogni promessa di Dio che troverà compimento nella lieta notizia che è Gesù di Nazaret; nel cammino di Maria si riflette tutta la benevo-lenza di Dio, la sua grazia (in greco charis) che trasforma radicalmente la povera ragazza di Nazaret rendendola degna dello sguardo di Dio; e, infine, nel corpo stesso di Maria, la gioia e la grazia prendono un volto, quello dell’Emmanuele, quello del Signore che abita in mezzo al suo popolo.
Alla gratuità di Dio, fa eco l’ascolto di Maria. L’inaudita parola di Dio pronunciata dall’angelo attraversa l’umanità di questa donna, provocando diverse reazioni: in Maria inizia un dialogo interiore, un cammino di riflessione per capire il senso di ciò che ha udi-to. È un tratto tipico del modo di reagire di Maria e che Luca sottolinea altre volte: «Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Questa reazione attiva di Maria (ben lungi dalla paura di Zaccaria che rende muto l’uomo) permette di porre do-mande alla Parola e, di conseguenza, aprire un nuovo orizzonte, uno spazio di novità, un salto di qualità nella propria fede. E, d’altra parte, fede e ascolto sono il terreno in cui ma-tura la risposta di Maria alle parola dell’angelo: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (v. 38). Con il suo sì alla Parola, Maria aderisce alla verità più pro-fonda del suo essere: si sente nient’altro che «schiava» e come tale si presenta, libera e senza pretese, davanti al suo Signore. Solo in un cuore e in un corpo così disponibili la Pa-rola può incarnarsi. È questa la vera beatitudine del credente: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1, 45).
L’immagine della domenica
La Madonnina stava sola sola,
nascosta come una umile viola,
presso ad un cancello appena chiuso.
Filava con la mano il bianco fuso.
Sua madre, S. Anna, era lontana.
Si era fermata presso una fontana.
Quando un angelo bello del Signore
entrò pian piano senza far rumore.
Alla Madonna le riscosse il cuore.
L’angelo le disse: “Non aver timore”,
Madre di un bel Bambino tu sarai,
quel Bambino Gesù lo chiamerai.
In te verrà lo Spirito di Dio.
Maria, Gabriele Arcangelo sono io.
Allora la Madonna chinò la testa
e l’angelo fece grande festa.
Preghiere e racconti
Il Rabbi Mendel
Un giorno in cui riceveva degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo: “Dove abita Dio?”. Quelli risero di lui: “Ma che vi prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?”. Ma il Rabbi diede lui stesso la risposta alla domanda: “Dio abita dove lo si lascia entrare”.
(tratto da Il cammino dell’uomo di Martin Buber).
Come Maria, anche noi siamo «amati per sempre»
L’Incarnazione del Verbo è come la caduta di un seme nel solco. Il seme cade e porta una energia di vita dentro la terra. La terra a sua volta lo avvolge e lo nutre, cede al seme i suoi elementi chimici inerti e il seme li trasforma in una dimensione superiore: dal freddo oscuro della terra estrae colore e profumo e sapore, per il più piccolo fiore o per l’albero secolare (G. Vannucci).
La nostra fede inizia da una annunciazione: un angelo afferma che l’Onnipotente si fa bambino, fremito nel grembo di Maria, fame di latte e di carezze. L’annunciazione è il pun-to di estasi della storia umana, la falla attraverso la quale entra l’acqua di un’altra sorgente, la feritoia attraverso la quale il divino si innesta, come un ramo d’olivo, sul vecchio tronco della terra che riprende a fiorire. Quell’annuncio è una fessura di luce attraverso la quale la nostra storia prende respiro, allarga le ali, spicca il volo.
La prima parola dell’angelo a Maria “chaire” non è un semplice saluto, dentro vibra quella cosa buona e rara che tutti, in tutti i giorni, cerchiamo: la gioia “rallegrati, gioisci, sii felice”. Non chiede: prega, inginocchiati, fai questo o quello. Ma semplicemente: apriti alla gioia, come una porta si apre al sole. Dio si avvicina e ti stringe in un abbraccio, viene e porta una promessa di felicità.
La seconda parola svela il perché della gioia: sei piena di grazia. Un termine nuovo, mai risuonato prima nella Bibbia o nelle sinagoghe, letteralmente inaudito, che fa tremare Ma-ria: Dio si è chinato su di te, si è innamorato di te, si è dato a te, e tu trabocchi di Dio. Il tuo nome è: amata per sempre. Teneramente, liberamente, senza rimpianti amata.
E annuncia che Dio sceglie un grembo di donna, che entra nel nostro fiume di santi e peccatori, in questa corrente gravida di fango e pagliuzze d’oro; che si dirama per tutte le vene del mondo, fino agli ultimi rami della creazione. Si capisce che Maria sia senza parole e che risponda prima con il silenzio e poi con una domanda: come è possibile?
«La tua prima parola, Maria, ti chiediamo di accogliere in cuore, come sia possibile an-cora concepire pur noi il suo Verbo» (Turoldo). La vocazione di Maria è la nostra stessa vocazione: chiamati tutti ad essere madri di Gesù, a renderlo vivo, presente, importante in queste strade, in queste case, nelle nostre relazioni. L’angelo Gabriele è ancora inviato ad ogni casa ad annunciare a ciascuno: «sii felice, anche tu sei amato per sempre, verrà in te la Vita».
Io credo in un angelo che ha il seme di Dio nella voce; credo in un Bambino, sgusciato dal grembo di una donna, che è il racconto della tenerezza di Dio, immagine alta e pura del volto dell’uomo.
(Ermes Ronchi)
La fede di Maria
Le tre letture convergono nel presentare la fedeltà di Dio che stipula un’alleanza con David assicurando al discendente regale la stabilità del regno (2Sam 7) e che adempie tale promessa stringendo un’alleanza con Maria e costituendola madre del Messia (Lc 1). Que-sto è il disegno sapiente di Dio, il mistero a lungo taciuto, ma che trova nel Cristo il suo svelamento (Rm 16). L’insieme delle letture invita a volgere ormai lo sguardo verso l’incarnazione, evento in cui sfocia la fedeltà di Dio all’umanità.
Le tre letture formano una dinamica di questo tipo: alla promessa di Dio che si rivolge all’uomo e che instaura un’attesa verso il futuro (2Sam 7), segue la narrazione della rice-zione personale della promessa, mediante la quale la parola di Dio trova un interlocutore umano che la accoglie e le dà carne (Lc 1); infine abbiamo la celebrazione della Parola, la dossologia che canta il compimento della promessa (Rm 16). Si disegna così un itinerario che è il cammino stesso della parola da Dio all’uomo e dall’uomo di nuovo a Dio: promes-sa di Dio – sua realizzazione storica e personale – liturgia.
Il testo evangelico presenta l’irrompere della parola di Dio nel quotidiano della vita di gente semplice (una coppia di fidanzati: vv. 26-27): il quotidiano è il luogo teologico per eccellenza. E l’accostamento della prima lettura (ripresa nel passo lucano: vv. 32-33) con il vangelo mostra l’evidente scarto tra promessa e compimento. Dallo stile alto della storio-grafia di corte si passa alla narrazione di una situazione della più ordinaria quotidianità.
Il luogo in cui la promessa si realizza è il corpo, la storia, il tempo, la relazione tra per-sone, l’interiorità di un cuore, la trama delle quotidiane vicende dell’esistenza, e in quell’impatto la promessa stessa si ridisegna assumendo una forma finalmente reale, ma anche imprevista. Il compimento della promessa è anch’esso novità, è anch’esso rivela-zione.
A Maria è rivolta una promessa da Dio e suo compito è credere alla promessa. Ovvero, credere l’incredibile: lei, vergine, avrà un figlio. Promettere è far sperare, è dare un senso e una direzione al tempo, è suscitare un’attesa. Ed è sempre impegnare se stesso al futuro: il Dio della promessa è il Dio fedele, che impegna e dona se stesso, la propria presenza.
Così la nascita del Messia apparirà come il farsi carne e persona della fedeltà di Dio. Segno che viene dato a Maria, la vergine di Nazaret, è quanto avvenuto a Elisabetta, la ste-rile. Trova compimento grazie al sì di Maria quella storia della promessa divina che già nell’Antico Testamento si è fatta strada grazie a nascite prodigiose da donne sterili. La storia della salvezza è la storia dell’impossibile che Dio rende possibile.
Maria appare donna di fede: essa è chiamata a credere di più alla promessa incredibile di Dio e alla potenza della sua parola che all’evidenza della sua impotenza umana a realiz-zarla (“Non conosco uomo!”). La fede si fa strada in Maria attraverso un cammino artico-lato: al turbamento e alla perplessità di fronte all’annuncio (v. 29), segue la domanda che esprime la fede che interroga e cerca (v. 34), e infine avviene l’assenso, l’abbandono di fe-de: “Ecco la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola” (v. 38).
La fede di Maria è quella di una donna che ascolta la parola di Dio. Maria si fa dimora della Parola arrivando a concepire il Verbo “nello spirito prima che nel corpo” (Agostino). È l’ascolto che crea il servo: come avviene del Servo del Signore, reso tale dal quotidiano ascolto della parola di Dio (cf. Is 50,4), così avviene di Maria, resa servadalla sua acco-glienza incondizionata della parola.
E questo ci ricorda che nella chiesa ciò che è essenziale non è fare dei servizi (in una prospettiva di efficacia ed efficienza), ma divenire dei servi (nella prospettiva della santità, della conversione del cuore). Maria stessa, come figura della chiesa, è figura di una ecclesia audiens, sottomessa al primato della parola di Dio, e dunque “serva”, appartenente al suo Signore, obbediente a lui.
(Luciano Manicardi)
Dove abita Dio?
Dove abita Dio? E la domanda che guida la nostra riflessione, infatti la parola «casa» ri-corre ben 14 volte in 2Sam 7, di cui leggiamo solo alcuni versetti nell’odierna liturgia della Parola. Il re Davide considera un atto di giustizia la preoccupazione di dare a Dio una casa stabile, al posto della tenda che ospita l’Arca, il segno visibile della sua alleanza con l’uo-mo.
L’ingenuità di Davide non sta solo nel presumere una sorta di uguaglianza tra lui e Dio, simbolizzata dalla tipologia dell’abitazione, ma sta soprattutto nel non cogliere la portata del termine stesso: «casa» non è solo una costruzione di cedro (7,2), ma è la discendenza, la stabilità del regno, la paternità, il «trono reso stabile per sempre» (7,16). Tutte queste cose superano la buona volontà di Davide e sono frutto di una elezione divina cui l’uomo può solo aderire o rifiutare.
È Dio a scegliere la dimora adatta a manifestare la sua presenza, nell’attesa della «nuo-va Gerusalemme» che scende dal cielo, la definitiva «dimora di Dio con gli uomini» (Ap 21,2-3). Maria, la vergine di Nazaret, prefigura sulla terra questa dimora celeste: su di lei soffia lo spirito creatore (Gen 1), su di lei si stenderà come ombra la potenza dell’Altissi-mo. Maria sarà la casa di Gesù, del Figlio di Dio, del Dio-con-noi.
Dove abita l’uomo là abita Dio. La casa che il Signore sceglie per rivelarsi è l’uomo. Ogni singola vicenda umana diviene luogo di redenzione e di estrema vicinanza dell’Em-manuele, del Dio-con-noi. Né un luogo fisico costruito da mani d’uomo, ne alcun atto di giustizia umana potranno circoscrivere lo spazio del nostro Dio. Egli è libero e spazia di generazione in generazione, tessendo con sempre nuova fantasia i luoghi della sua sempre rinnovata manifestazione.
Le nostre case: luogo della dimora del Signore. «Casa» è anche la nostra dimora, l’abita-zione che comunemente ci raccoglie e protegge, il luogo degli affetti più sinceri, dei sacri-fici e delle gioie condivise. «Casa» è la storia di ogni singola famiglia. La preghiera di oggi sia anche un’invocazione perché le nostre case siano luoghi in cui il Signore abiti stabil-mente. La sua fedeltà rende ogni casa dell’uomo luogo di santità.
Nel nostro cuore egli trova le sue delizie. Come Maria, il discepolo di Gesù lascia che l’Altissimo prenda stabilmente dimora in lui. Domanda che lo Spirito Santo operi in lui il prodigio della nuova creazione e che nel suo cuore, per sempre rinnovato e affidato al Pa-dre, il Figlio dell’uomo riposi e trovi le sue consolazioni.
Maria, donna gestante
«Rimase con lei circa tre mesi. Poi tornò a casa sua».
Il vangelo stavolta non dice se vi tornò «in fretta», come fu per il viaggio di andata. Ma c’è da supporlo. Da Nazaret era quasi scappata di corsa, senza salutare nessuno. Quell’in-credibile chiamata di Dio l’aveva sconvolta. Era come se, improvvisamente, all’interno del-la sua casetta si fosse spalancato un cratere e lei vi camminasse sul ciglio in preda alle ver-tigini. E allora, per non precipitare nell’abisso, si era aggrappata alla montagna.
Ma ora bisognava tornare. Quei tre mesi di altura le erano bastati per placare i tumulti interiori. Vicino a Elisabetta aveva portato a compimento il noviziato di una gestazione di cui cominciava lentamente a dipanare il segreto. Ora bisognava scendere in pianura e af-frontare i problemi terra terra a cui va incontro ogni donna in attesa. Con qualche compli-cazione in più. Come dirglielo a Giuseppe? E alle compagne con cui aveva condiviso fino a poco tempo prima i suoi sogni di ragazza innamorata, come avrebbe spiegato il mistero che le era scoppiato nel grembo? Che avrebbero detto in paese?
Sì, anche a Nazaret voleva giungere in fretta. Perciò accelerava l’andatura, quasi dan-zando sui sassi. Oltretutto, su quei sentieri di campagna, vi si sentiva sospinta come dal vento, di cui, però, le foglie degli ulivi e i pampini delle viti non lasciavano percepire la brezza, nell’immota calura dell’estate di Palestina.
Per placare il batticuore, che pure tre mesi prima non aveva provato in salita, si sedette sull’erba.
Solo allora si accorse che il ventre le si era curvato come una vela. E capì per la prima volta che quella vela non si issava sul suo fragile scafo di donna, ma sulla grande nave del mondo per condurla verso spiagge lontane. Non fece in tempo a rientrare in casa, che Giu-seppe, senza chiederle neppure che rendesse più esaurienti le spiegazioni fornitegli dall’angelo, se la portò subito con se. Ed era contento di starle vicino. Ne spiava i bisogni. Ne capiva le ansie. Ne interpretava le improvvise stanchezze. Ne assecondava i preparati-vi per un natale che ormai doveva tardare.
Una notte, lei gli disse: «Senti, Giuseppe, si muove».
Lui, allora, le posò sul grembo la mano, leggera come battito di palpebra, e rabbrividì di felicità.
Maria non fu estranea alle tribolazioni a cui è assoggettata ogni comune gestante. Anzi, era come se si concentrassero in lei le speranze, sì, ma anche le paure di tutte le donne in attesa. Che ne sarà di questo frutto, non ancora maturo, che mi porto nel seno? Gli vorrà bene la gente? Sarà contento di esistere? E quanto peserà su di me il versetto della Genesi: «Partorirai i figli nel dolore»?
Cento domande senza risposta. Cento presagi di luce. Ma anche cento inquietudini. Che si intrecciavano attorno a lei quando le parenti, la sera, restavano a farle compagnia fino a tardi. Lei ascoltava senza turbarsi. E sorrideva ogni volta che qualcuna mormorava: «Scommetto che sarà femmina».
Santa Maria, donna gestante, creatura dolcissima che nel tuo corpo di vergine hai offer-to all’Eterno la pista d’atterraggio nel tempo, scrigno di tenerezza entro cui è venuto a rin-chiudersi Colui che i cieli non riescono a contenere, noi non potremo mai sapere con quali parole gli rispondevi, mentre te lo sentivi balzare sotto il cuore, quasi volesse intrecciare anzi tempo colloqui d’amore con te.
Forse in quei momenti ti sarai posta la domanda se fossi tu a donargli i battiti, o fosse lui a prestarti i suoi.
Vigilie trepide di sogni, le tue. Mentre al telaio, risonante di spole, gli preparavi con mani veloci pannolini di lana, gli tessevi lentamente, nel silenzio del grembo, una tunica di carne. Chi sa quante volte avrai avuto il presentimento che quella tunica, un giorno, gliel’avrebbero lacerata. Ti sfiorava allora un fremito di mestizia, ma poi riprendevi a sor-ridere pensando che tra non molto le donne di Nazaret, venendoti a trovare dopo il parto, avrebbero detto: «Rassomiglia tutto a sua madre». Santa Maria, donna gestante, fontana attraverso cui, dalle falde dei colli eterni, è giunta fino a noi l’acqua della vita, aiutaci ad accogliere come dono ogni creatura che si affaccia a questo mondo. Non c’è ragione che giustifichi il rifiuto. Non c’è violenza che legittimi violenza. Non c’è programma che non possa saltare di fronte al miracolo di una vita che germoglia.
Mettiti, ti preghiamo, accanto a Marilena, che, a quarant’anni, si dispera perché non sa accettare una maternità indesiderata. Sostieni Rosaria, che non sa come affrontare la gen-te, dopo che lui se n’è andato, lasciandola col suo destino di ragazza madre. Suggerisci pa-role di perdono a Lucia, che, dopo quel gesto folle, non sa darsi pace e intride ogni notte il cuscino con lacrime di pentimento.
Riempi di gioia la casa di Antonietta e Marco, la quale non risuonerà mai di vagiti, e di’ ad essi che l’indefettibilità del loro reciproco amore è già una creatura che basta a riempire tutta l’esistenza.
Santa Maria, donna gestante, grazie perché, se Gesù l’hai portato nel grembo nove me-si, noi, ci stai portando tutta la vita. Donaci le tue fattezze. Modellaci sul tuo volto. Tra-sfondici i lineamenti del tuo spirito.
Perché, quando giungerà per noi il dies natalis, se le porte del cielo ci si spalancheranno dinanzi senza fatica sarà solo per questa nostra, sia pur pallida, somiglianza con te.
(Don Tonino Bello, Maria , donna dei nostri giorni, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2000, 25-27).
Preghiera
Dio eterno,
Dio sempre nuovo,
inafferrabile,
Dio di alleanza,
Dio di libertà,
dove adorarti? dove cercarti? dove attenderti?
dove si annuncia la tua venuta?
La tua Parola ci rassicuri,
o Padre degli uomini,
Dio della promessa,
ora e sempre.
Presenza imprevedibile,
Dio di lunga pazienza,
Signore dell’impossibile,
noi non sappiamo ne l’ora ne il luogo
della tua venuta.
Ma, sicuri che il tuo amore ci è dato
per scoprire, per svelare, per generare,
non cessiamo di pregarti:
il tuo Spirito ci guidi alle opere del Regno,
all’incontro con il tuo Figlio Gesù Cristo,
nostro fratello e nostro Signore, per sempre.
(Nicole Berthet)
IV DOMENICA DI AVVENTO
Dinanzi all’Annunciata dipinta da Antonello da Messina nel 1476 risultano ancora più vere le parole con cui l’allora cardinale Joseph Ratzinger introduceva il Compendio del Ca-techismo della Chiesa Cattolica: «Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contempla-zione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. È un indizio, questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunica-zione e di trasmissione del messaggio evangelico». Ciò che è valido oggi era comunque pa-trimonio comune nella coscienza della Chiesa sin dall’antichità, e Antonello da Messina non fa altro se non inserirsi in questa lunghissima scia di grazia e di bellezza. Per questo dipinge la figura di Maria fissando lo sguardo sul suo mondo interiore nel quale si racco-glie come in un solo punto l’intera storia della salvezza. Nello sguardo e nei gesti di Maria, soprattutto nel suo viso, è infatti possibile cogliere insieme la promessa divina, l’attesa della sua realizzazione e la gioia del suo compimento. Maria viene definitivamente intro-dotta nel mistero di Cristo mediante l’annuncio dell’angelo avvenuto a Nazareth, come leggiamo al n. 9 della Redemptoris Mater di Giovanni Paolo II:
«La donazione salvifica che Dio fa di sé e della sua vita in qualche modo a tutta la creazio-ne, e direttamente all’uomo, raggiunge nel mistero dell’incarnazione uno dei vertici. Que-sto, infatti, è un vertice tra tutte le donazioni di grazia nella storia dell’uomo e del cosmo. Maria è “piena di grazia”, perché l’incarnazione del Verbo, l’unione ipostatica del Figlio di Dio con la natura umana, si realizza e compie proprio in lei». Nel Verbo fatto uomo “tutte le promesse di Dio sono divenute sì” (cf. 2Cor 1,20) perché in quel mistero, realizzatosi in momento particolare e in un luogo altrettanto particolare, la storia, l’universo e l’umanità intera hanno la loro origine, il loro compimento, il loro senso. L’immagine dipinta da An-tonello da Messina sembra rendere ragione di questo mistero. L’artista dipinge Maria co-me una fanciulla sorpresa nell’atto di ricevere l’annuncio della nascita di Gesù. È comple-tamente avvolta da un velo blu e mostra un volto luminoso, dai lineamenti gentili e sereni, che risalta ancora di più sullo sfondo scuro del dipinto.
Emerge dal manto i cui lembi sono tenuti insieme da un gesto gentile della mano. Ha di-nanzi a sé un leggio in cui sono scritte le profezie che in quell’istante si stanno realizzando per lei e per il mondo. Il tutto è consegnato a un assoluto equilibrio tra l’immobilità e la frontalità della scena e una rotazione appena accennata della figura. Sembra che lo spetta-tore abbia raffigurato Maria nel suo dialogo silenzioso con l’Arcangelo che le sta di fronte e quindi nel suo colloquio segreto con Dio. L’espressione della Vergine rivela insieme me-ditazione, contemplazione e riflessione. «Solamente la Vergine e l’Arcangelo! / Lo sguardo intento, e la guardata forma: / gli occhi beati, e il letiziante aspetto. / Ed abolito, intorno, l’universo», scrive Rainer Maria Rilke ne L’annunciazione a Maria. Il volto della Vergine è quello di una giovane ragazza, una donna vera, in carne e ossa. Il realismo del volto, fatto di terra e di cielo, è accentuato dal gesto delicato della mano destra protesa in avanti e ap-pena sollevata dal tavolo, che definisce lo spazio e distanzia, raccordandoli allo stesso tempo, l’osservatore e la figura della Madonna. In quel gesto, compiuto in risposta alle pa-role dell’Angelo, si percepisce la propensione della Vergine e il suo “sì” incondizionato al disegno di Dio. In Lei si manifesta in pienezza la vocazione cristiana e la natura di ogni uomo che nell’ascolto e nella risposta a Dio si fa voce dell’intero creato. Come, infatti, vie-ne ricordato nell’Invito al Convegno ecclesiale di Firenze 2015 attraverso un richiamo al pensiero di Romano Guardini, «l’uomo è designato a essere l’ascoltatore della parola che è il mondo. Dev’essere anche colui che risponde. Mediante lui, tutte le cose devono tornare a Dio in forma di risposta».
È la risposta di una vita santa e vissuta nel servizio a Dio e ai fratelli. È la risposta della lo-de e del rendimento di grazie, tanto che nel libro aperto sul leggio è stato riconosciuto l’inno evangelico del Magnificat. Nella scena dipinta da Antonello da Messina è presente soprattutto lo Spirito Santo, colui che ha parlato per mezzo dei profeti e che adesso, sotto forma di vento, parla al cuore di Maria – e di ogni credente – sollevando le pagine di quel libro delle grandi opere della salvezza che la Vergine sta meditando nel suo cuore. Con Maria la Chiesa attende ancora il Figlio di Dio perché nasca nel mondo di oggi, e invoca il dono dello Spirito perché renda fecondo e accogliente il tempo presente. Prega perché il suo sì sia semplice e incondizionato, come quello di Maria, e la stabilizzi non al centro del mondo, ma la ponga al suo servizio. Nella preghiera Colletta il credente, dopo aver ricor-dato quanto Dio ha compiuto in Maria, può dunque pregare: «Concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te in santità e purezza di spirito».
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
– Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004- .
– Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
– UFFICIO LITURGICO NAZIONALE DELLA CEI, Sussidio Avvento Natale, 2013-2014.
– G. TURANI, Avvento e natale 2011. Sarà chiamato Dio con noi.
– Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, a cura di Enzo Bianchi et al., Mi-lano, Vita e Pensiero, 2005.
– Adviento y Navidad, in «Sal Terrae» 101 (2013) 1.184, número monográfico.
– Avvento-Natale 2010, a cura dell’ULN della CEI, Milano, San Paolo, 2010.
– J.B. METZ, Avvento-Natale, Brescia, Queriniana, 1974.
– Don Tonino Bello, Avvento e Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Edi-trice Vaticana, 2012.
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– Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.
PER L’APPROFONDIMENTO:
IV AVVENTO ANNO B