Con piacevole sorpresa accogliamo la notizia della pubblicazione di una lettera da parte dei vescovi italiani a tutti gli insegnanti di religione cattolica. La lettera si riallaccia a una precedente, pubblicata a quasi 25 anni di distanza, che i vescovi esortano a riprendere in mano perché essa continua a conservare e custodire le caratteristiche di fondo dell’insegnamento nato con l’Accordo di revisione del Concordato del 1984.
I nodi essenziali dell’insegnamento della religione cattolica
Di quelle caratteristiche i vescovi italiani in questa nuova lettera riprendono alcuni aspetti che ritengono debbano meritare uno sguardo aggiornato visto il mutato contesto sociale e culturale. Primo nodo cruciale: l’Insegnamento di religione cattolica (IRC) rimane prezioso per tre soggetti: scuola stessa, società, comunità ecclesiale. Secondo nodo: il valore dell’IRC oggi vanta un profilo altamente scolastico pur avendo mantenuto la nota di confessionalità. Terzo nodo cruciale: se l’IRC è disciplina scolastica e confessionale al contempo e sa parlare ad intra e ad extra, sembra perfettamente attagliarsi in un’Italia ormai multi-religiosa e pluri-culturale.
Il patrimonio culturale del cattolicesimo è immenso e spesso mi fa tenerezza sentire a volte da parte di qualche alunno: «Prof, perché la religione ha un programma?». In una fase estremamente fluida della vita sociale – cito un passo della lettera – dal punto di vista etico e valoriale, l’IRC potrebbe offrire lo spessore adulto ed educativo adeguato di cui i ragazzi hanno bisogno. Ma è la dimensione storica, secondo me, la chiave sottolineata dai vescovi per illuminare le generazioni future. Essi insistono sull’importanza del fattore religioso nel dibattito pubblico per una società democratica matura.
Democrazia e complessità del fenomeno religioso
Credo che i nostri vescovi siano convinti che la vera democrazia è quella che garantisce tutte le libertà di scelta, in primis il principe delle libertà di scelta: la libertà religiosa. Lo studio delle religioni e/o delle componenti della dimensione religiosa dell’umano, che i vescovi sottolineano essere uno dei tratti caratteristici delle indicazioni scolastiche, non possono che favorire processi di incontro, di dialogo, di integrazione, quindi di democrazia.
Io in classe spesso uso la parola democrazia, ribadendo che l’ora di religione è l’ora della libertà, non quella naturalmente di non far nulla, ma quella nella quale liberamente si è deciso di far qualcosa per sè stessi. E i ragazzi comprendono quello che voglio dire perché in essi è viva questa sensibilità per la libertà. Gli alunni, già dallo stesso inquadramento di non-obbligatorietà disciplinare della religione cattolica nell’ordinamento giuridico scolastico, se ben indirizzati dal docente a rifletterci su, possono apprendere la bellezza del fenomeno religioso, le sue aperture, le sue potenzialità ad una convivenza pacifica.
L’insegnante di religione e le comunità ecclesiali
Questo è il punto più utopico, e lo dico in senso alto e nobile e non in senso deleterio e rassegnato. I vescovi, in coerenza con la nota distintiva della confessionalità, con la peculiarità della figura di educatore credente che ne discende e che si pretende, con l’istituto dell’idoneità quale segno di riconoscimento di certe qualità in nome della comunità ecclesiale tutta, dedicano la terza ed ultima parte della lettera al rapporto tra IRC e comunità ecclesiale. Sono sincero: onore ed onere in quello che i vescovi asseriscono! L’IRC va ricollocato nel quadro dell’azione pastorale complessiva.
Ripeto perché non è cosa da poco: il mondo della scuola è un pezzo di mondo a cui la Chiesa non può più fare a meno di guardare se è vero, come è vero, che la realtà dove il parroco era pure l’insegnante è tramontata ormai da un pezzo. I vescovi ci chiamano ad un compito arduo: testimoniare e animare senza mai confondere missione evangelizzatrice e insegnamento scolastico, praticando il dialogo culturale nei confronti delle altre discipline e delle altre religioni. Ma ancor più interessante: tutto questo non rimane fuori dalla porta della parrocchia o del luogo dove un gruppo ecclesiale si riunisce. La competenza e l’esperienza vanno valorizzate dentro la comunità ecclesiale, in ogni settore di essa.