XXXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO

 Prima lettura: Sapienza 6,12-16

La sapienza è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano. Nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano. Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta. Riflettere su di lei, infatti, è intelligenza perfetta, chi veglia a causa sua sarà presto senza affanni; poiché lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei, appare loro benevola per le strade e in ogni progetto va loro incontro.

 

v Il nostro brano si trova nella seconda sezione del libro della Sapienza, quando, dopo aver rilevato la duplice sorte dei giusti e dei malvagi al cospetto del creatore (cc. 1-5), l’autore fa l’elogio della sapienza quale guida sicura che conduce al supremo bene dell’uomo (6,1-11,3). Sono le riflessioni di un ebreo della diaspora (circa il 50 a.C.) che intende esporre alla luce della fede javista e con il linguaggio della cultura greca i grandi problemi dell’esistenza umana in vista di un’immortalità felice. Orientativi sono due versi: «Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura» (2,23) «hai compassione di tutti… ami tutte le cose esistenti».

«La sapienza è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano». Qui la sapienza (come la maat egiziana) viene personificata con i lineamenti di una giovane sposa, attraente, radiosa. Chi comincia a contemplarla non può non innamorarsi di lei, e chi le si mette in cerca riuscirà sicuramente a trovarla: «il desiderio della sapienza conduce al regno» (6,20). È qualcosa che già sta nell’intimo del cuore umano, qualcosa a cui siamo già orientati.

«Nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano». Si completa il concetto precedente: se qualcuno coltiva l’anelito verso la sapienza, essa già gli si avvicina per farsi «conoscere» nel senso pieno semitico, entrerà cioè nella sua intimità, le si affezionerà profondamente.

«La troverà seduta alla sua porta». se qualcuno quanto prima (di buon mattino) si muoverà verso di lei, se la troverà addirittura di fronte, presso la porta di casa, ad attenderlo: «quanti la cercano di buon mattino, si dirà in Sir 4,12, saranno ricolmi di gioia».

«Lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei ». C’è di più. Essa è già in cammino alla ricerca di quanti sono aperti verso di lei, riflettono su di essa, si comportano con rettitudine, in conformità di ciò che hanno intuito di bello e di nobile in lei: ad essi «andrà incontro come una madre» (Sir 15,2), «beato chi medita sulla sapienza e … considera nel cuore le sue vie» (Sir 14,20s).

È un riflesso dell’infinita saggezza del Dio altissimo che opera in tutto con giustizia, benevolenza e comprensione, scruta i cuori e al minimo accenno di apertura fa sentire loro la sua presenza, e li guida verso la meta dell’esistenza terrena, verso colui che è il felice compimento di ogni nostra aspirazione.

 

Seconda lettura: 1Tessalonicesi 4,13-18

Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti. Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, scenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.

 

v La lettera ai Tessalonicesi risale a pochi anni dalla morte di Gesù. S. Paolo vi rivela tutto il suo affetto e la sua fiducia per quella comunità cristiana da lui fondata (cc. 1-3), e insieme la sua viva sollecitudine perché essa si conservi nella carità e nella continua vigilanza in vista della gloriosa Parusia del Signore Gesù (cc. 4-5). Gli preme in modo particolare rassicurarli su un loro specifico problema. Lui aveva loro annunziato la grande regola per chiamare a sé «tutti i suoi santi» (3,12), nell’ora e nel giorno noti solo al Padre. Era l’autentica promessa del maestro divino (v. 15; Mt 24,30.36). Ma i neofiti di Tessalonica, impressionati per quel glorioso evento, si andavano interrogando sulla sorte di chi in quell’ora misteriosa non si sarebbe trovato presente, perché già nel frattempo fosse deceduto. Il nostro brano risponde a questa aporia.

«Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti». Rassicura anzitutto i suoi discepoli dichiarando che non hanno motivo di preoccuparsi. Essi che credono in Cristo Signore dell’universo hanno in lui ogni speranza. Essi, come Paolo, vivono in Cristo, e Cristo vive in loro (Gal 2,20). Al contrario di coloro che non lo riconoscono (gli estranei, i pagani: 5,6), essi continueranno a vivere per sempre in lui.

«Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti». Ora chiaramente afferma: la stessa potenza divina che ha fatto risorgere Gesù, farà sì che tornino in vita anche i suoi fedeli amici e nulla vi si può opporre.

«Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo». Paolo conosce bene tutto l’insegnamento escatologico del Maestro: il martirio dei suoi evangelizzatori (Mt 24,9); il raduno di tutti gli eletti dai quattro venti (Mt 24,30s), di ogni epoca e regione. «Noi che saremo ancora in vita… non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti»: perché in quell’ultima ora prima risorgeranno tutti coloro che hanno perseverato nella loro fede in Cristo, e quindi insieme con loro quelli che saranno rimasti in vita andranno incontro al Signore della gloria.

«Verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore». La solenne descrizione escatologica (suono di tromba, voce dell’arcangelo, nubi del cielo… v. 16) ribadisce la consolante realtà che attende tutti i credenti in Cristo, sia già deceduti, sia ancora viventi al momento della grande Parusia: andargli lietamente incontro e vivere eternamente con lui nel suo regno di amore.

 

Vangelo: Matteo 25,1-13

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.  Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

 

Esegesi

È stata detta “la parabola della vigilanza”. Nel contesto del primo vangelo sembra riferirsi all’ultima venuta del signore, la Parusia (24-25). “Allora”, “in quel tempo” (nel testo greco) indica il tempo del giudizio finale (25,1; 24,39-50). Non si può escludere però che nella predicazione di Gesù il racconto riguardasse più direttamente l’incontro dei singoli uditori con il supremo Signore al termine della loro vita terrena. Lo scenario non è quello cosmico dell’intera umanità di fronte al giudice divino (24,30-31: segni del cielo e raduno dei popoli, con tutti i suoi angeli).

Rassomiglia invece all’esito del comportamento dei singoli individui durante la loro vita, sempre nell’ambito della storia: come nel racconto di Lazzaro e del ricco gaudente (Lc 16,27-31); sono due tipi di persone, di cui l’una è presente all’appuntamento festivo, l’altra per sua negligenza arriva in ritardo; l’uno è ammesso nel convito (seno di Abramo), l’altro è lasciato nel buio della notte (nel fuoco infernale). Rimane inteso in ogni caso che poi al momento del giudizio finale dell’umanità sarà solennemente ratificato il destino eterno di ciascuno (cf. Mt 25,14-30).

«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini…».

Si annunzia il termine di paragone tra l’ingresso delle anime nel regno dei cieli e l’incontro dello sposo nel corteo delle ragazze che dovevano festeggiare uno sposalizio. La celebrazione solenne del matrimonio avveniva con una cerimonia notturna. Sull’imbrunire alcune damigelle si riunivano nella casa della fidanzata e aspettavano che arrivasse lo sposo perché introducesse l’intero corteo nella propria casa e si desse inizio ai festeggiamenti. Poteva succedere però qualche imprevisto.

«Le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio». Cinque damigelle non ebbero l’accortezza di rifornirsi sufficientemente di olio per ogni evenienza: non calcolarono bene la durata dell’attesa. Almeno così immagina il narratore ai fini del suo insegnamento. Difatti, ritardando lo sposo, le ragazze si assopirono tutte e le lampade esauriscono il loro olio (vv. 5-6).

«A mezzanotte… tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade». Le 5 sagge poterono rifornire le loro lampade con l’olio di scorta e si mossero col corteo dello sposo verso il luogo del banchetto.

 «Mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa».

Nella parabola si immagina pure che le stolte tentano in quel frangente di rimediare alla loro negligenza. Ma, prima, le loro colleghe rifiutano di condividere le riserve di olio, perché non venisse a mancare anche ad esse; e poi i rivenditori a quell’ora tardano a fornirle. Sicché quando trafelate arrivano al luogo del convito per prendere parte alla gioia di quello sposalizio, si sentono rispondere dalla voce dello stesso festeggiato «non so chi siete», e la porta rimane chiusa; sono definitivamente escluse da quella comunità in festa!

«Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora». Il significato dell’episodio si evidenzia in pieno nell’ultima frase rivolta agli uditori dell’araldo evangelico: ‘il regno di Dio è vicino, e si avvicina sempre più’ (in Mc 1,15 il verbo è al perfetto: ‘continua ad avvicinarsi’). Dalla partecipazione ad esso dipende la sorte felice di ogni uomo. È importante essere trovati pronti ad entrarvi; occorre essere sempre in regola con l’olio luminoso della rettitudine e dell’amore. Poco vale per aver iniziato a compiere il bene e fermarsi a metà. È sommamente necessario aver perseverato e rimanere sempre all’erta nel giusto atteggiamento in consonanza con lo sposo divino. Egli può giungere a noi in piena notte come in qualsiasi momento; allora non resta più alcuna possibilità di rimediare (sia per quanto riguarda il giudizio particolare, sia quello finale universale).

 

Meditazione

Essenziale per ottenere la sapienza è desiderarla: il desiderio della sapienza spinge a cercarla e la sapienza stessa va incontro a chi la cerca. Se la sapienza è luminosa e splendente, essa irraggia su chi la desidera e la cerca: è la ricerca stessa della sapienza che rende sapienti (I lettura). Il credente cristiano non abbisogna solamente di fede, ma anche di sapienza. Sapienza è predisporre tutto per incontrare il Signore. Stoltezza – e c’è la possibilità di una fede stolta, insulsa, stupida, non intelligente – è negligenza nel prepararsi all’incontro con il Signore. Ma il Signore va incontro lui stesso a chi lo cerca e lo attende tenendo viva nella notte la lampada del desiderio dell’incontro (vangelo).

Opposta alla sapienza è la stupidità che è un difetto «che interessa non l’intelletto, ma l’umanità di una persona […] La Bibbia, affermando che il timore di Dio è l’inizio della sapienza (Sal 111,10), dice che la liberazione interiore dell’uomo alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica reale vittoria sulla stupidità» (Dietrich Bonhoeffer). La nostra parabola dice dunque che sapienza è anche senso di responsabilità e capacità di vita interiore.

Uscire, andare incontro al Signore veniente, tenere le lampade accese nel buio della notte, attendere il Signore: queste espressioni riferite alle ragazze amiche della sposa che, secondo gli usi matrimoniali del tempo, attendevano a casa di lei l’arrivo dello sposo, esprimono bene la missione della chiesa nella storia. Si tratta di compiere un esodo, una fuoriuscita dalla mentalità mondana; di cercare il Signore per vivere una relazione autentica e vitale con lui; di custodire la fede, l’amore e la speranza e attendere la sua venuta.

In particolare, occorre mantenere vivo il desiderio del Signore, questa la lampada che la chiesa è chiamata a tenere accesa nella buio della notte. Un credente o una comunità cristiana che perdano il desiderio del Signore, sono come sale che perde sapore (cfr. Mt 5,13),

luce che spegne se stessa (cfr. Mt 5,14-15). Questo desiderio è il proprium del credente: o lo si ha in sé o nessuno può pretenderlo dagli altri. Le ragazze stolte, chiedendo l’olio alle sapienti, pretendono ciò che non può essere dato.

Nella vita cristiana, la sapienza è il predisporre tutto per essere pronti per il Signore, per la sua venuta, per il suo dono, per la sua grazia, ed è tutt’altro rispetto all’efficienza e all’attivismo del protagonismo cristiano. Nella sapienza è sempre insita l’umiltà, la giusta misura di sé.

Dietro l’immagine del ritardo dello sposo (cfr. Mt 25,5) si delinea il problema della promessa della venuta del Signore e del protrarsi della sua attesa nella storia. Problema esposto con spietata lucidità da Ivan Karamazov nel famoso romanzo di Fëdor Dostoevskij: «Son passati quindici secoli dal momento in cui Lui promise di venire nel suo Regno… ma l’umanità l’aspetta ancora con fede sempre uguale e con sempre uguale tenerezza. Anzi, con fede ancor maggiore, giacche son trascorsi quindici secoli dal tempo in cui fu sospeso all’uomo ogni pegno celeste: “Credi a ciò che dice il cuore: non più pegni dà il cielo”. E così, unica e sola, è rimasta la fede in ciò che dice il cuore». La venuta del Signore è solo ormai una pia illusione? Un anelito sgorgato dal cuore umano? Alla chiesa il compito di rispondere a queste domande con la propria prassi storica e umana ispirata alla fede nella promessa del Signore e con la propria sapiente attesa.

La sapienza è arte di vivere il tempo: la venuta del Signore non è misurabile cronologicamente, ma è essenziale perché afferma che il tempo ha una fine e un fine. Se il sapiente, per la Bibbia, è «colui che cerca Dio» (Sal 14,2), egli è anche colui che contare il tempo e ne conosce la finitezza (cfr. Sal 90,12). Rimuovere la finitezza del tempo e la fine del mondo significa in realtà mandare a morte l’uomo, liquidare l’uomo.

La parabola è anche immagine del giudizio che attende il cristiano dopo la morte. La dialettica addormentarsi-alzarsi (cfr. Mt 25,5.7) esprime la polarità del morire-risorgere (cfr. Mt 27,52; lCor l5,20; 1Ts 4,13-15). L’esito del giudizio lo si gioca oggi, qui e ora, nella storia.

 

Immagine della domenica


 

EGLI PUÒ SEMPRE ARRIVARE

 

«… Non si può mai sapere se Dio è in una storia,

prima che uno l’abbia finita di raccontare.

Perché anche se mancassero solo due parole

o soltanto la pausa che segue

le ultime parole del racconto,

Egli può sempre arrivare»

(Rainer Maria Rilke)

 

 

Preghiere e racconti

 

Vegliare con il Cristo

Veglia con il Cristo colui che, pur guardando verso l’avvenire, non perde di vista il passato e, pur contemplando ciò che il suo salvatore ha guadagnato per lui, non dimentica ciò che ha sofferto per lui. Veglia con il Cristo colui che commemora e rinnova continuamente nella sua persona la croce e l’agonia di Cristo e indossa gioiosamente questo mantello d’afflizione che il Cristo ha indossato quaggiù e si è lasciato dietro quando è salito al cielo. È per questo che, nelle loro lettere, gli autori ispirati esprimono cosi spesso il loro desiderio della sua seconda venuta, ogni volta che parlano del ricordo che hanno conservato della prima, e che la sua risurrezione non fa mai perdere loro di vista la sua crocifissione.

(J.H. Newman, Parochial and Plain Sermons, vol. IV, sermone 22)

 

Credere in Dio-Amore

Le Letture bibliche dell’odierna liturgia domenicale ci invitano a prolungare la riflessione sulla vita eterna, iniziata in occasione della Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Su questo punto è netta la differenza tra chi crede e chi non crede, o, si potrebbe ugualmente dire, tra chi spera e chi non spera. Scrive infatti san Paolo ai Tessalonicesi: «Non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza» (1 Ts 4,13). La fede nella morte e risurrezione di Gesù Cristo segna, anche in questo campo, uno spartiacque decisivo. Sempre san Paolo ricorda ai cristiani di Efeso che, prima di accogliere la Buona Notizia, erano «senza speranza e senza Dio nel mondo» (Ef 2,12). Infatti, la religione dei greci, i culti e i miti pagani, non erano in grado di gettare luce sul mistero della morte, tanto che un’antica iscrizione diceva: «In nihil ab nihilo quam cito recidimus», che significa: «Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo». Se togliamo Dio, se togliamo Cristo, il mondo ripiomba nel vuoto e nel buio. E questo trova riscontro anche nelle espressioni del nichilismo contemporaneo, un nichilismo spesso inconsapevole che contagia purtroppo tanti giovani. Il Vangelo di oggi è una celebre parabola, che parla di dieci ragazze invitate ad una festa di nozze, simbolo del Regno dei cieli, della vita eterna (Mt 25,1-13). E’ un’immagine felice, con cui però Gesù insegna una verità che ci mette in discussione; infatti, di quelle dieci ragazze: cinque entrano alla festa, perché, all’arrivo dello sposo, hanno l’olio per accendere le loro lampade; mentre le altre cinque rimangono fuori, perché, stolte, non hanno portato l’olio. Che cosa rappresenta questo «olio», indispensabile per essere ammessi al banchetto nuziale? Sant’Agostino (cfr Discorsi 93, 4) e altri antichi autori vi leggono un simbolo dell’amore, che non si può comprare, ma si riceve come dono, si conserva nell’intimo e si pratica nelle opere. Vera sapienza è approfittare della vita mortale per compiere opere di misericordia, perché, dopo la morte, ciò non sarà più possibile. Quando saremo risvegliati per l’ultimo giudizio, questo avverrà sulla base dell’amore praticato nella vita terrena (cfr Mt 25,31-46). E questo amore è dono di Cristo, effuso in noi dallo Spirito Santo.

 

Chi crede in Dio-Amore porta in sé una speranza invincibile, come una lampada con cui attraversare la notte oltre la morte, e giungere alla grande festa della vita.

A Maria, Sedes Sapientiae, chiediamo di insegnarci la vera sapienza, quella che si è fatta carne in Gesù. Lui è la Via che conduce da questa vita a Dio, all’Eterno. Lui ci ha fatto conoscere il volto del Padre, e così ci ha donato una speranza piena d’amore. Per questo, alla Madre del Signore la Chiesa si rivolge con queste parole: “Vita, dulcedo, et spes nostra”. Impariamo da lei a vivere e morire nella speranza che non delude.

(Benedetto XVI, Angelus, 06.11.2011).

 

Attendere

Non amo attendere nelle file. Non amo attendere il mio turno. Non amo attendere il treno. Non amo attendere prima di giudicare. Non amo attendere il momento opportuno. Non amo attendere un giorno ancora. Non amo attendere perché non ho tempo e non vivo che nell’istante. D’altronde tu lo sai bene, tutto è fatto per evitarmi l’attesa: gli abbonamenti ai mezzi di trasporto e i self-service, le vendite a credito e i distributori automatici, le foto a sviluppo istantaneo, i telex e i terminali dei computer, la televisione e i radiogiornali. Non ho bisogno di attendere le notizie: sono loro a precedermi. Ma tu Dio tu hai scelto di farti attendere il tempo di tutto un Avvento. Perché tu hai fatto dell’attesa lo spazio della conversione, il faccia a faccia con ciò che è nascosto, l’usura che non si usura. L’attesa, soltanto l’attesa,  l’attesa dell’attesa, l’intimità con l’attesa che è in noi, perché solo l’attesa desta l’attenzione e solo l’attenzione è capace di amare.

 

Tu vegli su noi

Mio Dio, io sono convinto che tu vegli

su coloro che sperano in te,

e che non si può mancare di nulla

quando da te si attende ogni cosa,

per cui ho deciso di vivere in avvenire

senza alcuna preoccupazione

e di deporre in te

tutte le mie inquietudini…

Gli uomini possono spogliarmi

dei beni e dell’onore,

le malattie possono togliermi

le forze e i mezzi per servirti,

io posso perfino perdere

la tua grazia col peccato,

io non perderò mai la speranza,

ma la conserverò

fino all’ultimo istante

della mia vita.

(Jean Guitton)

 

Giudizio finale

Tu giudicaci tutti

come se tutti fossimo bambini

che giocano con la vita

in questo cortile assurdo e prodigioso.

Quando giunge la notte,

raccoglici tutti

nel calore della tua Casa

per sempre.

E pianta di bellezza imperitura

il vecchio cortile amato…

(Pedro Casaldáliga)

 

Dall’immagine tesa

Dall’immagine tesa

vigilo l’istante                                                 

con imminenza di attesa –                         

e non aspetto nessuno:                          

nell’ombra accesa                                  

spio il campanello

che impercettibile spande

un polline di suono –

e non aspetto nessuno:

fra quattro mura

stupefatte di spazio

più che un deserto

non aspetto nessuno:

ma deve venire,

verrà, se resisto

a sbocciare non visto,

verrà d’improvviso,

quando meno l’avverto:

verrà quasi perdono

di quanto fa morire,

verrà a farmi certo

del suo e mio tesoro,

verrà come ristoro

delle mie e sue pene,

verrà, forse già viene

il suo bisbiglio.

(C. Rebora)

 

I tre livelli dell’attesa

Tre livelli dell’attesa: l’attesa inutile (“far passare il tempo”…così, fino la morte!); l’attesa borghese (totale autosufficienza: “Spero che…”, “Attendo che…”. Il borghese resta nel mondo del avere, nel quale l’attesa elimina in anticipo la gratuità, la sorpresa. Anche vorrebbe eliminare l’insuccesso, la morte); l’attesa radicale, creatrice (l’attesa che spera nell’altro, e ne spera tutto. Attesa che rompe con gli altri tipi di attesa. Attesa in cui l’amore, divenuto creatore al massimo grado, dimentica se stesso. Attesa impegnativa. Attesa che sviluppa la nostra capacità di sorprenderci. Disse Eraclito: «chi non spera non incontra mai qualcosa di insperato».

 

Preghiera

Signore Gesù, Figlio di Dio e Sapienza del Padre, Verbo fatto carne e splendore della gloria, tu ti sei avvicinato a noi, venendoci incontro e invitandoci alle nozze della chiesa con Dio, Padre di tutti. Che il nostro amore domandi, cerchi, raggiunga e scopra la tua sapienza e permanga sempre in ciò che ha scoperto.

Oggi desideriamo evocarti e pregarti con le parole evangeliche: «Beati gli invitati alla mensa del Signore», cioè: «Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello» (Ap 19,9), o con quelle di sant’Agostino: «Tutta la durata del tempo è come la notte, nel corso della quale la chiesa veglia, con gli occhi della fede rivolti alle Sacre Scritture come a fiaccole che risplendono nel buio, fino alla venuta del Signore».

Noi siamo ora quelle cinque vergini prudenti, che siedono a mensa con lo sposo.

Affidiamo tutti insieme, con fede e umiltà, un desiderio alla generosità del nostro Dio: che tutti noi, che viviamo nella fede e siamo nell’attesa della pace sabbatica, possiamo ritrovarci un giorno riuniti nel tuo Regno, nel banchetto eterno, e che nessuno resti fuori da quella misteriosa porta, là fuori «dove c’è pianto e stridore di denti».

Allo stesso modo, possa tu, o Signore, quando verrai, trovare la tua chiesa vigilante nella luce dello Spirito per risvegliarla anche nel corpo, che giacerà addormentato nella tomba.

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998. 

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A [prima parte], in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 89 (2008) 4, 84 pp.

Liturgia. Anno A. CD, Leumann (To), Elle Di Ci, 2004. 

– A. PRONZATO, Il vangelo in casa, Gribaudi, 1994.

– F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.  

– D. GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografia contemporanea, Milano, Ancora, 2003.

Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.

 

PER L’APPROFONDIMENTO:

XXXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO ANNO A