Partono sempre di più, sempre di più i giovani, sempre di più dal Sud Italia. E, una volta partiti, difficilmente ritornano. Questa la fotografia degli italiani che lasciano il nostro Paese elaborata dal “Rapporto Italiani nel mondo 2017” della Fondazione Migrantes presentato questa mattina a Roma. Un evento cui hanno preso parte, tra gli altri, don Giovanni De Robertis, Direttore generale della Fondazione Migrantes e il Presidente Monsignor Guerino Di Tora, il direttore di Tv2000 Paolo Ruffini e Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana.
Dal 2006 al 2017, si legge nel Rapporto, la mobilità degli italiani è aumentata del 60,1%: coloro che risiedono fuori dai confini nazionali sono passati da 3 milioni a 5 milioni. E se “La mobilità è una risorsa”, come si legge nell’introduzione “perché permette il confronto con realtà diverse ed è, se ben indirizzata, una opportunità di crescita e arricchimento”, è altrettanto vero che oggi “nello stato generale di recessione economica e culturale in cui purtroppo ci si ritrova”, la migrazione “è diventata nuovamente, come in passato, una valvola di sfogo, ciò che permette cioè di trovare probabilmente una sorte diversa rispetto a quella a cui si è destinati nel territorio di origine”.
Infatti, i dati registrati per il decennio 2006-2015 mostrano una propensione all’aumento continuo degli espatri che diviene più marcata soprattutto a partire dal 2010. Con una scarsa tendenza al ritorno: il saldo migratorio, nel 2015, è stato pari a -72.207 unità.
“Così intesa – si sottolinea –, la mobilità diventa unidirezionale, dall’Italia verso l’estero, con partenze sempre più numerose e con ritorni sempre più improbabili”.
Una migrazione che è anche e soprattutto dei giovani. Oltre il 39% di chi ha lasciato l’Italia alla volta dell’estero nell’ultimo anno ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni (oltre 9 mila in più rispetto all’anno precedente, +23,3%); un quarto ha tra i 35 e i 49 anni (quasi +3.500 in un anno, +12,5%). Ma ben il 9,7% è rappresentato da chi ha tra i 50 e i 64 anni, “ovvero i tanti ‘disoccupati senza speranza’” che sono rimasti senza lavoro in Italia “e con enormi difficoltà di riuscire a trovare alternative occupazionali concrete”.
Ed è un esodo che spopola in primo luogo il Mezzogiorno. Guardando alla provenienza dei cittadini italiani iscritti all’AIRE, resta preponderante (50,1%) l’origine meridionale (+47.262 rispetto al 2016), mentre il 34,8% è di origine settentrionale. Tra i primi quindici territori provinciali, solo tre sono del Nord Italia.
In tale scenario diventa fondamentale non tanto “agire sul numero delle partenze, ma piuttosto di trasformare l’unidirezionalità in circolarità” ed emerge “la necessità che la mobilità diventi sempre più un processo dinamico di relazioni e non una imposizione di qualche nazione su un’altra”. Questo vale tanto più in un momento storico in cui “alcuni hanno pensato che la libertà non potesse riguardare tutti, ma solo alcuni mentre chi è ritenuto privo di questo diritto va fermato”. Per questo è indispensabile “lavorare per una nuova cultura” un impegno cui la Chiesa italiana non si sottrae “nella certezza che la centralità della persona sia lo sguardo corretto per affrontare la realtà”.
In allegato la sintesi del Rapporto.
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Italiani nel mondo 2017 – Sintesi