Il quarto numero del 2017 di “Vita e Pensiero”, bimestrale di cultura e dibattito dell’Università Cattolica, propone una interessante riflessione della sociologa Chiara Giaccardi.
“Più che allungare l’elenco delle cose non dette, come guerre dimenticate o povertà abbandonate, che pure sono doverose da portare in primo piano – sostiene l’autrice – serve un nuovo sguardo. Tre sollecitazioni, che indicano altrettante direzioni per andare oltre la parzialità”.
Ecco l’incipit del testo.
Our lives begin to end the day / we become silent about things that matter («Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano»), scriveva Martin Luther King. Purtroppo le nostre bocche sono invece piene di cose che non contano. O che inquinano. Illazioni, hate speech, fake news. Un rumore di fondo che corrode la capacità delle parole di significare, di far camminare verso obiettivi comuni, di denunciare ciò che va cambiato e lavorare insieme per il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo. Lo stesso dibattito sulla cosiddetta “post-verità” nel suo avvitarsi su reciproci rimbalzi di responsabilità tra media tradizionali e social media tradisce questa afasia, questo vociare risentito che ha perso il contatto con la vita, prima ancora che con la verità. Lo scriveva Walter Benjamin all’inizio del Novecento: non siamo più capaci di tenere l’informazione “cucita” alla vita vissuta e impregnata della sua saggezza, così come del suo lato “epico”, del tutto degno di essere raccontato e celebrato. Come è facile trascurare ciò che esce dalle maglie degli interessi politici ed economici! Anche quando si parla di cose che dovrebbero contare molto di più nell’agenda dei media, poi, se ne parla male. L’attenzione, quando c’è, è affetta da “orientalismo” – preziosa categoria politica e culturale coniata da Edward Said per definire il modo in cui (nelle arti, nei libri di storia, nell’informazione) parliamo dell’altro: dello straniero, del lontano, dell’altro “esotico”…