Prima lettura: 2 Re 4,8-11-16a
Un giorno Eliseo passava per Sunem, ove c’era un’illustre donna, che lo trattenne a mangiare. In seguito, tutte le volte che passava, si fermava a mangiare da lei. |
I versetti riportati nella prima lettura sono stati tratti dal ciclo di Eliseo, che ricalca da vicino quello di Elia. Essi ci propongono un esempio di ospitalità generosa da parte di una ricca donna di Sunem. Il profeta era stato da lei mentre passava dal suo paese. La donna, per ospitarlo meglio si fa costruire una stanza al primo piano di sopra, che arreda in modo che Eliseo possa starci tranquillo e comodo. Il motivo per cui si preoccupa di ospitarlo al meglio che le è possibile è quello che egli è «un uomo di Dio, un santo» (2 Re 2,9).
La donna agisce per rispetto all’inviato da Dio, non per tornaconto. Nei versetti 12-13, che sono stati omessi nella lettura, la donna rifiuta i favori che Eliseo le propone. Il profeta però, si sente in dovere di ricompensarla di tanta generosità e su consiglio del servo Giezi, che faceva da intermediario nei suoi rapporti con la donna, le promette la fecondità. Il dono di un figlio alla donna sterile è ricorrente nella Bibbia a partire dal figlio di Sara e Abramo, Isacco, concepito in tarda età per dono di Dio e annunciato in un contesto di ospitalità (cf Gn 18.1-10)
Seconda lettura: Romani 6,3-4.8-11
Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. |
Il cristiano con il battesimo è unito a Gesù Cristo morto e risorto. Paolo esprime questa verità con l’immagine del rito battesimale dell’immersione. Immerso nell’acqua, il catecumeno partecipa alla morte e alla sepoltura di Gesù: ciò segna per lui la fine di quella solidarietà nel peccato che accomuna tutti gli uomini (cfr. Rm 5,12.15).
Gesù non è soltanto morto, ma è stato risuscitato dal Padre, che in lui ha manifestato definitivamente il suo amore salvatore. I battezzati, uniti a Gesù risorto, nella fede vivono già la ‘vita nuova’ e definitiva (v. 4b.8-9). Gesù ha condiviso la medesima nostra natura umana: ha subito la morte, ma risorgendo ha sconfitto per sempre la morte e il peccato. Anche la natura umana in Cristo vive ora la piena comunione con Dio (v. 10). I cristiani, essendo intimamente uniti a Cristo Gesù, devono coerentemente abbandonare ogni comportamento peccaminoso e vivere per Dio (v. 11).
Vangelo: Matteo 10,37-42
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». |
Esegesi
I primi due versetti della pericope del Vangelo di Matteo (10,37-39), che leggiamo oggi, riassumono le richieste radicali del comportamento del discepolo che vuole seguire Gesù. Sia pure in forma attenuata rispetto a Luca (14,26), che ha l’espressione a prima vista ancora più urtante: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, i figli, i fratelli, le sorelle ed anche la propria vita, non può essere mio discepolo», anche Matteo esprime chiaramente che la scelta per Gesù deve essere primaria e assoluta.
Si tratta della radicalità richiesta dal precetto dell’amore di Dio che si deve amare con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente (Dt 6,5; cf Mt 22,37; Mc 12,30; Lc 10,27). A Dio bisogna affidarsi completamente e seguire la sua volontà, come ha fatto Gesù stesso. Il discepolo deve imitare il maestro e seguire Gesù «via» (Gv 14,6) che conduce al Padre.
Per ben tre volte in questi due versetti è ripetuta la formula «non è degno di me»: solo chi fa una scelta radicale per Dio, come Gesù stesso ne ha dato l’esempio, può dirsi suo vero discepolo.
«Chi avrà trovato la sua vita, la perderà e chi l’avrà perduto la sua vita per me, la ritroverà (Mt 10,39; cf 16,26; Mc 8,35; Lc 9,24; Gv 12,25).
Questo versetto ci indica che non si deve buttare la propria vita con disprezzo, ma se si è data la vita per Gesù, vale a dire per amore di Dio, la si ritrova. Come Dio ha accettato la vita di Gesù, spesa per la giustizia a favore di tutti gli esseri umani fino al punto di accettare la passione e la morte in croce, e lo ha risuscitato, così farà col discepolo, che spende la sua vita per Gesù, vale a dire vive come ha vissuto Gesù.
Teniamo presente, per non cadere nell’aberrazione di disprezzare la nostra vita e quella degli altri, che il sacrificio richiesto da Gesù comporta una promessa di vita e che l’amore di Dio per il quale si deve fare una scelta radicale è strettamente legato all’amore del prossimo, come Gesù stesso ci ha mostrato in tutta la sua vita.
I versetti 40-42 riportano tre insegnamenti di Gesù sul dovere dell’accoglienza. «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato». Queste parole identificano il mandato con il mandante, per cui chi accoglie il discepolo accoglie Gesù e quindi Dio Padre che ha mandato Gesù.
Matteo pone l’accento sull’accoglienza della persona del discepolo come tale e non sul suo insegnamento, come fa Luca (10,16): «Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me e chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato».
Paolo da come un esempio di accoglienza — secondo questo insegnamento di Gesù — quella data dai Galati nei suoi riguardi: «mi avete accolto come un angelo di Dio, come Gesù Cristo» (Gal 4,14).
La sentenza del versetto 41 promette a chi accoglie un profeta o un giusto la stessa ricompensa del profeta e del giusto. Si arriva così all’ultimo versetto della pericope che loda anche un gesto semplice come «dare un bicchiere di acqua», ma non a una persona in vita come poteva essere un profeta o un giusto stimato da tutti, ma a «uno di questi piccoli», quindi a un discepolo senza nessuna carica o distinzione (cf Mc 10,41).
Nella comunità di coloro che si proclamano discepoli di Gesù bisogna dare un esempio chiaro di uguaglianza di tutti i membri, ciascuno deve mettersi a servizio degli altri, non fare distinzione di persone. Nella comunità cristiana, anticipo e segno del regno di Dio deve manifestarsi il capovolgimento dei rapporti rispetto alle convenzioni delle società umane «i primi saranno ultimi e gli ultimi saranno i primi» (cf. Mt 19,30).
Meditazione
Nel nostro tempo, in molti ambiti della vita personale e sociale, facciamo l’esperienza di come sia difficile accogliere ‘l’altro’: lo straniero o anche il vicino di casa; l’anziano genitore o il figlio concepito; il malato cronico o terminale, chi semplicemente fa scelte differenti dalle nostre. Avvertiamo che accogliere è correre un rischio: quello di rinunciare a qualcosa di nostro in favore dell’altro; e ci spaventiamo. E poi, l’altro che uso farà dell’accoglienza che gli offro?
Eppure, correre il rischio può significare una scoperta: quella dell’amore che cresce. L’altro non è primariamente uno sconosciuto da cui difendersi, è piuttosto un mistero di ricchezze da scoprire. Il Signore ci ricorda che nella persona che accogliamo è percepibile la sua stessa presenza. Rinunciare ad un po’ di spazio e ad un po’ di tempo, allargare i legami affettivi per abbracciare nuove amicizie, condividere quello che siamo, che sappiamo, che abbiamo non è deprivazione, ma condizione di fecondità.
Logica assurda secondo le esigenze stringenti di una rigida contabilità dare/avere. Logica di un amore che ha donato la propria vita per far vivere tutti: l’amore del signore Gesù. È la logica che ogni battezzato fa propria. Qual è la mia?
Immagine della Domenica
LE VACANZE
Nel Salmo 46 il Signore esorta i credenti a vedere le meraviglie che opera per gli uomini, a contemplare il giorno in cui farà cessare le guerre e poi impartisce loro un comando: “Fermatevi e sappiate che io sono Dio”. La Vulgata fedelmente traduce: “Vacate et videte quoniam ego sum Deus”. “Vacate”, cioè fermatevi, da cui l’italiano “vacanza”.
Sì, le vacanze sono giorni in cui ci si ferma, si lascia il proprio lavoro, si abbandonano i riti quotidiani, si parte dal luogo abituale per dimorare in un luogo diverso, più o meno lontano, un luogo “altro”, al mare, in montagna, in collina, visitando città. Questo Salmo mi ha suggerito che in vacanza, una volta che ci si è veramente fermati per vivere quiete e silenzio, si possono vedere le opere di Dio, ci si può esercitare a contemplarle.
Il rischio, infatti, è quello di vivere le vacanze freneticamente, inventandosi mille cose da fare pur di non fermarsi, di non ascoltare il silenzio, di non cogliersi come creatura che vive e respira in mezzo a tante altre co-creature sulla terra: una terra che a volte si congiunge al mare, una terra sopra la quale si stende il cielo, tenebroso di notte, solare di giorno. Le vacanze, dunque, non sono forse il momento di pensare semplicemente alla terra, al mare, al cielo? Non solo il tempo per cercare di cogliere queste tre dimensioni che costituiscono il nostro quotidiano, ma che nel quotidiano ci sfuggono?
La terra: spazio su cui siamo buttati uscendo dal grembo di nostra madre, crosta dura sulla quale impariamo a camminare prima di capirne la realtà di sfera che gira attorno al sole; terra che scopriamo soprattutto nell’adolescenza e nella giovinezza, dopo averla assaggiata e toccata nell’infanzia; terra che con la maturità sentiamo di poter chiamare madre; terra che richiede tempo per essere conosciuta, gustata e, di conseguenza, amata.
Dobbiamo percorrerla, lavorarla, guardarla con il desiderio di chi attende da lei i frutti, occorre contemplarla nella sua vegetazione e nei suoi deserti, scrutarla e a poco a poco abitarla e renderla abitabile per noi, occorre essere convinti della necessità di amarla come noi stessi e, per questo, di lasciarla più bella di come l’abbiamo ricevuta.
In vacanza, specie in montagna e in collina, ci sono sempre occasioni per vederla e contemplarla, anche se sovente fremiamo per la bruttezza dovuta alla nostra voglia di sfruttarla e di abbrutirla con costruzioni indegne dell’uomo prima ancora che della terra. C’è sempre un albero che chiede di essere guardato, c’è sempre un orizzonte che desta emozioni, c’è sempre una pietra che fedele, immobile al suo posto, ci parla. E vedere i colori della terra arata – penso alle crete senesi… – non ci fa forse gridare alla terra “madre mia!”, liberandoci persino dalla paura di essere un giorno da lei accolti per sempre?
Se poi si va al mare, si incontra questa pianura blu srotolata davanti a noi che ci invita a solcarla, ad andare oltre, a navigare verso terre sconosciute: il mare non chiede di essere abitato ma attraversato. Per me, se c’è un luogo di contemplazione, è la spiaggia, spiaggia che cerco silenziosa, selvaggia, così da comprendere meglio quel continuo baciarsi tra terra e mare, quel bacio che è scambio di sabbia e di acqua… Il mare è tremendo, suscita anche paura, eppure non cessa di invitarci a sfidarlo, anche su una piccola barca che corre incontro alle onde…
Amo il mare nel sole cocente d’estate e nella tenue luce dell’inverno. È sempre lui, il mare, che sembra narrarci con il suo mormorio di acqua quel che è solo gemito e grido verso la terra e il cielo. In riva al mare sono portato a pensare: anche il libro che leggo riparandomi dai raggi del sole mi sembra più eloquente, più capace di farmi sognare.
E infine, sopra alla terra e al mare, ecco il cielo: di giorno abbaglia, ma al mattino, soprattutto all’aurora e all’alba sembra vivere, nel mutare del colore e nel crescere della luminosità. È l’ora in cui il cielo chiede di essere osservato, quando a poco a poco si spengono le stelle e all’orizzonte si affaccia la luce. Quanti però a quell’ora preferiscono dormire, perdendosi così lo spettacolo del cielo che si veste di luce per il giorno che inizia… Dalla mia bisaccia, in quest’alba in cui sto scrivendo, traggo pensieri di pace anche per costoro e per tutti i lettori in vacanza.
(Enzo Bianchi)
Preghiere e Racconti
Tutto è così familiare
Mio Dio, mi dai dei tesori da custodire, fa’ che li custodisca e li amministri bene. […] Mi piace aver contatto con le persone. Mi sembra che la mia intensa partecipazione porti alla luce la loro parte migliore e più profonda, le persone si aprono davanti a me, ognuna è come una storia, raccontatami dalla vita stessa. E i miei occhi incantati non hanno che da leggere. […] Sono ammalata, non ci posso far niente. Più tardi raccoglierò tutte le lacrime e le paure, laggiù. In fondo lo faccio già in questo letto.
Forse è per questo che ho la febbre e il capogiro? Non voglio essere il cronista di orrori. E neanche di fatti sensazionali. Ancora stamattina ho detto a Jopie: eppure arrivo sempre alla stessa conclusione: la vita è bella. E credo in Dio. E voglio stare proprio in mezzo ai cosiddetti ‘orrori’ e dire ugualmente che la vita è bella. E ora eccomi coricata in un angolino con febbre e capogiro, e non posso far nulla. Poco fa mi sono svegliata con la gola secca, ho afferrato il mio bicchiere ed ero così riconoscente per quel sorso d’acqua, ho pensato: se solo potessi andare in giro fra quelle migliaia di uomini ammassati laggiù e potessi offrire un sorso d’acqua ad alcuni di loro. Ogni volta mi dico: su, non è poi così grave, sta’ tranquilla, non è così grave, sta’ tranquilla.
Quando capitava che una donna o un bambino affamato si mettessero a piangere dietro uno dei nostri tavoli di registrazione, mi mettevo dietro di loro, quasi a proteggerli, le mie braccia incrociate sul petto, sorridevo un pochino e dentro di me dicevo a quell’esserino rannicchiato e smarrito: tutte queste cose non sono poi così gravi, non sono proprio gravi. Rimanevo là e c’ero, si poteva far altro? A volte mi sedevo vicino a qualcuno, passavo un braccio intorno a una spalla, non dicevo molto e guardavo le persone in faccia. Nulla mi era nuovo, non una di quelle espressioni di dolore umano. Tutto mi pareva così familiare, come se sapessi e avessi già vissuto ogni cosa. E alla fine di ogni giornata mi dicevo sempre: voglio tanto bene agli uomini (E. HILLESUM, Diario 1941-1943, Milano 19925, 232s.).
L’accoglienza
Gesù si esprime qui in modo radicale, senza paura di essere frainteso, di perdere consensi. Usando un modo di parlare tipicamente semitico, Gesù ci mette di fronte a un’alternativa radicale, costringendoci a dichiarare quali sono le nostre priorità.
Si esprime in termini antitetici: «amare di più, amare più di me», che non vanno presi alla lettera, ma compresi nel loro significato. Quali sono le cose, le persone, le realtà veramente fondamentali della nostra vita? Non solo quelle che dichiariamo a parole, bensì quelle che veramente dentro di noi riteniamo essere degli assoluti? La relazione con il Signore non può essere una delle tante, accanto al giusto, doveroso, amore che dobbiamo avere nei confronti di padre, madre, figli, figlie, ecc.
L’amore per Gesù, la relazione con Lui è quella fondamentale, che ci permette poi di vivere tutte le altre in modo corretto, assegnando a ogni persona il giusto posto nella nostra vita.
Gesù inoltre ci invita ad accogliere non solo quelli della nostra cerchia, i parenti stretti e gli amici, ma anche i profeti, i giusti, e i piccoli, che sono qui i missionari itineranti del Vangelo. Si crea così una famiglia allargata, una fraternità più ampia, centrata sulla relazione con Gesù. Accogliere il profeta non è facile, perché la sua parola può creare divisione, non perché cerchi la rissa, ma perché spesso smaschera le ipocrisie, le viltà, i compromessi presenti in ogni vita, e li giudica alla luce della parola. Questa è la sua vocazione, questo il servizio che egli rende al Vangelo, e noi dobbiamo accoglierlo come un dono, non come un guastafeste.
Ciò è possibile se i rapporti tra gli uomini, all’interno della comunità cristiana, saranno gestiti obbedendo alle parole di Gesù.
Così avvenne già nella storia del profeta Eliseo e della donna di Sunem, la quale ricevette un dono insperato, un figlio, proprio a seguito dell’accoglienza da lei riservata al profeta. La vita accolta fiorisce, a sua volta, in vita, un’esperienza accessibile anche a noi oggi.
Infinitamente amabile
Ti amo, mio Dio,
e il mio unico desiderio
è di amarti fino all’ultimo respiro della mia vita.
Ti amo, Dio infinitamente amabile,
e preferisco morire amandoti,
piuttosto che vivere
un solo istante senza amarti.
Ti amo, Signore,
e l’unica grazia che ti chiedo
è di amarti eternamente.
Mio Dio, fammi la grazia
di morire amandoti
e sapendo che ti amo.
Mio Dio, a misura
che mi avvicino alla mia fine,
fammi la grazia
di aumentare il mio amore
e di perfezionarlo.
(Curato d’Ars, Scritti scelti)
Preghiera quotidiana
Rendici degni, Signore, di servire i nostri fratelli
in tutto il mondo che vivono e muoiono in povertà e fame.
Dà loro quest’oggi, attraverso le nostre mani,
il loro pane quotidiano, e, con il nostro amore comprensivo,
dà pace e gioia.
Signore, fa di me un canale della tua pace
così che dove c’è odio, io possa portare amore;
che dove c’è ingiustizia io possa portare lo spirito del perdono;
che dove c’è discordia io possa portare armonia;
che dove c’è errore, io possa portare verità;
che dove c’è dubbio io possa portare fede;
che dove c’è disperazione io possa portare speranza;
che dove ci sono ombre io possa portare luce;
che dove c’è tristezza io possa portare gioia.
Signore fa che io possa piuttosto cercare
di confortare invece di essere confortato;
di capire invece di essere capito;
di amare invece di essere amato;
perché è col dimenticare se stessi che si trova;
è col perdonare che si è perdonati;
è col morire che ci si sveglia alla vita eterna. Amen.
(Preghiera dei collaboratori di Madre Teresa)
L’ambiente più sano
Un poeta dell’anima, il libanese Kahlil Gibran, morto a New York nel 1931, inneggia all’esigenza di accogliere gli latri così come sono con questo racconto:
“Nel parco di un manicomio incontrai un giovane con il volto pallido, trasognato, ma bello. Sedetti accanto a lui e gli chiesi: -Perché sei qui?- Mi rivolse lo sguardo e poi rispose: ‘E’ una domanda poco opportuna, la tua; comunque ti spiegherò. Mio padre voleva fare di me una copia di se stesso e così mio zio. Mia madre vedeva in me l’immagine del suo illustre genitore. Mia sorella mi esibiva suo marito, marinaio, quale modello perfetto da imitare, mentre mio fratello riteneva che dovessi essere identico a lui, bravissimo atleta…E anche i miei insegnanti: il dottore in filosofia, il maestro di musica e colui che mi insegnava letteratura erano ben decisi nel desiderare e volere che io fossi uno specchio della loro vita…Per questo sono qui. Trovo l’ambiente più sano. Qui, almeno, posso essere me stesso…'”.
Accogliere l’immagine di Dio
[II Signore] dice: «Chiunque accoglierà questo fanciullo in mio nome, accoglie me. E chi accoglie me, accoglie colui che mi ha inviato» (Lc 9,48). Infatti chi accoglie l’imitatore di Cristo, accoglie Cristo, e chi accoglie l’immagine di Dio, accoglie Dio. Ma siccome noi non potevamo vedere l’immagine di Dio, l’incarnazione del Verbo ce l’ha resa presente, affinché ci fosse avvicinata la divinità che è al di sopra di noi (AMBROGIO DI MILANO, Commento al vangelo di Luca, Roma 19682, 22).
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
– Lezionario domenicale e festivo. Anno A, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2007.
– Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004-
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.
– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A [prima parte], in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 89 (2008) 4, 84 pp.
– Liturgia. Anno A. CD, Leumann (To), Elle Di Ci, 2004.
– A. PRONZATO, Il vangelo in casa, Gribaudi, 1994.
– F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.
– D. GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografia contemporanea, Milano, Ancora, 2003.
—
– Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.
PER L’APPROFONDIMENTO: