Dal Consiglio Permanente CEI una riflessione educativa su diocesi, mezzi e linguaggi, riscoprendo e attualizzando il Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa.
E se scoprissimo che la Chiesa italiana aveva un piccolo tesoro a cui finora aveva attinto solo in modo parziale? Sembrano domandarselo i vescovi del Consiglio permanente che la settimana scorsa, nel comunicato finale dei loro lavori, alla fine di un paragrafo dal titolo emblematico – «Media, un approccio educativo» – invitano a «riscoprire e attualizzare il Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa», recuperandolo quindi nella duplice chiave dell’educazione e degli strumenti per renderla efficace.
«Il Direttorio mantiene intatta tutta la sua freschezza», osserva don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale comunicazioni sociali.
E non può essere altrimenti, se si considera da dove arriva e dove si colloca. Il Direttorio viene approvato dall’Assemblea generale della Cei nel maggio 2004. Che epoca era? Tre mesi prima ad Harvard era nato Facebook. I social network non esistevano ancora, l’iPhone sarebbe stato messo in commercio soltanto nel 2007, l’evoluzione tumultuosa della telefonia mobile era appena cominciata. In questo senso, il Direttorio ha sicuramente bisogno di un aggiornamento. Eppure i segnali di ciò che stava per accadere erano stati registrati con una lucidità tutt’altro che scontata.
Un solo esempio. La difficoltà di cercare la verità era già evidente: «La forma di conoscenza privilegiata dalla contemporaneità sembra essere quella dell’ accumulo dei saperi (…). Quando tutto è a disposizione è facile illudersi di poter fare a meno di un sapiente discernimento» (23).
Di un necessario «discernimento» parlano i vescovi nel comunicato. E ha parlato Francesco sabato scorso a Milano. Discernere, evoluzione dell’ antico ‘vedere giudicare agire’. Discernere, ossia dotarsi dell’«abilità critica» che il Direttorio mette al primo posto, tra i compiti degli animatori della cultura e della comunicazione, nuovo profilo pastorale necessario in ogni parrocchia.
Educare per saper discernere; ascoltare per capire e prendere decisioni. Tutta la prima parte del Direttorio è un invito all’educazione e al discernimento; mentre la seconda è di taglio organizzativo. Nulla nasce per caso.
Il Direttorio affonda le sue radici nel 1995 e nel Convegno ecclesiale di Palermo, la stagione di Comunicazione e cultura. Alla fine degli anni Novanta nasce il Progetto culturale e viene rilanciato e riorganizzato tutto il comparto dei mass media Cei: Avvenire, Sir, coordinamento delle radio cattoliche, Sat2000 (poi Tv2000). Il 2002 è l’anno di «Parabole mediatiche», il grande convegno che termina nell’Aula Paolo VI con un memorabile discorso dell’allora cardinale Ratzinger. Da qui prende vita il Direttorio, «in cui – ricorda monsignor Claudio Giuliodori, oggi vescovo assistente ecclesiastico dell’Università Cattolica, allora direttore dell’Ufficio nazionale comunicazioni sociali – la comunicazione e i suoi mezzi diventano progetto organico nell’ azione pastorale della Chiesa».
E siamo a oggi. Il Direttorio della famiglia viene ripreso alla luce dei Sinodi e dell’Amoris laetitia. E il Direttorio sulle comunicazioni sociali viene ripreso alla luce del Convegno ecclesiale di Firenze e del decennio sulla «Vita buona del Vangelo» e dell’educazione, in particolare calibrata sui giovani.
Un possibile sviluppo? Per educare occorrono gli educatori. Quindi, l’obiettivo potrebbe essere avere in ogni parrocchia italiana gli animatori della cultura e della comunicazione, fedeli laici con il ‘carisma del discernimento’, che sappiano far pensare l’intera comunità offrendo notizie, riflessioni e buone letture, affiancando le figure ampiamente riconosciute del catechista, dell’ animatore della liturgia e della carità (n.121). Il Direttorio dedica a questo profilo un intero capitolo. Ripartire da qui, perché educazione e discernimento non si improvvisano.
(Umberto Folena)
da Avvenire del 28 marzo 2017, pag. 16