Prima lettura: Sofonia 2,3; 3,12-13
Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l’umiltà; forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore. «Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero». Confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti. |
-
Queste parole del profeta Sofonia nascono da un medesimo contesto: un lungo periodo di dominazione straniera, quella assira, che aveva introdotto in Israele culti idolatrici, che legittimavano l’ingiustizia e l’immoralità. Per tre volte il popolo è invitato ora a mettersi alla ricerca di Dio. Non si tratta solo di andare a pregare nel tempio del vero Dio, ma di cercarlo nella vita concreta di ogni giorno, con una condotta conforme alla legge divina, che porti la giustizia nella società umana. L’invito a cercare l’umiltà significa farsi piccoli davanti a Dio, riconoscendo la propria indigenza.
L’essere piccolo è un atteggiamento che si rivelerà decisivo nel momento del giudizio. Tutti coloro che si credono Dio, i superbi e i vanagloriosi, non reggeranno in quel giorno. Resterà solo il nuovo popolo di coloro che confideranno nel nome del Signore, che non sarà più un resto disprezzato dagli altri popoli, perché il Signore sarà con loro. Al centro del mondo nascerà un popolo che ha rinunciato alla violenza, all’oppressione, all’ingiustizia. In quel popolo non esisterà più la miseria, la fame, la guerra o il terrore: «Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti».
Seconda lettura: 1Corinzi 1,26-31
Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore. |
-
Paolo invita a giudicare la realtà — e qui in concreto la realtà della comunità di Corinto — con gli occhi di Dio, per il quale quello che è debolezza è potenza, quello che stoltezza è sapienza. Realisticamente i saggi, i potenti e i ricchi hanno in mano le sorti del mondo. Con gli occhi della nostra ragione li vedremmo tra i primi ad essere scelti da Dio. Dio invece sceglie come suoi strumenti i deboli, i piccoli e i disprezzati. Non è Dio che si deve adattare alla mentalità dell’uomo, ma è l’uomo che si deve adattare alla misura di Dio.
Nella comunità di Corinto c’erano anche sapienti, nobili e ricchi, ma il sapere, la nobiltà e la ricchezza non definivano il cristiano. Anzi dal punto di vista umano la comunità di Corinto non poteva vantare storia passata: era un nulla. È stato Dio a mettere insieme uomini e donne molto diversi tra loro, inserendoli nella comunione di Cristo. Il cristiano, cosciente della propria debolezza, non si vanterà delle proprie forze, dei propri criteri di giudizio, ma di tutto ciò che viene dal Signore, che lo fa rivivere in un modo nuovo. È esclusa perciò qualsiasi vanagloria.
Vangelo: Matteo 5,1-12a
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». |
Esegesi
Il brano del vangelo di oggi è tratto dal «Discorso della montagna» (Mt 5-7), in cui l’evangelista Matteo raccoglie come in un programma vari discorsi di Gesù. Non è la prima parola che ascoltavano i cristiani della chiesa primitiva. Prima avevano già accolto nel cuore la fede attraverso un primo annuncio di Cristo morto e risorto. Già sperimentavano la forza dello Spirito Santo. A questi fratelli la chiesa proponeva quindi un’ulteriore catechesi presentando l’icona dell’uomo nuovo. Ecco, si diceva, quello che diventerete se vi lasciate trasformare dalla forza dello Spirito del Signore che è in voi.
Il discorso, o catechesi, incomincia con l’espressione «Beati», come la prima parola del Sal 1, con cui inizia il Salterio. Nel Sal 1 è proclamato beato chi ascolta e accoglie nel cuore, meditandola, la legge di Dio, qui è beato chi accoglie con fede la nuova legge, quella del nuovo Mosè, Gesù Cristo.
L’uomo nuovo nato dal battesimo è felice, perché vede progressivamente delinearsi nella sua vita quello che Gesù disse ai suoi apostoli: egli sarà un uomo povero in spirito, che sa di non poter provocare a forza l’avvento del Regno di Dio, ma è il primo ad attenderlo con umiltà dall’alto. Quest’uomo nuovo sarà anche afflitto, cioè discriminato e perseguitato dal mondo a lui ostile, ma alla fine sarà consolato dal Signore col poter ereditare, come dice il Sal 37,11, la terra, che corrisponde al regno dei cieli. Sarà ancora un uomo e una donna che avrà fame e sete della giustizia, cioè di compiere la volontà di Dio, rivelata nelle Scritture e attuata da Cristo. Saranno uomini che seguiranno le orme di Cristo nelle vie della misericordia e nella disponibilità al perdono, saranno puri di cuore, cioè sinceri nel rapporto con Dio e con il prossimo, pacificatori: promuoveranno attivamente la riconciliazione. Tutti costoro saranno anche perseguitati, come Gesù Cristo, a motivo della loro fedeltà alla volontà di Dio. Si aggiunge infine una beatitudine anche per le comunità che al tempo dell’evangelista sono provate dalla discriminazione per la propria adesione a Gesù Cristo. Queste sofferenze e tribolazioni le uniscono ancor più strettamente a lui. Devono gioire perché, come Gesù Cristo, sperimenteranno anche la gioia della risurrezione.
Immagine della Domenica
|
Splendida felicità
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
Pablo Neruda
Meditazione
La predilezione di Dio è per i poveri e gli umili (I lettura), per i poveri in spirito (vangelo). La comunità cristiana di Corinto dice la II lettura, che pur proseguendo la lectio semicontinua della I Lettera ai Corinti, rientra in qualche modo nel messaggio unitario delle altre due letture, è formata da persone irrilevanti dal punto di vista sociale ed economico: Dio infatti sceglie ciò che è debole, ignobile e disprezzato per confondere le grandezze mondane.
La parola profetica, che trasmette lo sguardo di Dio sull’uomo, svela che l’autentico popolo di Dio è un resto, un resto formato da chi è giusto, fedele, mite, non orgogliosamente autosufficiente, ma cosciente della sua dipendenza da Dio e del suo status di «cercatore» di Dio e della sua giustizia (I lettura); lo sguardo di Gesù sulle folle svela che il vero discepolo è designato non da un’appartenenza esteriore, ma da una realtà intima fatta di mitezza, purezza di cuore, povertà in spirito, misericordia (vangelo).
Entrare nello spirito delle beatitudini significa entrare nello sguardo di Dio sulla realtà umana e scoprire che, in Cristo, anche situazioni di afflizione o persecuzione possono essere vissute come beatitudine: la beatitudine di chi sa di aver veramente qualcosa in comune con Gesù, il beato per eccellenza perché mite, misericordioso, povero in spirito. La beatitudine offerta è la gioia intima della comunione con il Signore sperimentata in situazioni concrete in cui anche Gesù si è trovato e, soprattutto, che ha vissuto come occasione di amore e di dedizione. È la gioia del servo che si trova là dove anche il suo Signore è stato (cfr. Gv 12,26). È la gioia di chi partecipa al sentire e al volere di Cristo (cfr. Fil 2,5).
Come intendere la beatitudine dei misericordiosi (Mt 5,7)? È la beatitudine di coloro che credono l’umanità e la dignità dell’uomo sempre, anche quando l’uomo stesso, per sua colpa o per disgrazia, l’ha smarrita o opacizzata. La misericordia crede ostinatamente l’umanità del colpevole e la restaura con il perdono. La misericordia è l’amore incondizionato, che ama ciò che non è amabile o che si è reso spregevole; è memoria e pratica della dignità umana nei confronti di chi l’ha offuscata. Essa crede la dignità umana anche del criminale, del pedofilo, del reietto, dell’uomo ridotto a niente, dell’uomo difforme rispetto alla normale e comunemente accettata forma umana, come il Servo di cui parla Isaia 53, il «senza dignità» per eccellenza. La misericordia rispetta l’uomo nella sua nullità, nella sua miseria estrema, quando non è (più) utile o interessante per le condizioni di dipendenza o deprivazione che lo affliggono. La misericordia rifiuta di ridurre l’uomo alle colpe, pur mostruose, di cui può essersi macchiato. E continua a confessare l’umanità di colui che ha perso ragione e memoria, parola e volontà.
E la beatitudine dei miti? La mitezza è l’arte di addomesticare la propria forza, dimostrando di essere più forti della propria forza. Strumento della mitezza è la parola e suo metodo è il dialogo. Se Gesù è la mitezza fatta persona («Io sono mite e umile di cuore»: Mt 11,29), lo è in quanto parola fatta carne, parola interposta da Dio fra sé e gli umani non per imporre loro qualcosa, ma per invitarli alla relazione, a entrare nel dialogo con Lui.
Paolo VI ha ben espresso il fatto che la mitezza è inerente al dialogo: «Carattere proprio del dialogo è la mitezza: il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo…; è pacifico, evita i modi violenti, è paziente e generoso» (Ecclesiam suam 7). È la mitezza che custodisce la parola come fattore di comunicazione e di relazione e la preserva dal rischio di divenire arma. Così la beatitudine dei miti diviene anche giudizio nei confronti di chi non pratica la mitezza e di chi fa della parola uno strumento per sopraffare, per zittire, per imporre, per mistificare, per abusare, per illudere, per ingannare, per adulare.
Ogni beatitudine ha il suo risvolto negativo e implica un giudizio e un appello a conversione nei confronti di chi non è misericordioso, né mite, né povero in spirito, di chi perseguita e calunnia, di chi provoca afflizione, semina guerra e ingiustizia.
Preghiere e racconti
In questa quarta domenica del Tempo Ordinario, il Vangelo presenta il primo grande discorso che il Signore rivolge alla gente, sulle dolci colline intorno al Lago di Galilea. «Vedendo le folle scrive san Matteo , Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro» (Mt 5,1-2). Gesù, nuovo Mosè, «prende posto sulla “cattedra” della montagna» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, p. 88) e proclama «beati» i poveri in spirito, gli afflitti, i misericordiosi, quanti hanno fame della giustizia, i puri di cuore, i perseguitati (cfr Mt 5,3-10). Non si tratta di una nuova ideologia, ma di un insegnamento che viene dall’alto e tocca la condizione umana, proprio quella che il Signore, incarnandosi, ha voluto assumere, per salvarla.
Perciò, «il Discorso della montagna è diretto a tutto il mondo, nel presente e nel futuro … e può essere compreso e vissuto solo nella sequela di Gesù, nel camminare con Lui» (Gesù di Nazaret, p. 92).
Le Beatitudini sono un nuovo programma di vita, per liberarsi dai falsi valori del mondo e aprirsi ai veri beni, presenti e futuri. Quando, infatti, Dio consola, sazia la fame di giustizia, asciuga le lacrime degli afflitti, significa che, oltre a ricompensare ciascuno in modo sensibile, apre il Regno dei Cieli. «Le Beatitudini sono la trasposizione della croce e della risurrezione nell’esistenza dei discepoli» (ibid., p. 97). Esse rispecchiano la vita del Figlio di Dio che si lascia perseguitare, disprezzare fino alla condanna a morte, affinché agli uomini sia donata la salvezza.
Afferma un antico eremita: «Le Beatitudini sono doni di Dio, e dobbiamo rendergli grandi grazie per esse e per le ricompense che ne derivano, cioè il Regno dei Cieli nel secolo futuro, la consolazione qui, la pienezza di ogni bene e misericordia da parte di Dio … una volta che si sia divenuti immagine del Cristo sulla terra» (Pietro di Damasco, in Filocalia, vol. 3, Torino 1985, p. 79).
Il Vangelo delle Beatitudini si commenta con la storia stessa della Chiesa, la storia della santità cristiana, perché come scrive san Paolo «quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono» (1 Cor 1,27-28). Per questo la Chiesa non teme la povertà, il disprezzo, la persecuzione in una società spesso attratta dal benessere materiale e dal potere mondano.
Sant’Agostino ci ricorda che «non giova soffrire questi mali, ma sopportarli per il nome di Gesù, non solo con animo sereno, ma anche con gioia» (De sermone Domini in monte, I, 5,13: CCL 35, 13).
Cari fratelli e sorelle, invochiamo la Vergine Maria, la Beata per eccellenza, chiedendo la forza di cercare il Signore (cfr Sof 2,3) e di seguirlo sempre, con gioia, sulla via delle Beatitudini.
(Benedetto XVI, Angelus, 2011).
Il pericolo di diventare ricchi in spirito
«Secondo i Padri della Chiesa, le beatitudini riguardano innanzitutto Gesù che “si fece povero, riducendosi alla condizione di servo” (Basilio, Sul salmo 33,5), che si mostrò mite, pacifico e che fu perseguitato (cf. Origene, Su Luca 38,1-2). Ma va anche osservato che per i Padri “povero in spirito” non designa solo la povertà materiale, ma l’atteggiamento di chi non pensa di salvarsi da sé stesso, ma resta in attesa e confida nel Signore.
“Non ogni povertà è beata, perché spesso è dovuta alla necessità degli eventi, o è provocata da una vita malvagia”, afferma Cromazio (Discorsi, 41,2). Il discepolo di Gesù si fa “a motivo del Signore”, o “accetta la povertà qualunque ne sia l’origine” (Basilio, Regole brevi 205), nell’amore e nella fiducia nel Signore.
La prima dimensione della povertà in spirito è quella creaturale: nulla ci appartiene, tutto è dono; io non sono mio, sono un dono a me stesso, dono che il Padre mi ha fatto attraverso umane mediazioni e che devo custodire. Povertà in spirito è fidarsi di colui che mi ha pensato, voluto, creato, inviato in questo mondo perché con la mia vita diventassi narrazione del suo amore per gli uomini.
C’è anche un’altra ricchezza che si oppone alla povertà in spirito, quella dell’uomo religioso, di chi si sente giusto, forte delle proprie opere buone. “È ricco in spirito chi ha un’elevata concezione di sé, chi è arrogante e non adempie il precetto di Cristo” (Pseudo-Crisostomo, Opera incompleta su Mt 9,1).
Il povero non ha nulla, non le ricchezze, ma neppure le proprie virtù, le opere buone. È povero anche dei suoi peccati, della parte negativa di sé; tutto questo lo ha consegnato al Signore perché nella sua misericordia lo perdoni e lo trasfiguri. Per Gregorio di Nissa l’umiltà è l’asse dinamico della povertà evangelica: così i poveri sono beati perché conformi al Cristo povero, loro fratello e loro Signore».
(Enzo Bianchi).
Beati voi!
«Cari amici, la Chiesa oggi guarda a voi con fiducia e attende che diventiate il popolo delle beatitudini. “Beati voi, afferma il papa, se sarete come Gesù poveri in spirito, buoni e misericordiosi; se saprete cercare ciò che è giusto e retto; se sarete puri di cuore, operatori di pace, amanti e servitori dei poveri. Beati voi!”. E’ questo il cammino percorrendo il quale, dice il papa vecchio ma ancora giovane, si può conquistare la gioia, “quella vera!”, e trovare la felicità. Un cammino da percorrere ora, subito, con tutto l’entusiasmo che è tipico degli anni giovanili: “Non aspettate di avere più anni per avventurarvi sulla via della santità! La santità è sempre giovane, così come eterna è la giovinezza di Dio. Comunicate a tutti la bellezza dell’incontro con Dio che dà senso alla vostra vita. Nella ricerca della giustizia, nella promozione della pace, nell’impegno di fratellanza e di solidarietà non siate secondi a nessuno!”.
“Quello che voi erediterete”, continua il papa in quelle che sono parole sempre attuali, “è un mondo che ha un disperato bisogno di un rinnovato senso di fratellanza e di solidarietà umana. È un mondo che necessita di essere toccato e guarito dalla bellezza e dalla ricchezza dell’amore di Dio. Il mondo odierno ha bisogno di testimoni di quell’amore. Ha bisogno che voi siate il sale della terra e la luce del mondo. (…) Nei momenti difficili della storia della Chiesa il dovere della santità diviene ancor più urgente. E la santità non è questione di età. La santità è vivere nello Spirito Santo”.
Una scelta di vita, una scelta che dà senso, una scelta per vivere e testimoniare ciò che ogni cristiano sa: “Solo Cristo è la ‘pietra angolare’ su cui è possibile costruire saldamente l’edificio della propria esistenza. Solo Cristo, conosciuto, contemplato e amato, è l’amico fedele che non delude”».
(Giovanni Paolo II, a Toronto, nella la GMG 2002).
Le beatitudini nella Bibbia d’Israele
Fra i dieci gruppi in cui si possono distribuire e raccogliere le diverse beatitudini bibliche, uno solo riguarda il possesso dei beni materiali. È la beatitudine di un padre che, per merito della fecondità della moglie, si trova provvisto di un certo numero di figli, sani e robusti, e che, perciò, passa onorato e riverito tra la gente della sua città. Ma altre beatitudini di ordine materiale non esistono. Né i ricchi, né i potenti, dominatori, eroi, né, molto meno, i gaudenti, fecero parte, direttamente, per le beatitudini bibliche, del numero dei beati. Anche la ricchezza, certamente, rientrò nella visione biblica antico-testamentaria, tra i beni desiderabili per la vita di ogni uomo. La povertà e l’indigenza non ebbero mai buona accoglienza. A differenza, però, delle beatitudini sia egiziane che greche, le beatitudini bibliche non credettero mai che la ricchezza, da sola, bastasse a dare felicità. E neppure, quindi, la gloria, la potenza, il prestigio.
Anche questi, certamente, apparvero e furono stimati beni altamente desiderabili. Ma non vennero ritenuti affatto costitutivi della felicità umana. Furono cioè dei beni integrativi, ma non costitutivi.
Servendoci, quindi, di questa distinzione fra beni costitutivi e beni integrativi, l’unico grande bene costitutivo non fu, in realtà, secondo nove dei dieci gruppi di beatitudini, che Dio; ovvero, meglio, il possesso, da parte dell’uomo, di tutti gli atteggiamenti più genuini e autentici verso la realtà divina: la fede in un unico Dio (gruppo I); piena confidenza e speranza nella sua azione salvifica (II); rispetto profondo, timore e amore (III); umile confessione delle proprie colpe e desiderio di perdono (IV); stima e attiva partecipazione all’incremento del culto e la liturgia del tempio (V); attento sguardo sapienziale e attento ascolto alla presenza di Dio nel mondo e nella storia (VI); stima della Legge come riflesso e testimonianza della manifestazione dell’azione salvifica di Dio (VII); rispettoso comportamento verso l’ordine della giustizia (VIII); e, infine, umile accettazione anche di una qualche menomazione fisica, di uno stato di sofferenza (X).
Siamo, quindi, come si vede, di fronte a un complesso di atteggiamenti religiosi, per i quali l’uomo, consapevole delle sue incapacità, limitatezze, non si chiude orgogliosamente in se stesso, ma riconosce che solo in Dio trova la sua completezza.
(A. MATTIOLI, Beatitudini e felicità nella Bibbia d’Israele, Prato 1992,542s.).
La felicità delle beatitudini
Le beatitudini indicano il cammino della felicità. E, tuttavia, il loro messaggio suscita spesso perplessità. Gli Atti degli apostoli (20,35) riferiscono una frase di Gesù che non si trova nei vangeli. Agli anziani di Efeso Paolo raccomanda di «ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere”». Da ciò si deve concludere che l’abnegazione sarebbe il segreto della felicità? Quando Gesù evoca ‘la felicità del dare’, parla in base a ciò che lui stesso fa. È proprio questa gioia – questa felicità sentita con esultanza – che Cristo offre di sperimentare a quelli che lo seguono. Il segreto della felicità dell’uomo sta dunque nel prender parte alla gioia di Dio. È associandosi alla sua ‘misericordia’, dando senza nulla aspettarsi in cambio, dimenticando se stessi, fino a perdersi, che si viene associati alla ‘gioia del cielo’. L’uomo non ‘trova se stesso’ se non perdendosi ‘per causa di Cristo’. Questo dono senza ritorno è la chiave di tutte le beatitudini. Cristo le vive in pienezza per consentirci di viverle a nostra volta e di ricevere da esse la felicità.
Resta tuttavia il fatto, per chi ascolta queste beatitudini, che deve fare i conti con una esitazione: quale felicità reale, concreta, tangibile viene offerta? Già gli apostoli chiedevano a Gesù: «E noi che abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che ricompensa avremo?» (Mt 19,27). Il regno dei cieli, la terra promessa, la consolazione, la pienezza della giustizia, la misericordia, vedere Dio, essere figli di Dio. In tutti questi doni promessi, e che costituiscono la nostra felicità, brilla una luce abbagliante, quella di Cristo risorto, nel quale risusciteremo. Se già fin d’ora, infatti, siamo figli di Dio, ciò che saremo non è stato ancora manifestato. Sappiamo che quando questa manifestazione avverrà, noi saremo simili a lui «perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,2).
(J.-M. LUSTIGER, Siate felici, Marietti, Genova, 1998, 111-117).
Chi ci separerà dall’amore di Cristo?
Sono indicati come poveri di spirito gli umili e quelli che temono Dio, cioè che non hanno uno spirito borioso. E non conveniva che la beatitudine cominciasse da altro dal momento che deve giungere alla somma sapienza. «Inizio della sapienza, infatti, è il timore del Signore» (Sir 1,12); al contrario, «inizio di ogni peccato è la superbia» (Sir 10,12). I superbi dunque desiderino e amino pure i regni della terra, ma «beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt5,3).
«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra» (Mt 5,5), quella terra, credo, della quale si dice nei salmi: «Sei tu la mia speranza, la mia porzione nella terra dei viventi» (Sal 141[142],6). […] Sono miti, dunque, coloro che non cedono alla cattiveria e non oppongono resistenza al male, ma vincono il male con il bene (cfr. Rm 12,21). Litighino dunque quanti non sono miti e lottino per i beni della terra, per i beni di questo mondo, ma «beati i miti perché avranno in eredità la terra», quella da cui non possono essere scacciati.
«Beati coloro che piangono, perché saranno consolati» (Mt 5,4). Il pianto è la tristezza per la perdita dei cari… Saranno consolati dallo Spirito santo che soprattutto per questo è detto Paraclito, cioè consolatore, perché a quelli che perdono la gioia in questo mondo dona quella eterna.
«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6). Di costoro si dice che amano il bene vero e incrollabile. Saranno dunque saziati di quel cibo, di cui il Signore stesso dice: «Mio cibo è fare la volontà del Padre mio» (Gv 4,34); è questa la giustizia. Essa è quell’acqua di cui chiunque berrà, come egli stesso dice, «scaturirà in lui una sorgente che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14).
«Beati i misericordiosi, perché di loro si avrà misericordia» (Mt 5,7). Dice beati quelli che vengono in aiuto ai miseri, perché in cambio saranno liberati dalla miseria. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Sono dunque sciocchi quelli che cercano Dio con gli occhi del corpo, poiché è con il cuore che lo si vede, come è scritto in un altro passo: «Cercatelo nella semplicità del cuore» (Sap 1,1). Un cuore puro è un cuore semplice. E come la luce del giorno si può vedere soltanto con gli occhi puri, così anche Dio non lo si vede se non è puro il cuore con il quale lo si vede.
«Beati gli operatori di pace, perché saranno considerati figli di Dio» (Mt 5,9). Nella pace vi è la perfezione, in essa non vi sono contrasti, perciò gli operatori di pace sono figli di Dio, perché in essi nulla si oppone a Dio e i figli devono mantenere la somiglianza con il Padre. E continua: «Beati coloro che soffrono persecuzione a causa della giustizia, perché di essi è il regno deicidi» (Mt 5,10).
Sono in tutto otto beatitudini […]. L’ottava ritorna, in certo senso, alla prima, perché mostra che essa è stata compiuta e realizzata. Difatti nella prima e nell’ottava è stato nominato il regno dei cieli: «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli»; e «Beati coloro che soffrono persecuzioni a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli». Dice infatti la Scrittura: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» (Rm 8,35).
(AGOSTINO DI IPPONA, Il Discorso del Signore sul monte, 1-3, Opere di sant’Agostino, parte I/X/2, pp. 84-90).
Essere felici donandosi
«E’ bene dare quando si è richiesti, ma è meglio dare quando, pur essendo non richiesti, comprendiamo i bisogni degli altri. E per chi è generoso, il cercare uno che riceva è gioia più grande che non il dare. E c’ è forse qualcosa che vorresti trattenere? Tutto ciò che hai un giorno o l’altro sarà dato via. Perciò dà adesso, sì che la stagione del dare sia la tua, non quella dei tuoi eredi».
(G. Kahlil Gibran).
Preghiera
Signore Gesù Cristo,
custodisci questi giovani nel tuo amore.
Fa’ che odano la tua voce e credano a ciò che tu dici,
poiché tu solo hai parole di vita eterna.
Insegna loro come professare la propria fede,
come donare il proprio amore,
come comunicare la propria speranza agli altri.
Rendili testimoni convincenti del tuo Vangelo,
in un mondo che ha tanto bisogno della tua grazia che salva.
Fa’ di loro il nuovo popolo delle Beatitudini,
perché siano sale della terra e luce del mondo
all’inizio del terzo millennio cristiano.
Maria, Madre della Chiesa,
proteggi e guida questi giovani uomini e giovani donne del ventunesimo secolo.
Tienili tutti stretti al tuo materno cuore. Amen.
(Preghiera di Giovanni Paolo II, al termine della Giornata della Gioventù di Toronto).
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
– Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004; 2007-.
– Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
– COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 91 (2010) 10, 71 pp.
– E. BIANCHI ET AL., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A [prima parte], in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 89 (2008) 4, 84 pp.
– F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.
– D. GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografia contemporanea, Milano, Ancora, 2003.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.
—
– Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.
PER APPROFONDIRE: