Prima lettura: Isaia 50,4-7
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso.
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Dopo la gioiosa processione iniziale, con le palme benedette, questa prima lettura introduce la partecipazione alle sofferenze e ai sentimenti di Cristo, nella passione. È la parte iniziale del terzo carme di Isaia sul «Servo sofferente», una «confessione», sul tipo «di alcune composizioni di Geremia e dei Salmi di lamento individuale».
Dapprima il Servo ricorda, in modo appassionato, la missione ricevuta di sostenere gli sfiduciati, quali erano i rimpatriati dall’esilio babilonese, alla fine del VI secolo a.C., in mezzo a tante difficoltà e ostilità. Poi proclama come l’ha vissuta, grazie ai doni del Signore di una lingua e di un orecchio «da iniziati», cioè degli introdotti e pienamente dediti all’ascolto e alla proclamazione della parola di Dio. Ciò implica un impegno profondo e costante anche suo. Anzi, ha richiesto la più dura testimonianza della vita, per le persecuzioni, espresse col piegare il dorso ai flagellatori, e per le umiliazioni subite, che si possono prendere alla lettera, fatte di insulti, sputi in faccia e depilazioni infamanti.
Di fronte a tutto questo, il Servo riafferma i suoi più profondi sentimenti. Non si tira indietro, ma affronta con coraggio le prove. È sicuro che Dio lo assiste, per questo non ha confusioni e incertezze, ma rende la faccia dura e impavida come roccia.
La lettura si ferma qui, forse per restare a quanto è più consono ai sentimenti di Cristo nella passione che segue. Nei versetti che completano il carme, il Servo sfida pure gli avversari sulla giustezza delle sue posizioni ed è sicuro che saranno confusi da Dio e logorati come veste intaccata dalle tarme. Non sono sentimenti teneri ma neppure estranei a Cristo. Forse i cristiani d’oggi dovrebbero riscoprire il modo e il coraggio di ripeterli.
Seconda lettura: Filippesi 2,6-11
Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. |
La lettera ai Filippesi indirizzata alla prima comunità cristiana fondata da Paolo in Europa, ha in quest’inno cristologico il perno del suo messaggio, carico di stimoli per la vita cristiana di tutti e di sempre. L’apostolo si trova in catene (Fil 1,7.14), fortemente impegnato a vivere il mistero di Cristo morto e risorto, che va predicando. Brama di «cono-scere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti». Dai Filippesi ha accettato più volte aiuti materiali come partecipazione della sua tribolazione (Fil 4,14-16) e li ringrazia. Ma molto di più desidera che siano partecipi della sua adesione a Cristo, da «cittadini degni del vangelo» (Fil 1,27) e da cristiani che vivono in comunione (Fil 2,1-4). Per questo è inscindibile dal brano odierno l’invito che lo introduce: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5). Esso vale anche per noi, oggi, proprio come cittadini e come cristiani.
Può darsi che Paolo stesso sia l’autore di questa composizione ritmata. Ma più probabilmente l’ha presa dalla liturgia preesistente e l’ha adattata ai suoi intendimenti. È chiaro lo schema in due parti simmetriche, una discendente nella kènosys e l’altra ascendente nella esaltazione.
Con la kènosys, svuotamento (vv. 6-8), Cristo scende dal trono più alto all’abisso più profondo, per gradini vertiginosi. Al contrario di Adamo, presuntuoso di essere come Dio, egli passa dalla reale «uguaglianza con Dio» alla «condizione di servo»; quindi da regnante supremo a servo obbediente; in una obbedienza non ordinaria, ma fino alla morte; e una morte non qualunque, ma in croce, come si usava per gli schiavi e per i delinquenti peggiori…
Con la esaltazione (vv. 9-11), Dio gli fa risalire tutti i gradini. Vi sono coinvolte tutte le creature ed è conseguente, anzi intrinseca, all’annientamento. A Cristo da, anzitutto un Nome, cioè una realtà e missione al di sopra di ogni altro; quindi sottomette a lui tutti gli esseri buoni e cattivi, nei cieli, sulla terra e sotto terra; e, nel riconoscimento della signoria universale di lui, da ad ogni persona la possibilità di ritrovare e di vivere la gloria della paternità divina.
Di seguito, Paolo indica ai Filippesi alcune conseguenze pratiche da tirare, che valgono anche per noi se le attualizziamo, rapportandole alla vita nella società e nella Chiesa di oggi.
Vangelo: Luca 22,14-23,56
Quando fu l’ora, Gesù prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: + “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. C E preso un calice, rese grazie e disse: + “Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finche non venga il regno di Dio”. Fate questo in memoria di me C Poi preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: + “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. C Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: + “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”. Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito “Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell’uomo dal quale è tradito!”. C Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò. Io sto in mezzo a voi come colui che serve Sorse anche una discussione, chi di loro poteva essere considerato il più grande. Egli disse: + “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è il più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele. Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”. C E Pietro gli disse: P “Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte”. C Gli rispose: + “Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi”. Deve compiersi in me questa parola della Scrittura C Poi disse: + “Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?”. C Risposero: P “Nulla”. C Ed egli soggiunse: + “Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: ‘‘E fu annoverato tra i malfattori’’. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine”. C Ed essi dissero: P “Signore, ecco qui due spade”. C Ma egli rispose: + “Basta!”. In preda all’angoscia, pregava più intensamente C Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: + “Pregate, per non entrare in tentazione”. C Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: + “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. C Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: + “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione”. Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo? C Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: + “Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?”. C Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: P “Signore, dobbiamo colpire con la spada?”. C E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: + “Lasciate, basta così!”. C E toccandogli l’orecchio, lo guarì. Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: + “Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre”. Uscito, Pietro pianse amaramente C Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro. Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: P “Anche questi era con lui”. C Ma egli negò dicendo: P “Donna, non lo conosco!”. C Poco dopo un altro lo vide e disse: P “Anche tu sei di loro!”. C Ma Pietro rispose: P “No, non lo sono!”. C Passata circa un’ora, un altro insisteva: P “In verità anche questo era con lui; è anche lui un Galileo”. C Ma Pietro disse: P “O uomo, non so quello che dici”. C E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”. E uscito, pianse amaramente. Indovina: chi ti ha colpito? Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, lo bendavano e gli dicevano: P “Indovina: chi ti ha colpito?”. C E molti altri insulti dicevano contro di lui. Lo condussero davanti al sinedrio Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero: P “Se tu sei il Cristo, diccelo”. C Gesù rispose: + “Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio”. C Allora tutti esclamarono: P “Tu dunque sei il Figlio di Dio?”. C Ed egli disse loro: + “Lo dite voi stessi: io lo sono”. C Risposero: P “Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca”. Non trovo nessuna colpa in quest’uomo C [Tutta l’assemblea si alzò, lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: P “Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re”. C Pilato lo interrogò: P “Sei tu il re dei Giudei?”. C Ed egli rispose: + “Tu lo dici”. C Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: P “Non trovo nessuna colpa in quest’uomo”. C Ma essi insistevano: P “Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui”. C Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme. Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. C’erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza. Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c’era stata inimicizia tra loro. Pilato abbandona Gesù alla loro volontà Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: P “Mi avete portato quest’uomo come sobillatore del popolo; ecco, l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò”. C Ma essi si misero a gridare tutti insieme: P “A morte costui! Dacci libero Barabba!”. C Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: P “Crocifiggilo, crocifiggilo!”. C Ed egli, per la terza volta, disse loro: P “Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò”. C Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà. Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: + “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! E ai colli: Copriteci! Perché, se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?”. C Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati. Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: + “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. C Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte. Questi è il re dei Giudei Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: P “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”. C Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano: P “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. C C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: P “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. C Ma l’altro lo rimproverava: P “Neanche tu hai timore di Dio, benché condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. C E aggiunse: P “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. C Gli rispose: + “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”. Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito C Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: + “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. C Detto questo spirò. Qui si genuflette e si fa una breve pausa. Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: P “Veramente quest’uomo era giusto”. C Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti.] Giuseppe pone il corpo di Gesù in una tomba scavata nella roccia C’era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Egli era di Arimatea, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo, secondo il comandamento.
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Esegesi
Essendo qui impossibile l’analisi esegetica dell’intero racconto della passione, che è sostanzialmente conforme a quello degli altri evangelisti, ci limitiamo a segnalare alcune particolarità di questo racconto, che ci consentono di capire i principali messaggi religiosi ad esso collegati da Luca. Si tratta soprattutto di omissioni e di aggiunte, rispetto al testo di Marco, da cui certamente il racconto di Luca dipende. Sottolineeremo soltanto le variazioni più significative e di più facile interpretazione.
Tra le variazioni apportate al racconto marciano della passione, si deve considerare quello che contiene l’insegnamento di Gesù su chi sia il più grande tra i suoi discepoli, che Luca sposta qui, nella cornice dell’ultima cena: 22,24-27.
Questo testo Marco lo riporta in 10,41-45 e Matteo in 20,24-28. Lo spostamento serve a Luca per sottolineare l’idea che la passione e morte di Gesù non si deve considerare affatto come una sconfitta, ma è un elemento integrante della via della salvezza.
Elemento aggiuntivo è il brano detto delle due spade: 22,35-38. In esso Gesù annunzia con molta chiarezza ai discepoli che, con la passione del loro maestro, comincia anche per loro il tempo delle difficoltà e dei contrasti. Per dare maggior forza alle sue parole, Gesù stabilisce una contrapposizione tra la missione in Galilea, descritta in Lc 9,1-6 («non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, … né denaro,…»), e la missione che essi dovranno svolgere nel futuro: «…ora chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha una spada, venda il mantello e ne compri una». Gli apostoli non capiscono il senso metaforico dell’accenno alla spada e ne mettono due a disposizione del maestro. Ma Gesù interrompe il discorso con un basta! Il brano è servito a Luca per ricordare che anche la condizione della sua Chiesa sarà caratterizzata da contrasto e persecuzione.
Il racconto dell’agonia nell’orto degli ulivi (22,39-45), sostanzialmente conforme a quello di Marco e Matteo, se ne differenzia per elementi omessi e per altri aggiunti. Mentre non si attenua in nulla l’angoscia sofferta da Gesù durante la sua preghiera, arrivando essa addirittura a un sudore come gocce di sangue (v. 44); nulla è detto del bisogno di Gesù di sentire vicini a sé i discepoli oranti; egli prega solo, lontano dai suoi e, alla fine, «Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo» (v. 43). Con queste variazioni, risplende maggiormente, pur nella sofferenza intensa, la maestà solitaria di Gesù.
Notevoli variazioni, rispetto al testo di Marco-Matteo, ci sono in Luca nella descrizione del comportamento di Pilato. Di costui l’evangelista sembra voler sottolineare una certa dignità e compostezza. Udite le molte e confuse accuse mosse contro Gesù dalla folla, egli si limita a porre una lapidaria domanda all’accusato: «Sei tu il re dei Giudei?» (23,3). La risposta ricevuta gli basta per decretare l’inconsistenza di quelle accuse e dichiara senz’altro:
«Non trovo nessuna colpa in quest’uomo» (23,5-7). Messa poi in evidenza la inconsistente fatuità di erode, Luca ritorna a parlare di Pilato, ribadendo la sua correttezza di magistrato romano, che vuol chiudere il caso con una dichiarazione solenne dell’innocenza di Gesù, appoggiato anche all’opinione di Erode. Pensa di rabbonire quei forsennati dicendo loro: «Perciò dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò» (23,13-16). Alla fine, Luca non può negare che Pilato cedette alla richiesta dei nemici di Gesù, ma gli risparmia l’umiliante scena del lavarsi le mani, riportata in Mt 27,24. Questo comportamento di Luca sembra sia determinato dalla sua volontà di attenuare i motivi di tensione tra la comunità cristiana e le autorità romane.
Questo stesso motivo ha forse indotto l’evangelista a omettere di riferire la flagellazione e i maltrattamenti dei soldati, nel corso della sua detenzione (Mc 15,15-20 e Mt 27,26-31). Questa omissione cambia il senso dell’episodio di Cireneo (Lc 23,26): esso non è più motivato dallo spossamento di Gesù (così in Marco e Matteo) e l’uomo che porta la croce per Gesù appare qui piuttosto come uno scudiero che segue il suo cavaliere.
Nel viaggio verso il Calvario, secondo Luca Gesù cammina dritto davanti alla folla con la consueta maestà, tanto che è in grado di parlare alle donne con accento profetico, rifiutando la loro compassione e annunziando che ben più miseranda è la condizione di chi lo rifiuta. Questo episodio (23,27-31) è tra quelli che Luca aggiunge al racconto della passione, in armonia con la sua volontà di non sminuire mai l’atteggiamento maestoso di Gesù.
Luca non smette di sottolineare il comportamento maestoso e regale di Gesù anche quando egli è inchiodato e innalzato sulla croce. La sua regale maestà l’evangelista la esprime soprattutto con le parole di lui.
Luca omette di riferirci il grido angoscioso del crocifisso «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34 e Mt 27,46), mentre riporta tre sue frasi piene di maestà. La prima frase è quella con cui Gesù invoca il perdono per tutti quelli che lo hanno respinto e condotto alla croce, perché «non sanno quello che fanno» (23,34). La seconda è la risposta al ladrone crocifisso con lui, che si ravvede all’ultimo momento e gli si affida: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso» (23,42). La terza è quella con cui Gesù esprime, gridando «a gran voce», il suo totale abbandono nel Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46).
Alle parole pronunziate da Gesù sulla croce sembra che Luca abbia voluto affidare il significato ultimo di quella crocifissione e dell’intero suo vangelo.
Nelle parole con cui Gesù prega perché il Padre perdoni. Luca afferma che tutti quelli che lo hanno respinto e condannato sono responsabili di una vera colpa, che ha bisogno del perdono divino, ma contemporaneamente afferma che quella colpa non coincide con un giudizio di condanna definitiva. Tutti quelli che, con diversa gradazione di responsabilità, lo hanno condotto in croce possono prendere parte, a condizione che si convertano, ai frutti della salvezza portata da lui, tanto i pagani quanto i figli dell’antico Israele. Inoltre, la preghiera di Gesù per i suoi nemici manifesta l’amore di Dio per i peccatori (quale è espresso da Luca nelle tre parabole della misericordia del c. 15) e presenta insieme, in concreto, un modello di comportamento per tutti i cristiani (quale è enunciato in Lc 6,27-35).
Le parole con cui Gesù risponde al ladrone convertito contengono un messaggio correttivo dell’attesa giudaica del Messia. «Gesù, ricordati di me quando entrerai (o verrai) nel tuo regno», dice il ladrone, esprimendosi con puro linguaggio biblico e pensando, come tutti i giudei del suo tempo, che il regno messianico si sarebbe realizzato solo alla fine dei tempi. La risposta di Gesù, che riconosce possibile la conversione e la salvezza per tutti i peccatori fino all’ultimo respiro, afferma che il regno di Dio e la salvezza non sono eventi dell’indeterminato futuro, ma cominciano oggi. Questa parola era già risuonata sulla bocca degli angeli annunzianti la buona novella ai pastori di Betlemme («Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore»: Lc 2,11) e sulla bocca dello stesso Gesù all’inizio del suo ministero pubblico nella sinagoga di Nazaret («Oggi si è adempiuta questa scrittura»: Lc 4,21).
L’ultima frase che Luca attribuisce a Gesù sulla croce mette il sigillo sulla sua presentazione generale della persona del redentore, che soffre e muore senza mai sminuire od offuscare la sua maestà regale. Volutamente sembra che Luca abbia sostituito le parole attribuite a Gesù da Marco e Matteo: mentre questi gli pongono sulle labbra il versetto iniziale del Salmo 22, Luca deriva il suo testo dal Salmo 30 versetto 6, dove non c’è ombra di abbandono da parte di Dio ed è anzi espressa la certezza della sua vicinanza. In tal modo, Gesù è presentato come il supremo modello del giusto, che gli uomini maltrattano e offendono, ma sperimenta sempre la protezione divina. Nelle ultime parole del crocifisso, ai lettori del terzo vangelo è offerto il motivo ispiratore di un comportamento simile a quello del protomartire Stefano, che morì dicendo queste stesse parole (At 7,59-60).
L’immagine della domenica
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CANTO ALLA CROCE
Nel riposo, nella fatica,
quando ridi e quando piangi,
conserva ben stretta
– quando vai, quando vieni,
nelle gioie, nei dolori –
la croce nel cuore!
(San Bonaventura)
Meditazione
Nel racconto della passione secondo san Luca compare un personaggio, che non incontriamo negli altri racconti evangelici, il quale può offrire il giusto angolo prospettico dal quale guardare a quello che l’evangelista definisce lo ‘spettacolo’ della Croce (cfr. Lc 23,48). È il cosiddetto ‘buon ladrone’, con il quale Gesù ha un ultimo intenso dialogo proprio nell’imminenza della morte. Il terzo vangelo, peraltro, sottolinea con insistenza che Gesù è crocifisso tra due malfattori. Soltanto Luca parla della loro presenza durante la via che sale al Calvario: «insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori» (23,32). Nel versetto successivo insiste precisando: «quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra». Egli vede realizzarsi in questo evento il versetto di Isaia che Gesù ha citato durante l’ultima cena applicandolo a sé e al destino che lo attendeva: «e fu annoverato tra gli empi» (Lc 22,37; cfr. Is 53,12d). Crocifisso in mezzo a due malfattori, Gesù ora viene davvero annoverato tra gli iniqui. Luca, tuttavia, non intende solo mostrare il realizzarsi della profezia; gli preme soprattutto mettere in luce il suo significato salvifico. Il dialogo con il buon ladrone ha proprio questo intento teologico: rivelare il senso salvifico che questo modo di morire in mezzo a due peccatori possiede. Assume perciò, nel contesto del racconto della passione, un valore sintetico e interpretativo di come l’evangelista comprenda e descriva tutto l’evento pasquale.
A introdurre il dialogo è il buon ladrone stesso, che per prima cosa si rivolge non a Gesù, ma al suo compagno per rimproverarlo di non avere il giusto atteggiamento di fronte a Dio, che ora egli inizia ad assumere. Anche questo ‘buon ladrone’ non ha avuto finora timore degli uomini, al punto da compiere azioni gravi che lo conducono a subire la condanna capitale, ma in questo momento giunge ad avere timore di Dio. Ovviamente ‘timore’ non va inteso nel senso di ‘paura’ o ‘terrore’ (ad esempio della morte, o del giudizio), ma nel suo significato squisitamente biblico: avere il giusto senso di Dio, in particolare della sua giustizia. Rimanendo davanti a Dio con ‘timore’ egli riconosce da un lato la propria colpevolezza e il proprio peccato – noi siamo condannati giustamente (cfr. v. 41) – dall’altro l’innocenza e la giustizia di Gesù. Questi due aspetti vanno insieme e non possono essere separati: contemplare la giustizia di Gesù illumina la nostra vita e ci porta a riconoscere il nostro peccato; d’altro lato, circolarmente, la consapevolezza del nostro peccato fa risaltare la giustizia di Gesù in cui si manifesta la giustizia stessa del Padre. Avere timore di Dio significa vivere insieme questi due atteggiamenti, consentendo all’uno di illuminare e rendere possibile l’altro. Si apre così per questo personaggio la via verso un pentimento che si esprime poi in un’invocazione molto breve e molto ricca nella sua essenzialità: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (v. 42). Gesù: è l’unica ricorrenza in tutto il Nuovo Testamento in cui leggiamo il nome di Gesù al vocativo, senza che venga aggiunto qualche altro titolo. Nessun altro personaggio si rivolge a Gesù con la stessa familiarità di questo ladrone, accomunato a lui dalla medesima terribile pena. Non è però soltanto la confidenza a farlo parlare in questo modo. Gesù significa ‘Dio salva’ e negli Atti degli Apostoli Luca afferma che questo è il solo nome in cui si può trovare salvezza. Il buon ladrone, anziché oltraggiare, schernire, bestemmiare, invoca in Gesù la salvezza di Dio, e lo fa proprio mentre Gesù non sta salvando se stesso, e rimane insieme a lui sul medesimo patibolo infame.
Quanti altri personaggi del vangelo di Luca si sono accostati al profeta itinerante in Galilea, potente in parole e opere, con la fede che chiedeva una liberazione dal male? Gesù li aveva accolti rispondendo ‘la tua fede ti ha salvato’. Ma ora questo ladrone rivolge la sua invocazione a un Gesù che sembra impossibilitato a salvare persino se stesso. Il racconto di Luca suscita così una domanda fondamentale: da dove e come nasce questa fede? In Luca la voce in cui si ricapitola e si esprime la pienezza della fede è proprio quella del buon ladrone. C’è quindi una differenza rispetto al racconto di Marco, in cui la pienezza della fede risuona piuttosto nelle parole del centurione, il quale «avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”» (Mc 15,39). Per Marco la fede matura risuona nelle parole di un centurione romano, vale a dire di un pagano. In Luca in un peccatore, in modo coerente con l’intero suo vangelo che ha cura di rimarcare come durante la sua vita Gesù abbia mangiato con i peccatori e sia stato accolto dalla loro fede. Pensiamo ad esempio alla peccatrice che gli cosparge di olio e di lacrime i piedi nella casa di Simone il fariseo (cfr. Lc 7,36-50), o a Zaccheo, il pubblicano di Gerico, che in Gesù accoglie la salvezza di Dio mentre tutti mormorano: «è entrato in casa di un peccatore!» (cfr. Lc 19,1-10). Zaccheo è proprio l’ultimo personaggio che Gesù incontra nel suo cammino verso Gerusalemme: un peccatore che viene cercato e salvato da Gesù. «Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (19,10), dichiara Gesù nella sua casa. Il significato di queste parole diviene chiaro sulla croce: Gesù è venuto a cercare e a salvare anche questo ladrone, e con lui ciascuno di noi. Ci ha cercati non solo fino a entrare nella casa di un pubblicano – il che era vietato a un pio e osservante giudeo – ma fino a salire con noi, lui l’unico giusto, sulla croce del nostro ostinato peccato. Ecco perché Gesù non risponde alla triplice sfida che gli viene lanciata di salvare se stesso. O meglio, lo fa con le parole che rivolge al buon ladrone. Non salva se stesso perché è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto, e lo ha fatto fino al punto di perdere se stesso, fino a non salvare se stesso dalla croce e dalla morte.
Rimane però aperta la domanda iniziale. Come può questo ladrone giungere a questa fede? Cosa significa riconoscere in Gesù la salvezza? Che tipo di salvezza è quella che si manifesta in un giusto crocifisso? Per rispondere a tali interrogativi dobbiamo ricordare ancora la citazione di Isaia 53: «e fu annoverato tra gli empi». La fede del buon ladrone rivela il significato salvifico di questo accettare la morte insieme agli iniqui. Gesù, condividendo il destino dei peccatori, prende su di sé il loro peccato per donare loro la sua giustizia. Anche per questo motivo in Luca il centurione romano esclama, diversamente dal racconto di Marco: «veramente quest’uomo era giusto». Giusto perché ci rende giusti, assumendo il nostro peccato per comunicarci la sua giustizia. La salvezza consiste nel riconoscere questa misericordia che ci giustifica raggiungendoci nel nostro peccato e facendosi solidale con il nostro destino di peccatori. La fede del ladrone, che per Luca rappresenta la figura esemplare della fede di ogni discepolo, riconosce la salvezza di Dio proprio nella misericordia con cui Gesù accetta liberamente di morire come lui e insieme a lui.
Nel racconto di Luca la vita di Gesù è interamente abbracciata da un oggi, che per la prima volta risuona nel racconto della nascita e per l’ultima volta in quello della morte. È interessante notare il gioco delle preposizioni che risuona nei due testi. Nella nascita gli angeli annunciano: «oggi è nato per voi un salvatore» (cfr. Lc 2,7). Nella morte Gesù promette: «oggi sarai con me». La vita di Gesù segna questo passaggio: dal per voi al con me. Egli nasce per noi perché noi possiamo essere definitivamente con lui. Ecco l’oggi della salvezza!
Vita est enim esse cum Christo, quia ubi Christus ibi regnum. «La vita è essere con Cristo, perché dove c’è Cristo, lì c’è il regno» (Ambrogio di Milano).
Preghiere e racconti
Confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso
«Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, avessimo il coraggio di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti.»
(Papa Francesco, omelia del 14 marzo 2013).
Uno stemma che è un programma
Postato in General il 14 marzo, 2013
Nello stemma episcopale di papa Jorge Mario Bergoglio ci sono tre parole latine di non immediata comprensione: “Miserando atque eligendo”.
Ma se si va a vedere da dove sono riprese si scoprono tratti importanti del programma di vita e di ministero di papa Francesco.
In questa piccola caccia al tesoro è d’aiuto una nota del dotto teologo Inos Biffi su “L’Osservatore Romano” del 15 marzo.
Il motto proviene da un’omelia di san Beda il Venerabile (672-735), monaco di Wearmouth e di Jarrow, autore di opere esegetiche, omiletiche e storiche, tra cui la “Historia ecclesiastica gentis Anglorum”, per cui è chiamato il “Padre della storia inglese”.
Nell’omelia, la ventunesima di quelle che ci sono giunte, Beda commenta il passo del Vangelo che racconta la vocazione ad apostolo di Matteo, pubblico peccatore.
Nel brano da cui è ricavato il motto si legge:
“Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: ‘Seguimi’ (Matteo, 9, 9). Vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con amore misericordioso in vista della sua elezione, gli disse: ‘Seguimi’. Gli disse ‘Seguimi’, cioè imitami. ‘Seguimi’, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita. Infatti ‘chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato’ (1 Giovanni, 2, 6)”.
In latino, il brano inizia così:
“Vidit ergo Iesus publicanum, et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi, Sequere me. Sequere autem dixit imitare. Sequere dixit non tam incessu pedum, quam exsecutione morum”.
Includere nello stemma il motto “Miserando atque eligendo” significa dunque mettersi al posto di Matteo, da Gesù guardato con misericordia e chiamato, nonostante i suoi peccati.
Ma l’importante è il seguito del passo citato. Dove Beda spiega cosa comporta seguire ed imitare Gesù:
“Non ambire le cose terrene; non ricercare i guadagni effimeri; fuggire gli onori meschini; abbracciare volentieri tutto il disprezzo del mondo per la gloria celeste; essere di giovamento a tutti; amare le ingiurie e non recarne a nessuno; sopportare con pazienza quelle ricevute; ricercare sempre la gloria del Creatore e non mai la propria. Praticare queste cose e altre simili vuol dire seguire le orme di Cristo”.
Conclude Inos Biffi:
“È il programma di san Francesco d’Assisi, iscritto nello stemma di papa Francesco. E intuiamo che sarà il programma del suo ministero, come vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale”.
Come vivere la settimana Santa
La benedizione delle palme, da cui questa domenica prende il nome, e la processione che ne è seguita vogliono evocare l’ingresso in Gerusalemme di Gesù e la folla che gli va incontro festosa e acclamante.
Forse la nostra processione appare un po’ povera rispetto a ciò che dovrebbe rievocare. L’importante, tuttavia, non è prendere in mano le palme e gli ulivi e compiere qualche pas-so, ma esprimere la volontà di iniziare un cammino. Questa scena infatti, che vorrebbe essere di entusiasmo, non ha valore in sé: assume piuttosto il suo significato nell’insieme degli eventi successivi che culmineranno nella morte e nella risurrezione di Gesù. Contiene perciò una domanda che è anche un invito: vuoi tu muovere i passi entrando con Gesù a Gerusalemme fino al calvario? Vuoi vedere dove finiscono i passi del tuo Dio, vuoi essere con lui là dove lui è? Solo così sarà tua la gioia di Pasqua.
Entriamo dunque con la domenica delle Palme nella Settimana santa, chiamata anche “autentica” o “grande”. Grande perché, come dice san Giovanni Crisostomo, «in essa si sono verificati per noi beni infallibili: si è conclusa la lunga guerra, è stata estinta la morte, cancellata la maledizione, rimossa ogni barriera, soppressa la schiavitù del peccato. In essa il Dio della pace ha pacificato ogni cosa, sia in cielo che in terra».
Sarà dunque una settimana nella quale pregheremo in particolare per la pace a Gerusalemme e ci interrogheremo pure sulle condizioni profonde per attuare una reale pace a Gerusalemme e nel resto del mondo.
La liturgia odierna è quindi un preludio alla Pasqua del Signore. L’entrata in Gerusalemme dà il via all’ora storica di Cristo, l’ora verso la quale tende tutta la sua vita, l’ora che è al centro della storia del mondo. Gesù stesso lo dirà poco dopo ai greci che, avendo saputo della sua presenza in città, chiedono di vederlo: «È venuta l’ora in cui sarà glorificato il Figlio dell’uomo» (Gv 12,23). Gloria che risplenderà quando dalla croce attirerà tutti a sé.
(Carlo Maria MARTINI, Incontro al Signore risorto, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009, 159-160).
Andremo alla casa del Signore
Mi rallegrai quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore».
E ora i nostri piedi
sono nell’interno delle tue porte,
Gerusalemme!
Gerusalemme costruita come città,
in sé ben compatta!
Là salivano le tribù, le tribù del Signore,
secondo il precetto dato a Israele
di lodarvi il nome del Signore.
Sì, là s’ergevano i seggi del giudizio,
i seggi della casa di Davide.
Augurate la pace a Gerusalemme:
vivano in prosperità quanti ti amano!
Sia pace fra le tue mura,
prosperità fra i tuoi palazzi.
Per amore dei miei fratelli e amici
dirò: Sia pace in te!
Per amore della casa del Signore, nostro Dio,
chiederò: Sia bene per te!
(Salmo 121)
Osanna nel più alto dei cieli!
Dopo la risurrezione di Lazzaro, morto da quattro giorni, il Signore trovò un asinello che era stato preparato dai discepoli, come racconta l’evangelista Matteo (cfr. Mt 21,1-11), montò su di esso ed entrò in Gerusalemme secondo la profezia di Zaccaria, che aveva predetto: «Non temere, figlia di Sion! Ecco, giunge a te il tuo re, re di giustizia e di salvezza; mite cavalca il piccolo di un’asina» (Zc 9,9). Attraverso queste parole il profeta voleva indicare che Cristo è il re profetizzato, l’unico vero re di Israele. Il tuo re — dice – non mette paura a quelli che lo vedono, non è duro né malvagio, non conduce con sé soldati armati di scudo o guardie del corpo, né una quantità di fanti e di cavalieri, superbo, pronto a riscuotere imposte e tasse, a imporre schiavitù e servitù ignobili e dannose, ma sue insegne, invece, sono l’umiltà, la povertà, la sobrietà. Montato su un asino, infatti, faceva il suo ingresso senza ostentare alcuno sfarzo mondano. Per questo egli è il solo re giusto, che salva nella giustizia, mansueto perché la mansuetudine è l’attributo che più gli è proprio. Ed è lo stesso Signore che dice di sé: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore». Colui dunque che risuscitò Lazzaro dai morti, re montato su un asino, entrava allora in Gerusalemme e subito tutta la gente, bambini, uomini, adulti e vecchi, stesero per terra i loro mantelli e, presi dei rami di palma, simbolo di vittoria, gli andavano incontro come all’autore della vita e al vincitore della morte, gli si prostravano davanti, lo scortavano e non solo all’esterno, ma anche dentro il recinto del tempio, e a una sola voce cantavano: «Osanna al figlio di David! Osanna nel più alto dei cieli!» (Mt 21,9). «Osanna» è un inno che si eleva a Dio; infatti tradotto significa: «Salvaci, Signore!»; e la parte che segue «nell’alto dei cieli» significa che l’inno è cantato non solo sulla terra, non solo dagli uomini, ma anche nell’alto dei cieli dagli angeli del cielo.
(GREGORIO PALAMAS, Omelie 15, PC 151,184B-185).
Settimana Santa
Signore Gesù Cristo, nell’oscurità della morte
Tu hai fatto che sorgesse una luce;
nell’abisso della solitudine più profonda
abita ormai per sempre la protezione potente
del tuo amore;
in mezzo al tuo nascondimento
possiamo cantare l’Alleluja dei salvati.
Concedici l’umile semplicità della fede,
che non si lascia fuorviare
quando tu chiami nelle ore del buio, dell’abbandono,
quando tutto sembra apparire problematico;
concedi in questo tempo nel quale attorno a te si combatte una lotta mortale,
luce sufficiente per non perderti;
luce sufficiente perché noi possiamo darne
a quanti ne hanno ancora più bisogno.
Fai brillare il mistero della tua gioia pasquale,
come aurora del mattino, nei nostri giorni,
concedici di poter essere veramente uomini pasquali
in mezzo al sabato della storia.
Concedici che attraverso i giorni luminosi ed oscuri
di questo tempo
possiamo sempre con animo lieto
trovarci in cammino verso la Tua gloria futura.
Amen.
(J. Ratzinger)
Preghiera
Il tuo volto, Signore Gesù, è il volto del Dio dell’umiltà che ci ama fino a spogliarsi, fino a rendersi povero in mezzo a noi. Il tuo volto è il volto del nostro dolore, della nostra solitudine, della nostra angoscia, della nostra morte che tu hai voluto assumere perché non fossimo più soli e disperati.
Fa’ che impariamo a riconoscere questa sconcertante rivelazione della tua onnipotenza, l’onnipotenza di chi ama fino a condividere la sofferenza, fino a lasciarsi crocifiggere per nostro amore. Insegnaci che cosa significa amare come tu ci ami, per accettare in silenzio di partecipare al tuo mistero di passione e morte e gustare con te e in te la gioia della vittoria piena e totale sulla divisione, sul peccato e sulla morte.
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
– Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
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– COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009.
– M. FERRARI, monaco di Camaldoli, «Oggi di è adempiuta questa scrittura». Tempo di Quaresima e Tempo di Pasqua, Milano, Vita e Pensiero, 2013.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.
– C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.
– J.M. NOUWEN, Un ricordo che guida, in ID., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di Quaresima, Brescia, Queriniana, 2003.
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– Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.
PER L’APPROFONDIMENTO:
Sett Santa Vangelo delle PALME (C)