Prima lettura: Baruc 5,1-9
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: «Pace di giustizia» e «Gloria di pietà». Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole fino al suo sorgere, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale. Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui. |
In questo brano un profeta con espressioni prese in prestito dal libro di Isaia e di Geremia presenta il ritorno dall’esilio di Babilonia in forma trionfale attraverso il deserto.
In una prima strofa (vv. 1-4) vi è un invito a Gerusalemme a passare dall’afflizione alla gioia, cambiando le vesti. Secondo l’antica tradizione ebraica Adamo ed Eva nel paradiso terrestre avevano una veste di gloria, la luce li avvolgeva. Una veste persa quando si sono allontanati da Dio. Ora il Signore ritorna nella sua città e dona ai suoi abitanti una splendida veste di gloria. Il cambiamento è tale che Dio dà alla sua città un nome nuovo: «Pace di giustizia» e «Gloria di pietà» (v. 4). La gloria, cioè l’amore di Dio che ritorna a splendere nel cuore dell’uomo gli ridona la giustizia, lo mette in un giusto rapporto con Dio e con i fratelli. Ne consegue quindi la pace, una vita piena di beni spirituali e materiali, e la pietà, il sentimento religioso di fiducia in Dio e di gratitudine per la sua presenza.
In una seconda strofa (vv. 5-7) Gerusalemme è invitata ad ammirare il ritorno glorioso dei suoi fratelli dall’esilio. È un cammino non faticoso perché Dio stesso guida questo ritorno. È lui stesso che spiana la strada, perché Israele proceda sicuro (v. 7). Anzi egli li fa trasportare sul suo trono regale, e non devono neppure camminare (v. 6).
Nella terza strofa (vv. 8-9) anche il creato è coinvolto nella storia di salvezza che Dio vuole fare con il suo popolo. Il deserto fiorisce e diventa un giardino di alberi profumati che con la loro ombra impediscono al sole bruciante di far ripiombare il popolo nella morte dopo aver sperimentato la liberazione. La terra promessa viene anticipata. Il paradiso promesso si può già sperimentare qui nella storia concreta, perché il Signore è presente. Il paradiso infatti è stare con il Signore.
Seconda lettura: Filippesi 1,4-6.8-11
Fratelli, sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.
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Paolo inizia con una invocazione e intercessione che sfocia nella lode. Dalla sua buia prigione egli sta scrivendo alla comunità una lettera piena di gioia, perché proprio lì in una situazione di massimo fallimento umano ha sperimentato un’intimità tale con Gesù Cristo che gli dona una felicità che non può essere intaccata neppure dalla morte.
È il Signore colui il quale ha iniziato (v. 6), il primo agente della evangelizzazione, e anche, se Paolo è stato tolto forzatamente alla comunità questa continua la sua cooperazione per il Vangelo (v. 5). È una comunità viva: tutti per gratitudine partecipano all’evangelizzazione. Il tempo che intercorre tra la presente semina del vangelo e la raccolta del frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo (v. 11) della parusia è un periodo in cui può crescere l’amore e la fedeltà a Dio. Tutto lo zelo missionario di Paolo e della comunità cristiana ha come scopo non l’autoglorificazione, ma a gloria e lode di Dio (v. 11).
Vangelo: Luca 3,1-6
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
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Esegesi
Luca presenta Giovanni Battista come l’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento. Questo lo possiamo dedurre dal suo modo di descriverlo. Anche gli scritti profetici iniziano presentando il contesto storico in cui si svolge la predicazione profetica e la protagonista è la Parola del Signore. Gli stessi termini infatti troviamo in Geremia: La Parola di Dio che fu su Geremia (Ger 11). La Parola del Signore non rimane una teoria, una nuova filosofia, ma è una realtà storica: «non sono fatti accaduti in un angolo» (At 26,26), ma hanno delle coordinate storiche e geografiche molto concrete.
Siamo informati su l’anno dell’inizio della predicazione di Giovanni, figlio di Zaccaria. Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, che corrisponde al 27/28 dopo Cristo. I grandi avvenimenti della storia della salvezza hanno dei testimoni molto concreti, pagani ed ebrei. Innanzitutto l’imperatore romano, Tiberio, quindi il responsabile della Giudea-Samaria dal 26 al 36, il procuratore romano Ponzio Pilato. Entrando nel mondo giudaico sono citate altre autorità politiche: Erode Antipa, figlio di Erode il grande, Filippo suo fratellastro e Lisania. Come ai tempi dei profeti non solo le autorità politiche, ma anche quelle religiose sono testimoni della Parola di Dio. Vengono quindi ricordati i nomi del sommo sacerdote in carica (anni 18-36) Caifa e del suo suocero deposto nel 18, Anna, che continuava a far sentire la sua influenza politico-religiosa. Viene presentata anche la mappa geografica: Giudea-Samaria, Galilea, Iturea, Traconitide, Abilene.
In questo quadro geografico c’è un luogo privilegiato in cui Dio ha parlato come uno sposo al suo popolo, il deserto: ecco la attirerò a me nel deserto e parlerò al suo cuore (Os 2,16). E nel deserto di Giuda la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa (v. 2). Chi parla attraverso la sua voce è la Parola. Quando la Parola si renderà visibile, la voce scomparirà. La parola non è solo un grido, una chiamata a conversione, ma essendo parola (dabar) di Dio incomincia già a sentirsi la sua efficacia. Il brano infatti termina con una inclusione dicendo: ogni uomo vedrà la salvezza di Dio (v. 6).
È l’esperienza più stupefacente, che aveva fatto la comunità cristiana primitiva, di vedere risplendere la vita e l’immortalità mediante l’annuncio del vangelo (cfr. 2Tim 1,10). Era un annuncio itinerante come quello di Giovanni che percorse tutta la regione del Giordano (v.3). Si concretizzava nella discesa delle acque del Giordano, significato dal fonte battesimale. Lì si lasciava il corpo del peccato e avveniva una reale conversione perché sorgeva una creatura nuova, che il battesimo di Giovanni prometteva. È una salvezza che ogni uomo vedrà (v. 6). È a disposizione di tutti gli uomini, non solo degli ebrei. Tutti allora sono invitati a preparare la via del Signore (v. 4). Questa strada non è materiale ma una via interiore attraverso la quale il Verbo di Dio, possa entrare dentro l’uomo e prendere il suo posto nel suo cuore.
L’immagine della domenica
Nell’attesa paziente
No, non è in tuo potere far aprire il bocciolo; scuotilo, sbattilo, non riuscirai ad aprirlo.
Le tue mani lo guastano, ne strappi i petali e li getti nella polvere,
ma non appare nessun colore e nessun profumo. Ah! A te non è dato di farlo fiorire.
Colui che invece fa sbocciare il fiore, lavora semplicemente, vi getta uno sguardo all’alba e la linfa della vita scorre nelle vene del fiore.
Al suo alito il fiore dispiega lentamente i suoi petali e si culla lentamente al soffio del vento.
Come un desiderio del cuore, il suo colore erompe, e il suo profumo tradisce un dolce segreto.
Colui che fa sbocciare veramente il fiore lavora sempre solo semplicemente e silenziosamente.
(Poesia indiana)
Meditazione
«Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (Lc 3,6).
L’antico annuncio del profeta Isaia, così universale da apparire generico, così radicalmente esistenziale e teologico da sembrare fiabesco, dopo secoli viene ribadito e nuovamente proclamato da Giovanni Battista. Soprattutto viene storicizzato e reso contemporaneo, mettendolo in relazione con luoghi e figure di una scena per nulla religiosa, che, da remotamente locale, si apre e vuole interessare la terra intera. Ma qualcosa che sembra avvenire, risuonare in uno sperduto deserto, può – e deve – avere ricadute perfino sul titanico e onnipresente/onnipotente impero romano? L’impalpabilità e leggerezza di una voce – questo il fatto annunciato – può giungere fino all’orecchio dell’imperatore e osar pretendere di cambiargli la vita?
A essere onesti, sì, di cose del genere ne possono succedere – e succedono! – anche ai giorni nostri. La speranza di un’umanità senza distinzioni di sesso e di razza e che vive nella giustizia, speranza antica quanto il mondo ma riformulata da un Martin Luther King o da un Ghandi, è arrivata fin dentro stanze ovali ed è riuscita a superare l’invalicabile sbarramento di uffici e segreterie che difendono i potenti della terra (non chiamiamo grandi quanti sono spesso solo più forti economicamente e militarmente!). E certamente la forza di quella parola qualcosa ha fatto, ha segnato lo sviluppo delle vicende storiche, anche su scala mondiale, universale. Ha operato nel profondo. E val la pena ricordare che è certamente più difficile cambiare il cuore di un solo uomo che compiere qualsiasi mirabolante impresa astronomica, architettonica, politica o militare…
Questa Parola, questa voce può sperare di ottenere questo risultato perché viene dal profondo, dall’alto, da Dio. Prende sempre carne in uomini attenti, vigili e disponibili, non teme di mescolarsi ad altre voci richiamando ogni uomo alla sua responsabilità di scelta, fa affidamento solo sull’autorevolezza della propria sapiente verità. Ma quale dunque il contenuto di questa discreta eppur energica Parola? Il suo involucro esterno potrebbe spaven-tare ogni ‘amante delle alture’: chiede infatti che «Ogni monte e colle siano abbassati», per poi proseguire «Le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie spianate» (Lc 3,5). Il senso autentico di queste strane parole non è certo da ricercarsi in ambito geologico/stradale ma ci è ben ritradotto dall’orazione della colletta eucaristica: «O Dio grande nell’amore, che chiami gli umili alla luce gloriosa del tuo regno, raddrizza nei nostri cuori i tuoi sentieri, spiana le alture della superbia, e preparaci a celebrare con fede ardente la venuta del nostro salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio».
Un invito, quindi, a farci, come Giovanni, maggiormente attenti ai desideri più profondi della nostra esistenza ma, al contempo, anche ai segni dei tempi, alle vicende storiche che attraversano in modo apparentemente casuale la nostra vita. C’è infatti il rischio di lasciarsi passare sotto gli occhi una grande occasione perché si sta guardando altrove e si sta attendendo altro. Il profeta Baruc, nella prima lettura, richiama la città di Gerusalemme ad abbandonare lo stato di prostrazione e lamento che la affliggono per aprirsi alla speranza: «Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo» (Bar 5,3). Ma la città santa deve mettersi nella posizione, nella condizione della sentinella, che guarda e aspetta di vedere il ritorno glorioso dei propri figli, dispersi e incalzati dai nemici (cfr. Bar 5,5-6). Non sarà lei a riportarli in patria, saranno «la misericordia e la giustizia che vengono da Dio» (Bar 5,9) ad operare tale meraviglia. Ma sperare e domandare, cercare e attendere allargando il cuore è compito dell’uomo.
Il periodo liturgico dell’Avvento è tempo di meditazione, di sollecitazione alla profondità, a ritrovare i grandi desideri che abitano la nostra vita e che la parola di Dio ci allarga e concretizza ancor più. Per tutti possiamo e dobbiamo sperare, a tutti dobbiamo rilanciare la fiducia per un orizzonte più vero e autentico. «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (Lc 3,6).
Preghiere e racconti
Giovanni Battista
Identificare Giovanni Battista con l’Avvento risulta ovvio, considerato il soprannome di Precursore attribuitogli dalla Scrittura stessa, con il quale siamo soliti definirlo. I tre sinottici -Mt 11,10; Mc 1,2-3; Lc 3,4- gli applicano la profezia di Isaia: «Ecco io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te… Una voce grida: Nel deserto preparate la via al Signore » (Is 40,3). Nel caso di Matteo è lo stesso Cristo che, esaltando la figura del Battista, gli applica la profezia; l’evangelista Giovanni, che predilige il linguaggio simbolico, lo definisce «testimone della luce» (Gv 1,7-8).
Non ci deve pertanto stupire che in questo tempo di preparazione la liturgia ci proponga la figura e il messaggio di Giovanni Battista in tutti i vangeli della seconda e terza domenica di Avvento, in tutti giorni della terza settimana e nei giorni immediatamente precedenti la venuta del Signore.
Il personaggio
Luca ci racconta con molti particolari l’annuncio solenne della nascita di Giovanni. Come dice A. Nocent: «Così Dio vuole sottolineare che egli stesso prende l’iniziativa della salvezza del suo popolo. Egli stesso sceglie gli strumenti e se ne serve a modo suo. L’annuncio della nascita di Giovanni è solenne: esso avviene nell’inquadratura liturgica del tempio. Fin dalla designazione del nome del bambino, “Giovanni”, che significa: “Dio è favorevole”, tutto diventa una precisa preparazione divina dello strumento che il Signore si è scelto. Il suo arrivo non passerà inavvertito e la sua nascita sarà accolta con gioia da molti (Lc 1,14). Sarà un uomo consacrato e, come prescrive il libro dei Numeri (6,1), si asterrà dal vino e dalle bevande inebrianti. Il nazireato è già segno della sua vocazione di asceta. Lo Spirito abita in lui dal seno di sua madre. Alla vocazione di asceta si aggiunge quella di guida del popolo (Lc 1,17). Egli precederà il Messia, funzione che Malachia attribuiva a Elia (3,23). Nella sua circoncisione un fatto significativo indica ancora la scelta divina: nessuno nel suo parentado porta il nome di Giovanni (Lc 1,6), ma il Signore vuole che sia chiamato così, sconvolgendo le usanze. È il Signore che lo ha scelto, è lui che dirige il gioco e conduce il suo popolo». L’incontro fra Giovanni e Gesù, tra il Precursore e il Salvatore, avviene già prima della nascita. È l’unione tra i due Testamenti, nel momento in cui l’Antico lascia il passo al Nuovo. Al significativo particolare dell’annuncio delle loro nascite, si aggiunge l’incontro nel seno materno, quando Maria visita Elisabetta e la creatura di questa le salta di gioia nel grembo (Lc 1,39-45). Gesù causa gioia, Giovanni la riceve. Le loro madri, partecipi della gioia, intonano ognuna un canto di lode. Elisabetta si rivolge alla madre del suo Signore, dichiarandola benedetta tra tutte le donne; Maria, riprendendo le promesse fatte ad Abramo e alla sua discendenza, proclama la grandezza del Signore e si rallegra in Dio, suo salvatore (cf. Lc 1,46-56). Abbiamo una stretta consonanza anche nella designazione divina dei loro nomi e nell’accostamento dei loro significati: favore di Dio, salvezza di Dio; nei cantici profetici di Zaccaria e di Simeone, quando i bambini saranno circoncisi. La consonanza si farà abbraccio nel passaggio da un’èra all’altra in occasione del battesimo di Gesù da parte di Giovanni; e si farà abbraccio di congedo quando, dopo aver indicato Gesù come «l’Agnello di Dio colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29), Giovanni riconosce umilmente: «Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,30).
Dopo averci offerto tanta abbondanza di particolari sulla sua nascita, i vangeli non ci parlano più di Giovanni Battista fino al battesimo di Gesù. Alcuni autori avanzano congetture e supposizioni a questo proposito: che si fosse formato in una delle comunità di vita ascetica del deserto (gli esseni) e che alcuni membri di tali comunità lo avessero seguito come discepoli per iniziare la sua predicazione… I vangeli lo presentano mentre predica la conversione secondo la missione profetica che gli era stata affidata. Ci offrono alcuni dettagli (per esempio Mt 3,1-12) dai quali deduciamo la sua personalità: vita austera, penitente, radicale; uomo sincero e incorruttibile, esigente e coerente. L’abbigliamento, il cibo, il modo di parlare ci rivelano la figura del profeta di vecchio stampo.
Punto di contraddizione, trascinerà masse di persone semplici in sincera ricerca, ma si scontrerà con l’opposizione delle classi privilegiate, che vedevano vacillare la loro posizione, se le dure denunce di Giovanni, tanto scarne quanto giuste, avessero sortito il loro effetto. La fine del Battista, la decapitazione, ne è una drammatica testimonianza (Mc 6,17-29).
Nessun altro personaggio ha avuto il privilegio che egli ottenne, dal momento che Gesù stesso gli dedicò un panegirico: « Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! E allora che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. Egli è colui, del quale sta scritto: “Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te”. In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,2-11; Lc 7,24-30). Proprio queste parole di Gesù, che riassumono ed esaltano la figura di Giovanni, ci danno l’occasione di addentrarci nella descrizione della missione a lui affidata.
La sua missione
Gesù non poteva essere più esplicito nell’applicare a Giovanni le parole del profeta: «Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero». Giovanni Battista è il segno dell’irruzione di Dio in mezzo al suo Popolo. Come aveva proclamato il padre Zaccaria intonando il Benedictus (Lc 1,67-69), il Signore visita e redime il suo popolo realizzando le promesse. Egli è il Precursore e il suo ruolo è «preparare la via al Signore». Il compimento di questa missione si riassume a sua volta nella frase che i vangeli ricordano come inizio della sua predicazione: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».
Ma, per quanto importante, la missione di Giovanni non finisce qui, bensì raggiunge il suo punto culminante nel duplice incontro che abbiamo citato prima: il battesimo di Gesù e la designazione di Cristo da parte di Giovanni come l’Agnello di Dio. Dicevamo che è l’incontro e il passaggio da un’alleanza all’altra. Il battesimo di Giovanni era battesimo di acqua in segno di penitenza per i propri peccati. Quello di Gesù sarà un battesimo «in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,1-12): brucerà il peccato, ma anche la morte, sua nefasta conseguenza; sorgerà la nuova luce e lo Spirito infonderà la vita nuova. Coloro che rinasceranno a questa vita rinasceranno alla vita stessa di Dio, saranno fratelli di Cristo e partecipi del suo trionfo e della sua risurrezione. In questo senso Gesù diceva che «il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui (Giovanni)» (Mt 11,11).
Questo aspetto viene simboleggiato, con le rispettive differenze, dalle date che la liturgia segnala per la nascita di Gesù e di Giovanni. Da una parte i due personaggi, strettamente uniti, che dividono in due il calendario coincidendo con i solstizi d’inverno (25 dicembre) e d’estate (24 giugno). Dall’altra Giovanni, come luce splendente dell’Antico Testamento, ha la sua festa nel giorno più lungo dell’anno. Tuttavia non può riuscire a dominare la notte; egli non è la luce ma il testimone della luce (Gv 1,8). Domani la notte comincerà a essere un po’ più lunga di oggi, sempre un po’ di più… fino alla notte di Natale, la più corta. Si direbbe che le tenebre abbiano vinto, ma non è così. Cristo nasce oggi. Egli è la luce, il nuovo sole e perciò domani il giorno sarà un po’ più lungo, un po’ di più… e la luce vincerà le tenebre.
Anche l’altro momento è particolarmente significativo. «In modo ancora più positivo – dice A. Nocent – Giovanni dovrà indicare colui che è già presente ma che ancora non si conosce (Gv 1,26) e che egli addita quando lo vede venire da lui: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Giovanni corrisponde e vuole corrispondere a ciò che è stato detto di lui e predetto per lui. Deve testimoniare che il Messia è presente. Il modo con cui lo indica già esprime ciò che il Cristo rappresenta per lui: è “l’Agnello di Dio”. Il Levitico nel capitolo 14 descrive l’immolazione dell’agnello in espiazione dell’impurità legale. Leggendo questo passo, san Giovanni evangelista pensa al servo del Signore descritto da Isaia nel capitolo 53 e che porta su di sé i peccati d’Israele. Giovanni Battista, indicando il Cristo ai suoi discepoli, già lo vede come la vera Pasqua che supera quella dell’Esodo (12, 1) e dalla quale l’universo otterrà la salvezza». A partire da questo momento si mette in disparte. Non si tratta di una minuzia: è una parte altrettanto fondamentale della sua missione con un messaggio molto concreto.
Il suo messaggio
Il messaggio di Giovanni Battista costituisce la parte fondamentale dell’Avvento: «Preparate la via al Signore». I punti specifici e la concretezza di tale messaggio si trovano sviluppati nella seconda e terza domenica, nella terza settimana e nei giorni 19, 21, 23 e 24 dicembre. Se volessimo esporli, dovremmo rifarci alle pagine corrispondenti; per il momento ci limiteremo a presentarne un riassunto.
1) Convertitevi. È l’obiettivo da raggiungere, con quanto la conversione comporta come mutamento di mentalità alla luce della parola di Dio e come adeguamento dei nostri criteri a quelli del Signore; insieme a un cambiamento del cuore, perché i nostri atteggiamenti e comportamenti siano quelli che esige il regno di Dio e che Cristo viene a stabilire come regno di salvezza. Il momento culminante di questo processo dovrebbe essere costituito dalla celebrazione della penitenza.
2) Atteggiamento penitente. Non si tratta tanto di fare penitenze e sacrifici, quanto di adottare l’austerità, la sobrietà e la semplicità come forma di vita. Dominare quanto ci porta a eccedere nelle abitudini e nei costumi, come negli atteggiamenti e nei comportamenti, sarà la miglior penitenza per appianare i sentieri.
3) Sincerità, autenticità. Il Battista è durissimo nel denunciare l’ipocrisia dei farisei e dei sadducei, come poi lo sarà il Signore. Annuncia che Dio userà la scure con «ogni albero che non produce frutti buoni», che sarà «tagliato e gettato nel fuoco»; e con il «ventilabro pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile» (Mt 3,10.12).
4) Frutti della conversione. In positivo, la condivisione: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (Lc 3,11). Sempre in positivo, anche se espressa negativamente, l’onestà («Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato», Lc 3,13) e la giustizia («Non estorcete niente a nessuno» Lc 3,14).
Tuttavia, oltre al messaggio espresso in parole, Giovanni Battista ne trasmette uno eloquente attraverso due modi di operare, frequentemente presentati come aneddoti.
a) Fede Purificata nella Prova. Quando Giovanni invia i suoi discepoli a chiedere a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» (Mt 11, 3) sta pensando alla prova di fede cui si vede sottoposto. Gli schemi mentali che aveva concepito riguardo al Messia non corrispondono a ciò che raccontano di Gesù di Nazaret. Infatti dicono che non condanna ma perdona; non è implacabile ma comprensivo; non impone ma invita; non abbatte come un giustiziere ma ama fino alla tenerezza. Allora Giovanni cerca, chiede, consulta… e accetta i piani di Dio che non coincidono con i suoi. Una grande lezione di fede e un buon sostegno per la fede dei discepoli.
b) Testimonianza sino alla fine. Non ci riferiamo alla sua morte che è solo il sigillo finale. La firma l’aveva messa prima, accettando la conclusione del suo ruolo. «Compito difficile -continua A. Nocent- quello di essere presente al mondo, fermamente presente fino al martirio, come Giovanni, e non mettere davanti un’istituzione invece della stessa persona di Cristo! Ruolo missionario sempre difficile quello di annunciare la buona novella e non una razza, una civiltà, una cultura, un paese: “Egli deve crescere e io diminuire” (Gv 3,30). Annunciare la buona novella e non una determinata spiritualità, un certo ordine religioso, un certo movimento cattolico speciale, una certa chiesuola; come Giovanni, mostrare ai nostri discepoli dove sta per essi “l’Agnello di Dio”, e non impossessarsene, come se dovessimo essere noi stessi la loro luce».
Certo, deve essere difficile accettare e compiere questa missione, e infatti alcuni discepoli di Giovanni costituirono comunità proprie e si opposero alle prime comunità cristiane. I vangeli, che riflettono i problemi delle comunità apostoliche, ci offrono vari indizi di questa opposizione. Per esempio la domanda sul perché i discepoli di Giovanni digiunavano e quelli di Gesù no. Deve essere molto difficile saper restare al proprio posto, poiché la Chiesa di oggi è piena di protagonismi e persino di settarismi, che non assomigliano in nulla alla testimonianza di Giovanni né all’atteggiamento evangelico.
Le parole dell’Avvento
A) Deserto e fiume
Se il deserto è il luogo dell’intimità con Dio, della prova, della purificazione, dell’abbattimento degli idoli, viverne la spiritualità, oggi, deve comportare tante conseguenze: non lasciarci prendere dall’affanno delle cose; non sprofondare nello scoraggiamento quando si sperimenta l’aridità e la fatica nel quotidiano, con tutte le sue tentazioni; abbattere i piccoli idoli che abbiamo eretto, forse anche accanto alla croce, nel santuario della nostra coscienza.
E se il fiume, nella simbologia biblica, indica la salvezza che straripa provocando novità di vita, sarebbe opportuno chiederci se noi da queste acque ci lasciamo appena lambire, rimanendo a mezza costa o sul greto, sedotti magari solo dalla curiosità, oppure ci siamo decisi cordialmente a «entrare nel fiume».
B) Parola e voce
II Battista, definito semplice voce di colui che verrà dopo e che sarà la Parola, deve provocare, in noi, una conversione all’umiltà, alla coscienza del limite, al rifiuto di ogni arrogante prevaricazione. Noi siamo i servi della Parola. Le prestiamo vibrazioni e risonanze. La portiamo lontano e le diamo cadenze di attualità. Ma la Parola è Cristo. È lui che giudica e che salva.
Forse la considerazione della nostra semplice strumentalità, oltre che spingerci all’approfondimento della Parola che poi, come credenti in Gesù, dobbiamo rivestire di voce, potrebbe riscattarci anche da non pochi abusi di potere.
C) Denuncia e proposta
Lo stile di Giovanni che rimprovera gli ebrei e, ricorrendo al vocabolario più duro, ne sferza la cattiva condotta di vita, potrebbe fuorviarci, se non tenessimo presente che, nel suo messaggio, accanto alla denuncia si colloca l’annuncio, con una incredibile forza propositiva. «Razza di vipere», sì. Ma anche: «Convertitevi», «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri: il regno dei cieli è vicino» (Mt3, 3).
Ci sarebbe da chiedersi se anche nelle nostre comunità cristiane lo sbilanciamento sui versanti della denuncia, che per altro non ha molto bisogno di inventiva, non debba essere ricondotto a più maturo equilibrio mediante proposte positive, incoraggianti, che facciano appello alle risorse della speranza. Sarebbe ben triste che scambiassimo la profezia con l’esercizio del brontolare cronico, dimenticando che essa è danza più che lamento.
D) Acqua e fuoco
«Io vi battezzo con acqua… egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3, 11). È molto significativo che già lo Spirito Santo venga insediato al centro dell’economia di salvezza. Non è raro, infatti, che il Natale venga percepito come espressione del protagonismo solo del Padre e del Figlio, rimandando quasi una più seria presa in considerazione dello Spirito Santo al periodo di Pentecoste. Non c’è nulla di più deleterio di questa visione.
Non sarebbe fuori posto oggi buttare lì, come una pietra nello stagno, una domanda a bruciapelo: che cosa significa per noi credenti fermarsi all’acqua di Giovanni?
E) Grano e pula
Non è esercitare forme di ricatto o di terrorismo spirituale, su di sé o sugli altri, se oggi ci chiediamo qual è la percentuale della crusca nel frumento della nostra esistenza. E non è neppure dare sfogo all’ingenuità se ci si esercita in una specie di bilancio di previsione, pensando a quale sarà la crusca della nostra vita che il Signore un giorno brucerà e a quali saranno i chicchi di grano lucente che egli riporrà nei suoi granai. È solo il tentativo di chi vuol tradurre in spessore di concretezza l’invito alla conversione.
(Don Tonino Bello, Avvento. Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007, 61-66).
Il cristiano è un prigioniero
Il cristiano è un prigioniero.
Prigioniero di una vita: la vita di Cristo. Non è il propagandista di un’idea, ma il membro di un corpo che vive e che vuole crescere.
Prigioniero di un pensiero: non è un libero pensatore, né il propagandista di un’idea, ma la voce di un altro: “la voce del Padrone”.
Prigioniero di uno slancio: di un desiderio a misura di Dio, che vuole salvare ciò che è perduto, guarire ciò che è malato, unire ciò che è separato, perpetuamente ed universalmente.
Essere cristiano è essere prigioniero di uno stato di fatto, prigioniero di dimensioni che da ogni lato non sono più le nostre, prigioniero, se posso dire, di una libertà che ha scelto in anticipo per noi.
È in questa cattività che il missionario deve annunciare il Cristo che egli vive, annunciare un messaggio che ha ricevuto e che non deve modificare; trasmettere una salvezza che non viene da lui e che ha la misura del mondo intero. Quel Cristo che egli vive, non può modificarlo. Ne è prigioniero. Quel messaggio, non può modificarlo. Ne è prigioniero. Quella salvezza non può restringerla. Ne è prigioniero.
(Madeleine DELBRỆL, Noi delle strade, Milano, Gribaudi, 2008, 19-20).
La strada
….La strada non è luce,
è la speranza della chiarezza;
non è fiamma prima,
è promessa di verità.
È il termine dell’attesa,
l’eternità dello sforzo:
la fine della strada che sale,
è il passaggio della morte.
(Madeleine DELBRỆL, Noi delle strade, Milano, Gribaudi, 2008, 16).
Preghiera della seconda domenica di avvento
Ci riunisci con la tua Parola,
Signore dei secoli,
Dio eterno.
Rivolgi verso di te i nostri occhi distratti,
affinché al termine del cammino
possiamo vedere levarsi la luce
del tuo Figlio Gesù Cristo.
Riempici, o Signore, della forza del tuo Spirito
affinché possiamo rispondere
alla voce che grida nel deserto
e preparare il cammino
di colui che sta, sconosciuto, in mezzo a noi,
di colui che viene,
Gesù, tuo Figlio e nostro fratello.
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
– Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
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– COMUNITÀ DI S. EGIDIO, La Parola e la storia, Milano, Vita e Pensiero, 2012.
– COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009.
– R. FERRIGATO (ed.), Avvento e Natale 2012. Sussidio liturgico-pastorale, Milano, San Paolo, 2012.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.
– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
– Don TONINO BELLO, Avvento e Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.
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– Immagine della domenica, a cura
PER L’APPROFONDIMENTO: