Schleicher, responsabile dei test Ocse-Pisa, smentisce le tante credenze sull’istruzione di qualità
Gli immigrati abbassano la media
I test Pisa sconfessano questa teoria: non esiste relazione tra la proporzione di studenti immigrati in un Paese e la sua performance accademica complessiva. Certo, integrare nei sistemi scolastici gli studenti immigrati può essere una sfida, ma questo è un altro discorso. Studenti con una storia d’immigrazione e una formazione simile alle spalle mostrano livelli di risultati accademici molto diversi a seconda dei Paesi in cui vengono inseriti. Ciò suggerisce che a contare sia il posto dove vanno a scuola, e non quello da cui provengono.
È tutta una questione di soldi
No, è tutta una questione di come vengono spesi. La Corea del Sud, il Paese migliore nei test Pisa di matematica, spende per studente una cifra ben al di sotto della media Ocse. E sono le stesse analisi da parte dell’Ocse a dichiararlo: una maggior ricchezza nazionale o spese più alte nell’educazione non garantiscono risultati migliori degli studenti.Nelle economie avanzate, la cifra investita nell’educazione è meno importante di come queste risorse finanziarie vengono utilizzate. Per esempio, la Slovacchia spende circa 49mila dollari per i suoi studenti tra i 6 e i 15 anni, e la loro performance accademica a 15 anni è pari a quella dei loro coetanei statunitensi, il cui Paese spende per loro più del doppio. Conclusione: un buon sistema educativo non si può comprare; ciò su cui bisogna investire è il suo miglioramento e il suo approccio nei confronti di studenti ed insegnanti, che ha un impatto fondamentale sulla riuscita degli studenti.
Classi: piccolo è meglio
Anche questo è un mito da sfatare. Si tratta di un sentire comune, ma i risultati del Pisa mostrano che in realtà non esiste un nesso tra la taglia della classe e i risultati degli studenti, né facendo una comparazione all’interno dello stesso Paese, né nel confronto tra nazioni diverse.Non solo: nella maggior parte dei Paesi, la politica a favore delle classi piccole ha aumentato significativamente la spesa per studente. Nei Paesi ricchi, i sistemi scolastici di successo tendono a dare priorità alla qualità degli insegnanti piuttosto che al numero degli studenti per classe. I soldi spesi per ridurre la taglia delle classi sarebbero dunque meglio investiti per aumentare il salario dei professori, puntare sulla loro formazione continua e sul loro sviluppo professionale.
Equità e selezione non possono andare di pari passo
I sistemi educativi sono di due tipi: inclusivi – e ciò promuove l’equità sociale – oppure selettivi – e ciò promuove la qualità e l’eccellenza accademica. Neanche questo è vero. Le analisi internazionali dimostrano che i sistemi educativi migliori sono quelli che riescono a mettere insieme equità e qualità nell’apprendimento, due caratteristiche che non si escludono affatto a vicenda. Fondamentale per i buoni risultati – per esempio in matematica – è la motivazione degli studenti, e il loro impegno. E la motivazione tende a essere più bassa nei sistemi scolastici disegnati per separare i ragazzi più dotati da quelli (apparentemente) meno dotati. Tant’è che nessuno dei sistemi ultra selettivi si qualifica fra i «top performers» mondiali.
La digitalizzazione richiede la creazione di nuove materie di studio
Globalizzazione e digitalizzazione hanno un ruolo fondamentale nel determinare ciò che gli studenti devono imparare durante la loro carriera scolastica: si tratta di un’idea comune, ma sostanzialmente non veritiera. Certo, Google&C cambiano il nostro modo di gestire il sapere, e il mondo moderno richiede un apprendimento continuo. Ma adeguare continuamente i curricula scolastici per inseguire il mondo che cambia non è necessariamente una buona idea. E soprattutto, i sistemi scolastici migliori tendono a essere rigorosi su un punto: insegnare poche cose, ma bene.
Il successo è una questione di talento
Intelligenza innata versus impegno: qual è il vero segreto del successo sui banchi? Il secondo. Tra gli studenti occidentali c’è anche un altro mito, quello della fortuna: per passare l’esame di scienze conterebbe più quella che lo studio. E tra gli insegnanti un malinteso: spesso tendono a sentirsi in colpa a chiedere di più agli alunni percepiti come meno dotati, e si aspettano risultati inferiori da quelli che vengono da ambienti svantaggiati. Tutto ciò è un grosso freno: tutti gli studenti in realtà possono raggiungere standard molto alti, e posti come la Finlandia o il Giappone lo dimostrano. Il segreto sta nella convinzione condivisa – da studenti, genitori, e insegnanti – che ciò sia possibile. Credere nel potenziale dei propri studenti, avere la forte volontà politica di puntare su di loro e la capacità di tutte le parti coinvolte nel fare uno sforzo, concertato e duraturo, verso il miglioramento: sono queste le caratteristiche dei Paesi i cui studenti hanno successo. Sono sistemi scolastici in cui non esiste la credenza per cui il successo è una questione di talento, ma la consapevolezza che se ci si prova veramente, si può raggiungere l’eccellenza, con l’aiuto e la fiducia in insegnanti capaci. E anziché prendere come riferimento la media dei risultati per cercare di farci arrivare tutti, si prendono come riferimento i risultati migliori – quelli che prima ci si aspettava solo dalle élites degli studenti – e si condivide la responsabilità di farci arrivare tutti.